DISCLAIMER:
È assolutamente vietato copiare il contenuto dei post incentrati sulle mie storie. Tuttavia potete copiare la sinossi e condividere sui vostri blog la data d'uscita dei capitoli successivi.
"Scusatemi per il ritardo di qualche settimana, ma durante le feste non trovavo il tempo e in più non riuscivo a scrivere, (avevo il blocco dello scrittore). Ecco la penultima puntata, molto bella e commovente in qualche punto. Mi è venuta molto lunga, spero che vi piaccia.
Fatemi sapere se vi piace questa storia, se avete da criticare, fatelo pure, perché le critiche sono costruttive. Mi piacerebbe ricevere un vostro giudizio. Grazie per aver letto questa storia. Ciao e non perdetevi la prossima puntata il 19 gennaio".
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CAPITOLO 9: 31 DICEMBRE: NON TUTTO È PERDUTO
«Certo».
Dissero i ragazzi, dopo aver sbadigliato; ora i loro occhi erano molto stanchi
e anche se tentavano di tenerli aperti, si stavano lentamente chiudendo.
Quando
atterrarono con la slitta, si videro arrivare in contro un paio di elfi che si
sarebbero occupati delle renne e della slitta. Anche le renne erano stanche,
avevano dovuto trascinare la slitta carica di regali e con loro sopra.
Scesero
dalla slitta e s’avviarono, quasi a tentoni, fino alla loro camera. Prima che
entrassero nelle loro camere, Claus gli parlò.
«Buon
natale!, ragazzi, festeggeremo stasera».
I
tre ragazzi annuirono e dopo, entrarono nella loro camera e chiusero la porta.
Si
spogliarono, si misero il pigiama e si buttarono sotto le coperte. Chiusero gli
occhi ed entrarono nel mondo dei sogni. Erano così stanchi, che dopo, qualche
minuto, s’addormentarono senza nemmeno accorgenerse.
Nel
frattempo l’elfo cuoco aveva già comprato tutte le cose che sarebbero state
necessarie per preparare la cena di natale.
Aveva
intenzione di preparare un antipasto, delle lasagne, del magro, delle patate
arrosto e una bella insalata.
Era
già dal primo pomeriggio che stava dietro ai fornelli e per fortuna, aveva
anche alcuni elfi a cui piaceva cucinare, che si erano resi disponibili per
aiutarlo.
Quando
tutti e quattro s’alzarono andarono in cucina. Si sentivano riposati, anche se gli ci
sarebbero voluti più giorni per dire di essere carichi al cento per cento.
Henry
passò dalla sala e si mise a guardare l’albero che avevano fatto, che al buio
era ancora più suggestivo.
Poi
guardò a terra e vide che c’erano dei regali, li prese in mano e s’accorse che
c’erano scritti i loro nomi.
Rimase
sorpreso e qualche istante dopo, sorrise dalla gioia, c’erano tanti pacchi e
tutti da scartare per scoprire che cosa contenevano.
Allora,
corse fino alla cucina per poter parlare con Claus.
«Ci
hai fatto dei regali?». Gli chiese Henry.
«Certo,
perché non avrei dovuto e con voi non ho badato a spese, visto l’aiuto che mi
avete dato». Gli rispose.
«Ma
noi non l’abbiamo fatto perché volevamo dei regali, ma perché ci sembrava la
cosa giusta da fare». Gli disse Henry.
Claus
sorrise e dopo, gli parlò direttamente con il suo cuore.
«Faccio
i regali a tutto il mondo, perché non avrei dovuto farli a voi, che mi avete
aiutato così tanto». Gli disse e in quell’istante, chiuse gli occhi. Mille
emozioni stavano passando nel suo cuore; quando li riaprì, erano leggermente
velati dalle lacrime.
Lentamente
s’avvicinò ai ragazzi e allargò le braccia per stringerli, in un abbraccio
pieno d’amore. S’era affezionato a quei ragazzi, come se fossero figli suoi.
Era
un abbraccio pieno di calore e d’amore. Era da tanto tempo che i tre ragazzi non
ricevevano un abbraccio così dai loro genitori, perché il destino crudele, li
aveva messi di fronte a qualcosa che aveva distrutto quell’armonia della loro
famiglia.
«Vi
voglio bene!, ragazzi. Come se foste miei parenti». Disse Claus con il volto
appoggiato, alle spalle dei ragazzi.
«Anche
noi». Dissero in coro i ragazzi.
Dopo,
si sciolsero dall’abbraccio e si guardarono per un istante, in un modo
veramente profondo.
«Non
è il legame di sangue a legare una famiglia». Disse William.
«Sei
come uno zio». Disse Henry.
Claus
accennò un sorriso e dopo, annuì.
Si
misero a sedere e si trovarono di fronte a un tavolo imbandito a festa.
Oltre
alla tovaglia rossa e i tovaglioli abbinati, c’era un centro tavola con delle
candele rosse e sulla base c’erano delle pigne dorate.
C’era
anche un buon profumino nell’aria, sia di cibo e sia delle candele accese.
C’era un’aria di natale.
Dopo,
pochi minuti entrò anche Sulac e s’accorse che erano davvero felici.
«Che
è successo?». Gli chiese.
Tutti
quattro alzarono le spalle, come per dirgli che non era successo niente.
«Ci
siamo detti che ci vogliamo bene». Disse Claus.
Sulac
sorrise e subito dopo, si mise a sedere e anche lui attese che l’elfo cuoco,
mettesse il cibo nei piatti.
Incominciarono
a mangiare, tutto quanto era squisito e la magia del natale rendeva la cena
ancora più bella e magica.
Mangiarono
tutto quanto, l’antipasto, il primo il secondo e il contorno, arrivando perfino
a leccarsi i baffi.
L’elfo
cuoco aveva addirittura preparato, i dolci di natale fatti in casa.
Dopo
aver mangiato, si recarono fino alla sala e si misero a sedere su un tappeto,
che si trovava al centro della stanza, vicino all’albero.
Non
accesero la luce, perché il camino acceso riusciva a illuminare tutta la
stanza, rendendola ancora più suggestiva.
Claus,
come suo fratello, se ne stava in piedi.
In
tutti questi giorni passati insieme a quei ragazzi, Claus si era reso conto,
che Henry era strano.
Più
lo osservava e più si rendeva conto che c’era qualcosa che non andava in lui.
Non sapeva nemmeno darsi una spiegazione, perché era come se l’anima di Henry,
per quanto splendente, fosse accecata dalle tenebre.
Non
lo dava a vedere questo suo malessere, ma era come se cercasse di camuffare il
suo malessere in allegria.
Tuttavia,
un occhio più attento, poteva notare questo suo malessere.
Era
un bambino felice e sorridente, come era giusto alla sua età; però, aveva una
strana sensazione, che si confermava sempre di più, giorno dopo giorno.
Era
come se indossasse una maschera.
Mentre
lo guardava ridere e scherzare con i suoi fratelli, aveva preso una decisione:
l’avrebbe aiutato a superare questo dolore che teneva rinchiuso dentro il suo
cuore.
L’avrebbe
aiutato, non perché si sentiva in dovere di farlo, perché lui l’aveva aiutato a
salvare il natale, ma perché lui era Babbo natale e non sopportava di vedere la
sofferenza negli occhi degl’altri.
«Possiamo
aprirli?». Gli chiese Henry.
«Certo».
Gli disse Claus con un sorriso.
Henry
prese in mano il suo regalo e dopo aver tolto il nastro, incominciò a
strapparlo, con quella curiosità bambinesca.
Dopo
aver tirato fuori il suo regalo sorrise a Claus, tuttavia, era un sorriso, che a
uno sguardo ben attento, poteva percepire che quella era un espressione, che
nel silenzio chiedeva aiuto.
Anche
i suoi fratelli scartarono i loro regali e dopo, continuarono a festeggiare
fino a notte tarda, cantando, ballando e giocando a tombola e carte.
I
loro genitori non erano riusciti a partire, perché come previsto dal bollettino
meteo, gli aerei avevano subito grandi ritardi.
«Non
possiamo partire». Disse il loro padre, mentre controllava il sito internet
della compagnia aerea.
Dopo,
si voltò verso la loro madre, che se ne stava in piedi nel salotto.
«Non
è un problema». Gli rispose.
«Sicura?».
Le chiese ancora.
«Certo,
loro sono al sicuro».
Così,
dopo molti anni decisero di festeggiare il natale da soli, senza nessun
parente. In quella settimana riuscirono a ritrovarsi, come coppia.
A
volte il destino è crudele e quasi a tradimento, ti porta via tutto quello che
fino a poco prima davi per scontato.
A
volte ti devi solo fermare e capire che nonostante nella vita accadano cose
brutte, non te ne puoi dare una colpa, ma devi solo fare in modo che il tempo
spazzi via le tue ferite.
Per
loro non era un problema, perché sapevano che i loro figli erano al sicuro e
che stavano facendo quello che era giusto fare.
Dopo
qualche giorno, fecero le valigie per prepararsi a partire; erano felici, tanto
che ogni volta che si guardavano negli occhi si sorridevano. Misero lo stretto
necessario per passare pochi giorni insieme ai loro figli.
Al
mattino dopo, non appena si svegliarono, fecero colazione e dopo essersi
vestiti, andarono in aeroporto con il pullman.
I
tre ragazzi, Claus e suo fratello dopo aver festeggiato andarono a dormire,
sazi e felici.
Al
mattino dopo, non appena si svegliarono fecero colazione.
«Non
aiutiamo tua moglie?». Gli chiese Henry.
Claus
posò la tazza sul tavolo e lo guardò in un modo perplesso e dopo, arricciò i
sopraccigli.
«Mia
moglie, ci sono abituato. Tutti quanti pensano che lei sia mia moglie». Gli
disse.
«Non
è tua moglie?». Gli chiese William.
«Certo,
ma c’è anche chi pensa che non sia mia moglie; invece è mia moglie da
tantissimi anni». Disse Claus.
«Allora,
la befana è tua moglie?». Gli chiese Daniel.
«Certo,
ma non è così brutta come viene rappresentata, per me è la donna più bella di
tutto il mondo». Disse Claus, dopo s’alzò dalla sedia, per andare nella sua camera.
I
tre ragazzi tornarono nelle loro camere e non sapendo che cosa fare, decisero
di controllare la posta di Claus e di rispondere a qualche messaggio.
Dopo
befana, avrebbero ripreso l’aereo che gli avrebbe riportati dritti alle loro
abitazioni. La pacchia sarebbe finita tra pochi giorni e come si sa, la
befana tutte le feste le porta via.
C’erano
tantissimi messaggi, tutti positivi e tutti, che lo ringraziavano per aver
potuto avere un regalo, che altrimenti non si sarebbero potuti permettere.
Risposero
a tutti, c’erano tantissimi messaggi, ma erano anche in tre a rispondere.
Passarono
tutta la mattinata a rispondere, non si stancavano mai, di rispondere ai
commenti. Dopo un po’, Claus salì le scale, per arrivare alla camera dei ragazzi.
Aprì
la porta.
«Che
fate?». Gli chiese, non appena vide che erano concentrati. Loro smisero di
scrivere e si voltarono verso di lui.
«Stiamo
rispondendo a tutte quelle persone che ti stanno ringraziando». Disse Henry.
Claus
entrò nella stanza e si mise a fissare gli schermi dei computer. Era
affascinato da questa tecnologia, che bastava un clic, per comunicare con tutto
il mondo.
«Vuoi
rispondere anche te?». Gli chiese Henry.
«Certo,
mi piacerebbe». Disse Claus, toccandosi la barba con le mani. La faccia di Claus
era perplessa.
«Che
c’è?». Gli chiese Daniel.
«Non
so come si usano questi programmi». Disse un po’ imbarazzato.
Daniel
s’alzò dalla sedia e gli sorrise, come per dirgli che non c’era nessun
problema.
Prese
un'altra sedia e la portò accanto alla sua, dopo si mise a sedere e invitò
Claus a fare altrettanto.
«T’insegnerò
tutto». Disse Daniel.
«Grazie».
Gli rispose.
«Con
lui vai sul sicuro, è il migliore in questo campo». Disse William e Henry annuì.
Così,
tutto il resto della mattinata, William e Henry, continuarono a rispondere ai
messaggi delle persone e Daniel spiegò a Claus, come funzionavano i social
network.
Dopo
una mattinata, Claus aveva imparato a usare i social network, perché Daniel non
solo glieli spiegava, ma gli faceva anche provare come si utilizzavano.
Le
prime volte che provava, ogni tanto si voltava verso Daniel, per chiedergli
come proseguire.
Le
volte dopo, capendo il procedimento, riuscì a farlo da solo.
Verso
l’ora di pranzo, andarono in cucina per mangiare la pasta che gli aveva
preparato l’elfo cuoco. Claus s’alzò dalla sedia.
«Andiamo?».
Gli chiese, mentre metteva la sedia sotto il tavolo.
«Dove?».
Gli chiese Henry, mentre lo guardava in modo perplesso.
«Ad
aiutare mia moglie». Disse.
«Che
figata!». Esclamò Henry.
I
tre ragazzi s’alzarono da tavola, dopo aver mangiato una fetta di pandoro; non
mangiarono tanto quel giorno, perché erano ancora molto sazi dal giorno
precedente.
Tornarono
in camera per vestirsi, prendere i loro cellulari e il portafoglio.
Dopo,
scesero dalle scale e quando si ritrovarono all’ingresso, si trovarono di fronte
Claus già vestito e con le chiavi in mano.
«Andiamo».
Gli disse Claus e dopo, aprì la porta per uscire. Quando uscirono tutti e
quattro, Claus chiuse la porta alle sue spalle.
Dopo
s’avviarono fino al garage, dove teneva la sua macchina e il suo furgone.
Claus
e William salirono davanti e Daniel e Henry salirono di dietro.
Claus,
avviò il motore e dopo, fece marcia indietro per uscire dal garage.
Prese
il telecomando per aprire il cancello.
«Sapete,
in genere non aiuto mai mia moglie». Disse, mentre aspettava che il cancello
s’aprisse. Dopo, quando lo passò, cliccò
nuovamente sul telecomando per farlo richiudere.
«Come
mai?». Gli chiese Henry molto incuriosito, mentre si metteva la cintura di
sicurezza.
«Io
e mia moglie ci vogliamo bene, ma ognuno ha i suoi compiti: io penso al
venticinque e lei pensa al sei gennaio. Questa volta l’aiuto soltanto, perché
credo che a voi faccia piacere farlo». Disse Claus e dopo aver guardato che non
venisse nessuna macchina, curvò e s’introdusse nella corsia della strada.
«Ci
ha fatto molto piacere aiutare te e vogliamo aiutare anche lei». Disse Daniel
con un sorriso.
«Non
vedo l’ora di conoscerla!». Esclamò Henry.
Daniel
gli tirò uno spintone.
«Bugiardo».
Disse Daniel.
«Tu
vuoi solo una razione gratis di dolce!, golosone!». Gli disse per scherzare.
«No,
no… non è vero». Disse Henry e dopo fece una faccia arrabbiata, incrociò le braccia
e mise le mani sotto le ascelle.
Claus
li vide dallo specchietto retrovisore e si mise a sorridere: quei due erano
davvero buffi.
«Su,
su… non litigate, chi non è goloso di dolci». Disse.
Claus
continuò a guidare fino a quando, dopo una decina di minuti raggiunsero la casa
della Befana.
La
Befana, a differenza di Claus, non aveva avuto problemi economici molto gravi,
perché i dolci e la frutta, per quanto fossero rincarati, erano ancora
comprabili.
Gli
bastava non riempire del tutto le calze e il gioco era fatto.
Quando
arrivarono davanti alla casa della Befana, scesero dalla macchina e Claus,
suonò il campanello.
«Sono
io». Disse al citofono.
Il
cancello s’aprì e loro entrarono dentro.
La
casa era leggermente più piccola rispetto a quella di Claus.
Sul
davanti aveva un giardino molto curato, anche se in questo periodo dell’anno,
era completamente coperto dalla neve.
La
casa era molto graziosa e ben curata, infatti, si vedeva che ci abitava una
donna.
Quando
s’avvicinarono alla porta, qualcuno l’aprì e dopo, videro comparire una
simpatica signora, che aveva l’età di Claus.
«Che
ci fai qui?». Chiese la Befana a suo marito Claus.
«In
genere, non ci vediamo fino al sette di gennaio?». Gli chiese.
Claus,
s’avvicinò verso la porta e dopo le sorrise.
Salì
gli scalini e quando si trovò di fronte a sua moglie, l’abbracciò stringendola
stretta a se; in questi mesi gli era mancata molto, anche se ogni tanto si
sentivano per telefono.
«È
vero non ci vediamo e non ci aiutiamo, ma questi ragazzi volevano conoscerti e
aiutarti a confezionare le calze». Le disse.
Dopo,
i ragazzi s’avvicinarono agli scalini.
«Quello
a destra, si chiama William, poi, subito accanto c’è Daniel e infine Henry, il
più piccolino». Disse.
«Salve».
Dissero i tre ragazzi insieme.
La
Befana li guardò meglio e li osservò uno per uno.
«Così,
voi sareste i ragazzi apparsi in televisione, quelli che hanno aiutato mio
marito». Disse.
«Certo,
sono loro e vogliono aiutare anche te».
La
Befana si tolse dalla porta per farli entrare dentro la sua casa. I tre ragazzi
e Claus s’avvicinarono alla porta per poi entrare dentro a quella casa.
Si
guardarono attorno e s’accorsero che quella casa era completamente diversa da
quella di Claus; si vedeva che c’era il tocco di una donna.
C’era
molto ordine e ogni cosa era messa apposto.
Si
tolsero i giacchetti e li appesero all’appendi abiti. Dopo, si guardarono
attorno e sentirono l’odore della legna che stava scoppiettando.
S’incamminarono
e dopo un lungo corridoio, si trovarono di fronte alla cucina, un ambiente
molto grazioso.
Attaccate
alla parete c’erano delle foto, con un bambino e una bambina.
Henry,
incuriosito s’avvicinò a quelle foto per osservarle meglio, dopo, si voltò
verso di Claus.
«Chi
sono questi?». Gli chiese puntando un dito contro quelle foto.
«I
miei figli». Gli rispose semplicemente.
«Allora
non sei immortale?». Gli chiese ancora.
Claus
sorrise prima di rispondergli.
«No,
ci succediamo di generazione in generazione. Anche se trovo che sia molto bello
che le persone pensino che io sia immortale». Disse e dopo se ne andò dalla
cucina per raggiungere la sala e da lì accedere alla porta che conduceva al
laboratorio della Befana, dove lei, insieme agli elfi, confezionava le calze.
Anche
la Befana era dal mese di novembre che confezionava le calze, ormai era quasi
pronta, tra meno di una settimana sarebbe toccato a lei fare il giro della
terra.
I
ragazzi raggiunsero Claus nella stanza in cui lavorava la Befana.
«Ma,
allora, dove sono i tuoi figli?». Gli chiese Daniel.
«Sono
tutti e due fuori a studiare e decidere
se in futuro vorranno prendere il mio posto».
Giorno
dopo giorno, i tre ragazzi insieme a Claus, continuarono ad andare a casa della
Befana, per poterla aiutare, partivano la mattina e tornavano la sera.
Confezionavano
le calze con tutti quei dolci e quella
frutta; perché la Befana credeva che nelle calze ci doveva essere anche la
frutta.
La
Befana era davvero crudele, perché a chi
era stato veramente cattivo non metteva il carbone dolce, ma quello che si usa
per fare la brace.
Confezionavano
tantissime calze al giorno, tutte diverse e di tantissimi colori.
Ogni
tanto la Befana dava un dolcino a Henry e ai suoi fratelli. Facevano la pausa
pranzo, anche la Befana aveva degli elfi che si occupavano della cucina.
Così
passarono i giorni e finalmente arrivò il trentuno dicembre, la notte a cavallo
tra i due anni.
Claus,
festeggiava sempre con sua moglie e i suoi figli, che per l’occasione tornavano
sempre a casa.
I
suoi elfi si misero al lavoro per preparare un pranzo eccezionale per l’ultimo
dell’anno.
Prepararono
le lasagne e i cannelloni ripieni di ricotta e spinaci. Dopo, si misero a
preparare il magro e degli spiedini, che li avrebbero accompagnati con un
contorno di patate fritte e di insalata mista.
Infine,
si misero a preparare dei crostini di terra e di mare.
Erano
andati a fare la spesa il giorno prima, per poter cucinare subito dalla mattina
del trentuno dicembre.
Non
avevano pensato soltanto al cibo, ma anche a degli addobbi tutti rossi, dei
palloncini colorati con scritto “buon
anno” e dei festoni in cui c’era scritto “buon anno e felice anno nuovo”.
Passarono
buona parte della mattinata e del pomeriggio a cucinare, mentre un elfo era
impegnato ad addobbare quella stanza.
La
mattina del trentuno il cellulare di William incominciò a squillare. Quando se
ne accorse, lo tirò fuori dalla tasca dei pantaloni e vide comparire “mamma” sul display dello smartphone.
«È
mamma!». Disse ai suoi fratelli.
Premette
il pulsante per la risposta e si portò il cellulare all’orecchio.
«Pronto».
Disse William con la voce un po’ tremolante.
«Siamo
noi». Disse sua madre e dopo, per qualche istante, ci fu un attimo di silenzio.
«Siamo
qui, in Lapponia…». Disse e subito dopo smise di parlare e sospirò, si sentiva
che stava per piangere, perché il suo respiro era affannato.
«Ci
dispiace per come ci siamo comportati con tuo fratello». Disse sua madre tutto
d’un fiato.
«Aspetta
che ti metto in vivavoce così sentono anche i miei fratelli». Gli disse e dopo,
prese il cellulare e lo mise in modalità vivavoce.
«Mi
dispiace Henry, avrei dovuto approvare la tua scelta di salvare il natale di
tutto il mondo. Non è colpa tua, no… non lo è. È che il destino c’ha messo
davanti a qualcosa di terribile e ognuno di noi, per quanto ci volessimo bene,
teneva questo dolore dentro di se.
Ora
l’abbiamo capito, è ora di lasciarci il passato alle spalle.
Sono
fiera per quello che hai fatto, sono orgogliosa di te, hai dato il natale a chi
non poteva permetterselo, hai dato un sorriso a chi, la crisi gli aveva portato
via tutta quella voglia di vivere». Disse sua madre, che in quel momento,
riuscì ad aprire il suo cuore come non era mai riuscita a fare.
«Grazie».
Disse Henry tra le lacrime di gioia.
Nessuno
parlò per qualche secondo.
«Come
c’arriviamo a casa di Claus?». Gli chiesero e William gli spiegò tutto quanto.
Dopo,
si rimisero a confezionare le calze.
Alla
sera, si fecero una doccia, per mandare via tutta la stanchezza che avevano
accumulato mentre confezionavano le calze.
Dopo,
si vestirono e come tradizione, indossarono le mutande rosse; perché tutti
dicono che portare qualcosa di quel colore sia di buon auspicio.
Si
vestirono in un modo più elegante, mettendosi dei jeans blu, le scarpe da
tennis, una t-shirt e la loro felpa migliore.
Dopo,
uscirono dalla loro stanza per andare in cucina. Dalle scale riuscivano a
sentire un profumino delizioso, che visto che erano quasi le otto, gli faceva
venire l’acquolina e la fame.
Anche
la sala era addobbata, perché più tardi avrebbero ballato e cantato fino e
oltre alla mezzanotte.
Andarono
in cucina e s’accorsero che oltre al tavolo, in cui cenavano sempre, c’erano
anche altri tavoli, perché anche gli altri elfi avrebbero cenato e festeggiato
con loro.
Si
misero a sedere e dopo meno di cinque minuti, sentirono suonare il campanello,
Henry s’alzò dalla sedia, per andare ad aprire la porta e dopo, avvolti nel
buio della notte si ritrovò di fronte i suoi genitori.
Quando
i suoi genitori videro Henry, incominciarono a sorridere, con un sorriso di
pura gioia.
«Ciao».
Disse Henry.
«Ciao,
figliolo». Disse il suo padre e dopo, gli stropicciò i capelli in modo
affettuoso.
Quando
Henry abbracciò i suoi genitori, suo padre lo prese da sotto le ascelle per prenderlo
in collo e dopo, lo strinse forte a se, in un abbraccio pieno d’amore.
Stringeva
suo figlio, la cosa più importante della sua vita. Anche Henry, s’aggrappò
stretto a suo padre, mettendogli le braccia intorno al collo.
Dopo,
si sporse per dare un bacio sulla guancia a sua madre.
Scese
dal padre e lo prese per mano e lo condusse fin dentro la casa, tirando
leggermente il suo braccio.
I
suo genitori appoggiarono le loro valigie nell’ingresso e dopo, senza neanche
togliersi le giacche e tutta la lana che avevano addosso, s’incamminarono fino
alla cucina per andare a salutare gli altri due figli che stavano seduti ad
aspettare la cena.
Quando
William e Daniel videro i loro genitori, s’alzarono e gli andarono in contro
per salutarli.
Quando
si ritrovarono a pochi centimetri da loro, tutti quanti s’abbracciarono in una stretta
piena d’amore e d’affetto.
Sorridevano
e a qualcuno di loro, incominciarono a scendere delle lacrime dalla gioia.
Dopo
una decina di minuti, si misero a tavola e l’elfo cuoco incominciò a servire
tutte le pietanze che aveva preparato.
Mentre
mangiavano, chiacchieravano e Claus e suo fratello Sulac, conobbero meglio i
genitori di quei ragazzi.
Capirono
che erano delle persone speciali.
Dopo
cena, Claus, s’alzò da tavola per andare al computer, doveva fare una cosa.
Tutti
quanti erano a ballare e cantare in salotto, mentre Henry era rimasto in cucina
a mangiare una fetta di pandoro e a guardare il suo cartone preferito.
Claus,
tornò in cucina e si mise di fronte al ragazzo.
«È
tua questa e-mail». Gli disse tutto d’un fiato e dopo, allungò il braccio per
appoggiare il foglio davanti a lui.
Henry,
smise di mangiare e s’alzò in piedi; dopo, con le mani tremolanti prese quel
foglio.
Lo
lesse, senza parlare.
“Sono…, non ti voglio dire chi sono
voglio restare anonimo.
Io non voglio nessun regalo, non
credo di meritarmelo, proprio perché un anno fa sono stato veramente cattivo,
vorrei solo che mi riportassi indietro di un anno alla sera del 24 dicembre
2012”.
«Non
è la tua e-mail, ma hai usato uno di quegli indirizzi a tempo?». Gli chiese.
Henry
non parlò, ma la sua faccia paralava per lui.
Quegli
occhi, così pieni di dolore, un dolore che un ragazzino della sua età non
avrebbe mai dovuto provare.
La
sua espressione facciale era gelida e priva d’emozioni.
Il
suo piccolo cuoricino era invaso dalle tenebre e da un peso che ormai era
diventato insopportabile.
Claus
non sopportava di vederlo in quello stato, voleva sapere a tutti i costi che
cosa gli era successo, lo voleva aiutare.
Dopo
qualche istante, Henry, alzò gli occhi fino a incontrare quelli di Claus.
Lentamente
gli occhi di Henry, si bagnarono, fino a quando incominciarono scendergli delle
lacrime, per poi cadere sul foglio e sbavare l’inchiostro.
«Cosa
ti è successo?». Gli chiese.
«Ti
voglio aiutare». Gli disse dopo qualche secondo, quando s’accorse che non si
decideva a parlare.
Successe
tutto in un istante.
«Non
puoi!... non puoi!...». Ripeté più volte con una voce impastata dalle lacrime, delle lacrime che non avevano
intenzione di fermarsi.
Fece
cadere il foglio ai suoi piedi e dopo, si voltò, uscì dalla cucina, prese le
scale fino a raggiungere la soffitta.
Quando
entrò in soffitta, aprì una finestra e si mise a sedere sul davanzale. Davanti
a se vedeva un panorama mozzafiato, ricoperto di neve e illuminato dalla luce
della luna.
Le
sue lacrime erano aumentate e il suo respiro era sempre più affannato. Non si
era mai aperto in questo modo, non aveva mai spiegato come si sentiva e nessuno
l’aveva mai capito. Nessuno aveva mai capito fino a che punto soffrisse.
Claus
si mise a cercare Henry in tutte le stanze e alla fine, lo trovò e dopo, si
mise a sedere accanto a lui.
Non
gli parlò, aveva capito che doveva essere lui a iniziare il discorso, gli prese
la testa e gliela appoggiò sul suo petto, in un modo veramente affettuoso.
Dopo,
l’abbracciò stretto a se; gli voleva bene come se fosse un suo nipote.
In
quel silenzio, Henry ritrovò una certa pace e serenità.
Dopo,
una mezz’oretta, si sciolse dall’abbraccio, era pronto a parlare.
«Il
natale nella nostra famiglia è sempre stata una bella festa, luci, alberi e
regali. Facevamo sempre molte feste, ogni occasione era buona per stare con i
parenti che non vedevamo spesso.
Un
anno fa, nel duemiladodici, sarebbe toccato a noi fare la cena della vigilia.
Sai, facciamo sempre a rotazione con i nostri parenti. Siamo una famiglia molto
numerosa, ma ci vediamo poche volte all’anno, perché abitiamo molto distanti.
Io
non vedevo l’ora di festeggiare insieme a tutti.
Era
da una settimana che i miei genitori avevano pensato a quella festa. Avevano pensato
a tutto: il cibo e gli addobbi.
Volevano
che quella festa fosse speciale, avevano calcolato tutto. Tutto sarebbe stato
perfetto, sarebbe stata la più bella festa della vigilia di natale che avessero
mai organizzato.
Avevano
passato tutta la mattinata tra pentole e padelle e io e i miei fratelli li
avevamo aiutati a cucinare.
C’era
un aria di festa, c’era un aria di natale, esattamente come nella tua casa.
Avevamo
passato tutta la mattinata e la sera precedente a preparare la pasta fatta in
casa». Dopo, smise di parlare e per un istante chiuse gli occhi, per cacciare
indietro quelle lacrime che sentiva sempre più vicine.
Claus
non gli disse niente e attese che lui riniziasse a parlare.
«Devi
sapere che la nostra casa si trova vicino a un bosco e che ogni tanto usciamo a
giocarci con la palla.
Conosciamo
quel bosco, sappiamo muoverci e orientarci e ritrovare la strada di casa.
Per
strana coincidenza, quel giorno i miei genitori erano andati a prendere i miei
parenti all’aeroporto e mi avevano lasciato solo con i miei fratelli.
Noi
continuammo a cucinare, io, Daniel, William e…
Insomma,
scherzavamo.
Dopo
qualche ora, Daniel e William, mi lasciarono solo a casa.
Non
ero proprio solo, perché con me c’era il mio fratellino, Neal, di appena
quattro anni».
Claus
lo guardò negli occhi e gli disse una cosa sperando di non ferire i suoi
sentimenti.
«La
prima volta che ti ho visto, la prima volta che sei entrato nella mia casa, ho
avuto l’impressione di averti già visto.
È
ora ho capito il motivo…». Disse e dagli occhi di Claus incominciarono a
scendere le lacrime, in un istante capì tutto.
«Ti
ho visto al telegiornale un anno fa».
«Neal
era un bambino di soli quattro anni, era bellissimo, con i capelli biondi, gli
occhi azzurri ed era simpaticissimo.
Andava
d’accordo con tutti, perché era molto bravo ed educato e io, ero il suo idolo.
Visto
che avevamo finito di cucinare, decidemmo d’uscire fuori a giocare con la
palla.
Giocammo
per un po’, poi…, poi...». Non riusciva a continuare a parlare.
«Prenditi
tutto il tempo che ti serve». Gli disse Claus per tranquillizzarlo.
Henry
chiuse gli occhi e sospirò.
«All’improvviso
mi scappò la pipi, così, lo lasciai nel bosco come avevo già fatto altre volte.
Quando mi trovai vicino alla porta, mi voltai verso mio fratello e lo vidi
giocare con la palla.
Quando
tornai, non lo trovai più. Corsi e lo cercai in ogni buco di quel bosco
arrivandomi quasi a perdere, perché stava scendendo la notte.
Non
tornai a casa per un bel po’, ma rimasi seduto a terra a piangere, avevo già
visto queste cose in tv, tutti quei bambini che non li avevano più trovati.
Quello
fu un errore, perché in quel tempo lo potevano iniziare a cercare, il mio
dolore, ha fatto perdere tempo prezioso.
Mi
ritrovò mio fratello William e quando lo vidi, mi alzai in piedi e gli saltai
in collo. Gli dissi tutto tra le lacrime e lui cercò di consolarmi, dicendo che
non era colpa mia. Balle! Era tutta colpa mia. Se lo avessi portato con me in
bagno non sarebbe successo niente.
Nessuno
mi ha mai dato la colpa, non mi hanno mai fatto sentire in colpa, ma io mi
sento in colpa.
Ecco
perché sento il bisogno d’aiutare gli altri e quasi un modo per farmi sentire
meno in colpa e allo stesso tempo, redimermi. E come se, in qualche modo,
aiutando gli altri aiutassi mio fratello».
Mentre
di sopra Claus e Henry parlavano, di sotto, gli elfi, Sulac, William, Daniel e
i loro genitori si stavano scatenando nelle danze. A volte, quando capitava la
canzone giusta, facevano anche il trenino.
Si
divertivano come pazzi, come era giusto che accadesse.
Si
trovavano nell’unica notte magica a cavallo tra i due anni; una notte in cui
tutti quanti potevano esprimere i loro desideri.
Tutti
quanti avevano dei cappellini sulle teste, quelli di babbo natale e in più
c’erano anche delle stelline che s’accendevano, che con la stanza al buio,
rendevano l’ambiente molto suggestivo.
Avevano
messo un tavolino al centro alla stanza, in cui l’elfo cuoco aveva tagliato le
fette di pandoro e di panettone che avrebbero mangiato allo scoccare della
mezzanotte.
Accanto
ai dolci, c’erano varie bottiglie di spumante dolce, con dei bicchieri flute in
cristallo, per bere e brindare al nuovo anno.
Non
si resero conto dell’assenza di Claus e di Henry, fino a quando a pochi minuti
da mezzanotte avrebbero dovuto aprire lo spumante.
«Dove
sono Henry e Claus?». Chiese William a tutti quanti.
Tutti
quanti si guardarono e dopo alzarono le spalle, come per dire che non lo
sapevano.
«Non
ce ne siamo accorti, ma ora che ci penso, durante la serata non li ho visti,
eravamo così presi a festeggiare che non c’è ne siamo accorti». Disse Daniel.
«Andiamoli
a cercare». Disse Sulac.
Dopo,
tutti quanti lasciarono la sala per andarli a cercare. Guardarono in ogni
stanza, ma non riuscivano a trovarli.
I
loro genitori incominciarono a sudare freddo, i loro cuori stavano
incominciando a battere all’impazzata.
In
quell’istante si capirono anche senza parlare, era troppo vivido il brutto
ricordo dell’anno passato.
William
entrò nella loro camera e trovò Henry sdraiato sul suo letto, con le cuffie
nell’orecchio, infatti anche da lontano riusciva a sentire la musica. Aveva portato
le gambe all’altezza del petto e con le mani se le stringeva; insomma, si trovava
in posizione fetale, come se volesse proteggersi da qualcosa.
Decise
di non chiedergli niente e di lasciarlo in pace, ma il mattino dopo, gli
avrebbe chiesto spiegazioni.
Chiuse
la porta e dopo pochi passi, si ritrovò accanto alla camera di Claus.
Aprì
la porta nella speranza di trovarlo lì, ma quando i suoi occhi s’abituarono al
leggero buio della stanza, s’accorse, che non c’era nessuno.
Se
ne stava per andare, quando un pezzo di carta attirò la sua attenzione. Tornò
indietro per accendere la luce, prese il foglio in mano, lo aprì e lo lesse.
“Devo andare via”.
William
chiamò tutti quanti e quando si trovarono in salotto, rassicurò subito i suoi
genitori dicendo che Henry dormiva.
Gli
mentì, non voleva farli preoccupare, ma il suo sesto senso, anche se non era
sicuro, gli diceva che lui era triste e che sicuramente aveva pianto.
Dopo
gli fece leggere il messaggio di Claus, ma nessuno seppe darsi una spiegazione.
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