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giovedì 13 febbraio 2014

IT'S CHRISTMAS TIME PARTE 1: 6 GENNAIO: RITORNO AL PASSATO #10

DISCLAIMER:
È assolutamente vietato copiare il contenuto dei post incentrati sulle mie storie. Tuttavia potete copiare la sinossi e condividere sui vostri blog la data d'uscita dei capitoli successivi.

"Sorpresa!, ho finito di scrivere la puntata prima del previsto e l'ho postata subito. Scusatemi per il ritardo di qualche settimana, ma credetemi che ne è valsa la pena, non vi anticipo nulla, lo scoprirete solo leggendo. Doveva essere una puntata corta, invece poi mi è venuta più lunga rispetto alle altre. Ecco la l'ultima puntata, molto bella e commovente in qualche punto. Mi è venuta molto lunga, spero che vi piaccia. 
Mi piacerebbe scrivere il continuo di questa storia, perché sento che questi personaggi hanno ancora molto da dire e voi  vi piacerebbe?.  A voi vi piace questa storia e io mi sono divertita molto mentre la scrivevo. Onestamente, ora non saprei come continuarla, ma, mi potrebbe venire in mente qualcosa. Voi come la continuereste, fatemelo sapere con un commento qua sotto. 
Fatemi sapere se vi piace questa storia, se avete da criticare, fatelo pure, perché le critiche sono costruttive. Mi piacerebbe ricevere un vostro giudizio. Grazie per aver letto questa storia. Ma lo sapete che avete letto 123 pagine!".

PER LEGGERE LA NONA PARTE DI “IT'S CHRISTMAS TIME ” CLICCA QUI.

CAPITOLO 10: 6 GENNAIO: RITORNO AL PASSATO

Mentre erano lì in piedi, l’uno di fronte all’altro si guardavano negli occhi. In quegli occhi, un po’ tristi. Non si parlavano, eppure si capivano. Nessuno di loro sapeva che fine aveva fatto Claus. Certo, gli aveva lasciato un biglietto, ma questo non gli bastava.
Tutti quanti stavano in un silenzio assoluto e lentamente, la sveglia digitale, che avevano messo sopra al caminetto, stava per segnare le ore “00:00”. Mancavano veramente pochi secondi a mezzanotte.
Tutto a un tratto, i loro silenzi furono interrotti dal rumore dei fuochi d’artificio che le persone facevano esplodere all’esterno.
Un elfo prese la bottiglia di spumante, per aprirla allo scoccare della mezzanotte. Sì, avrebbero festeggiato lo stesso, ma non avevano più tutta quell’allegria di prima. La scomparsa di Claus, gli aveva portato via la gioia.
Allo scoccare della mezzanotte, l’elfo stappò lo spumante e il tappo saltò per aria, rischiando, perfino di colpire la televisione.
Si sa, che quando salta per aria il tappo dello spumante, è un segno di “buon augurio”.
Ma in questo momento, non riuscivano a pensare in modo positivo.
Claus se ne era andato.
Henry, era molto triste, ma questa cosa la sapeva soltanto William.
Dopo, l’elfo versò lo spumante dentro ai flute di cristallo. Tutti quanti presero il bicchiere, cominciarono a brindare e a esprimere i loro desideri.
C’è chi in questi momenti chiede cose futili.
William, Daniel, Henry e i loro genitori esprimevano sempre lo stesso desiderio, ogni volta che dovevano brindare, ma da un anno a questa parte, non si era mai avverato.
Non avevano mai smesso di sperare che un giorno qualcuno bussasse alla loro porta e gli dicesse che avevano ritrovato Neal.
Allo stesso tempo, erano anche consapevoli, che questa cosa non si sarebbe mai potuta avverare.
Volevano che il loro figlio, Neal ritornasse a casa, ma ogni giorno era uguale agli altri e ogni mattina, a ogni loro risveglio non trovavano il loro fratellino.
Mangiarono una fetta di pandoro e di panettone e dopo, non cantarono e ne ballarono, come avevano fatto fino a poche ore prima.
Lasciarono la sala, s’avviarono verso le scale, per poi andare nelle loro camere.
William prese una fetta di pandoro e l’avvolse in un tovagliolino. La voleva portare a Henry, perché prima, quando l’aveva visto s’era accorto che era molto triste.
Non appena entrò nella loro camera, lo trovò a letto, sotto le coperte e con le braccia stringeva le gambe che aveva portato all’altezza del petto.
Sembrava che volesse proteggersi da qualcosa che lo aveva turbato. Si rese conto che in quel momento non stava piangendo. Non si sapeva spiegare per quale motivo, ma era sicuro che Henry prima aveva pianto. Il mattino successivo, gli avrebbe chiesto delle spiegazioni.
Andò in bagno a lavarsi i denti e incontrò suo fratello.
 «Sai perché Henry, non era con noi a festeggiare?. Gli chiese Daniel non appena vide arrivare William.
William entrò in bagno e prese il suo spazzolino, s’avvicinò allo specchio e prima di rispondergli sospirò.
«Non lo so di preciso, ma quando cercavamo Claus sono entrato nella nostra stanza e ho avuto la sensazione che Henry avesse pianto».
Daniel smise di lavarsi i denti, per guardare il fratello con lo spazzolino ancora in mano.
«Come?, perché?». Gli chiese, semplicemente. Forse aveva fatto due più due: Claus sparito e Henry triste. Forse c’era un collegamento, che ora nel bel mezzo della notte e mezzo assonnato, non riusciva trovare.
Daniel si voltò verso lo specchio e dopo qualche istante, William sospirò e chiuse gli occhi; non voleva dire quello che aveva pensato fin da quando aveva visto Henry triste.
«Glielo chiederemmo, domani, con gentilezza. Ma… l’unica volta che l’ho visto così triste è stato quando…, è stato quando….». William smise di parlare, non riusciva a continuare quella frase, perché una parte del suo cuore non lo voleva ammettere, una parte di lui, quella più piccola e irrazionale, voleva pensare che questo era soltanto un brutto sogno e che al mattino seguente, si sarebbe svegliato accorgendosi di aver fatto un incubo e di ritrovare il suo fratellino perduto.
Dai suoi occhi cominciarono a scendere delle lacrime, d’altronde le emozioni del cuore non le puoi imprigionare dentro una gabbia; certo, puoi anche farlo, ma prima o poi esploderanno e dovrai fare i conti con la realtà.
Come per non farsi vedere dal fratello, si portò una mano sugli occhi per asciugarseli, ma Daniel lo vide piangere attraverso il vetro dello specchio.
Dopo, si voltò verso di lui e lo guardò per qualche istante. Daniel s’avvicinò al fratello e dopo pochi istanti, lo strinse forte a se, con un abbraccio pieno d’amore e d’affetto.
«So cosa stavi per dire!». Gli disse, prendendolo alla sprovvista.
Per qualche istante smise di parlare, chiuse gli occhi e anche a lui s’inumidirono; quel dolore era presente anche nel suo cuore.
«Anche se ho qualche anno meno di te, ti capisco e so che cosa ti passa per la testa. So che l’ultima volta che l’hai visto così triste è stato quando si sentiva in colpa per aver perso di vista nostro fratello. Se devi piangere fallo pure». Lo strinse ancora più forte a se.
Rimasero così, fermi nel silenzio più assoluto e solo quando ritrovarono le loro paci interiori, si sciolsero dall’abbraccio.  Daniel andò in camera si mise il pigiama e s’infilò sotto le coperte, tappandosi fin sopra la testa, per fare in modo che i brutti pensieri uscissero fuori.
Anche William, dopo essere uscito dal bagno andò subito a dormire. 

Così era passata una notte, una notte diversa dalle altre, la prima notte; quella in cui, anche simbolicamente, si poteva dire di poter cominciare da capo e prefissarsi nuovi obiettivi.
Si svegliarono quando le prime luci della mattina cominciarono a invadere la loro stanza.
S’alzarono, si vestirono e dopo, andarono in cucina dove l’elfo cuoco gli stava preparando la colazione.
Si misero a sedere e l’elfo cuoco, gli versò il latte e il caffè nelle loro tazze. I tre ragazzi erano ancora assonnati, visto che ieri erano andati a letto tardi per festeggiare l’anno nuovo.
«Notizie di Claus?». Gli chiese, William.
«No, purtroppo». Rispose l’elfo. Henry guardò l’elfo in un modo veramente strano; un misto tra triste e preoccupato.
A questo punto non c’era più dubbi, secondo William, Henry sapeva qualcosa sulla scomparsa di Claus.
Quando incominciarono a mangiare, videro comparire sulla porta i loro genitori.
«Salve ragazzi». Disse il loro padre e dopo, s’avvicinò a ognuno dei suoi figli per scompigliargli i capelli in una maniera affettuosa.
«Dai, papà!». Esclamarono in coro i tre ragazzi.
Il loro padre si mise a sedere per fare colazione.
Anche la loro madre s’avvicinò ai suoi figli per dargli un bacino affettuoso sulla guancia.
«Dai, mamma!». Esclamarono ancora in coro i tre ragazzi.
Dopo, anche la loro madre si mise a sedere per fare colazione.
«Allora che cosa fate di bello?». Gli chiese il loro padre.
«Davvero t’interessa?, In questo ultim’anno non siete stati tanto presenti». Gli disse Daniel.
Il loro padre prima di rispondergli, guardò intensamente la loro madre e dopo, le prese la mano e la strinse forte tra la sua.
«Le cose possono cambiare». Gli rispose il loro padre.
«Lo voglio sapere, lo vogliamo sapere». Gli disse la loro madre.
«Prima di natale abbiamo aiutato Claus a confezionare i regali e adesso stiamo aiutando sua moglie, la Befana a confezionare le calze». Gli fece sapere William.
«Perché non venite con noi a confezionare le calze?». Gli chiese Henry.
I loro genitori smisero di bere il latte e guardarono negli occhi Henry.
«Certo». Gli risposero in coro.

Quando tutti quanti finirono di fare colazione s’alzarono da tavola, andarono nelle loro camere per lavarsi e dopo, si recarono davanti alla porta d’ingresso dove un elfo li stava attendendo per portarli a confezionare le calze a casa della befana.
Uno dopo l’altro uscirono dalle loro camere e s’avvicinarono all’elfo autista.
«Siete tutti?». Gli chiese l’elfo.
Henry si voltò a guardare la sua famiglia e li contò.
«Sì, siamo tutti». Disse Henry.
Uscirono dalla casa di Claus e s’avviarono a piedi fino alla macchina che si trovava dentro al garage. Dopo pochi istanti partirono.
I tre ragazzi sapevano bene la strada e conoscevano molto bene il panorama; mentre, per i loro genitori era tutto nuovo e suggestivo.
In pochissimo tempo arrivarono alla casa della Befana. I ragazzi e i loro genitori scesero dalla macchina per avviarsi fino al citofono.
Henry pigiò il pulsante del citofono.
«Chi è?». Gli chiese un elfo.
«Siamo noi ragazzi e i nostri genitori».
Il cancello s’aprì e dopo, videro che anche la porta si stava aprendo. Dietro la porta intravidero la Befana.
«Entrate dentro, veloci, si gela». Gli disse, mentre con le mani si scaldava le braccia.
Tutti quanti fecero una corsa e in pochi secondi entrarono in casa. Il primo dell’anno aveva portato un clima veramente freddo. La neve era aumentata, perché aveva nevicato molto durante la notte.
Infatti, dietro di loro lasciarono una scia d’impronte delle scarpe; mentre camminavano, i loro piedi affondavano nella neve.
Quando tutti quanti entrarono dentro la casa, la Befana chiuse la porta; si spogliarono appoggiando i giacchetti e tutta la lana che avevano addosso all’attaccapanni, che si trovava di fronte alla porta.
Dopo, si spostarono fino alla cucina, per scaldarsi per qualche minuto al fuoco della legna che bruciava nel camino.
Dopo essersi riscaldati, i tre ragazzi mostrarono quella casa ai loro genitori.
Quando finirono, li portarono nella stanza in cui la Befana confezionava le sue calze.
«È qui che la Befana confeziona le calze che porta in tutto il mondo». Disse Henry ai suoi genitori.
I loro genitori osservarono attentamente quella stanza e s’accorsero che molti elfi stavano già confezionando delle calze.
«Ci volete aiutare a confezionare le calze?». Gli chiese Henry.
«Ma certo, solo che ci dovete far vedere come si fa». Gli rispose sua madre.
«Non c’è alcun problema». Risposero i tre fratelli in coro.
Henry s’avvicinò a un bancone e i suoi fratelli si posizionarono su un altro, per cominciare a confezionare le calze.
«Allora dovete prendere una calza, prendere una manciata di cioccolatini, di caramelle, di chewingum e di frutta. E alla fine, quando la calza è piena, tirate questo leghino per chiuderla, ci fate un nodo e poi un fiocco». Gli disse Henry.
Così, dopo questa spiegazione i genitori di Henry, si posizionarono su un bancone e iniziarono a confezionare le calze.
A meno di un ora dal pranzo, passò la Befana a salutare i ragazzi e i loro genitori. Anche se era concentrata sul suo lavoro e controllava che tutte le cose stessero procedendo secondo la sua tabella di marcia, si vedeva che nei suoi occhi c’era un velo di tristezza e allo stesso tempo, di preoccupazione.
«Non essere triste». Le disse Henry, non appena la vide un po’ giù. La Befana, si girò verso Henry, fino a incontrare i suoi occhi.
«Sono sicuro che dovunque sia, stia bene». Disse Henry, per tranquillizzarla, ma per William stava utilizzando un tono di voce troppo sicuro di se.
William non aveva ancora trovato l’occasione di scambiare due chiacchiere con suo fratello; in quella mattinata non aveva ancora avuto l’occasione di trovarsi a quattrocchi con Henry; ma alla prima occasione, gli avrebbe chiesto delle spiegazioni.
Ne era certo, Henry sapeva perché Claus se ne era andato. Il fatto che nella stessa sera Claus se ne fosse andato e che Henry fosse stato triste, non potevano essere delle coincidenze.
La Befana se ne andò e tutti quanti si rimisero a confezionare le calze. Verso mezzogiorno smisero di confezionare le calze, per andare a mangiare.
Lì, nella cucina, l’elfo cuoco aveva preparato un pranzo davvero con i fiocchi. Una salsa di pesce per la pasta e poi, aveva perfino preparato un dolce fatto in casa, di quelli buoni e genuini.
Dopo qualche minuto, arrivò anche la Befana e si mise a sedere, mentre aspettava che l’elfo cuoco scolasse la pasta.
«Claus…». Disse la Befana e dopo, si fermò per qualche secondo. Come se pronunciare quel nome le facesse venire un dolore nel profondo del suo cuore.
Chiuse per qualche istante gli occhi, come per ritrovare la sua calma interiore.
«Mi aveva detto che vi aveva portato con lui la notte in cui ha consegnato i regali, se volete potrei portarvi anch’io a fare il giro del mondo». Gli propose la Befana.
Henry sorrise prima di parlare.
«Ma certo». Le rispose Henry.
«Veniamo, certo che veniamo». Esclamò Daniel.
«Non vedo l’ora». Disse anche William.
Nel frattempo l’elfo cuoco scolò la pasta nel lavello, la mise nella ciotola, dove prima aveva preparato il sugo fatto in casa.
Dopo, cominciò a versare la pasta nei loro piatti.
«C’è solo un problema?». Disse la Befana e dopo, tutti quanti la guardarono negli occhi.
«Ovvero?». Le chiese William.
«Non potete venire con la mia scopa, perché ogni scopa può far volare una persona. Dovete imparare a volare sulla scopa. Tutti i pomeriggi vi dovrete allenare con me». Gli disse la Befana.
«Ci stiamo, impareremo». Dissero in coro i tre fratelli.
Si misero a mangiare sia la pasta e sia il dolce e dopo essersi riposati, sarebbero andati subito in giardino.
I loro genitori, continuarono invece a confezionare le calze, avevano deciso di non andare con la Befana.
«Andiamo». Gli disse la Befana.
Tutti quanti, prima d’uscire, si misero le giacche, le sciarpe, i guanti e i cappellini.
«Allora!, ci siamo». Gli disse la Befana.
«Dovete starmi a sentire e stare molto attenti, se cadete dalla scopa, mentre siete in volo, vi farete molto male». Disse ancora la Befana, per fargli capire che non era un gioco.
Un elfo uscì dal garage con in mano quattro scope. I tre ragazzi le guardarono e all’apparenza gli sembrarono quelle semplici scope che avevano nella loro casa.
L’elfo posò per terra le scope, ai piedi della Befana.
«Venite a prendere la scopa e appoggiatela per terra, di fianco a voi». Gli disse la Befana.
 I tre ragazzi fecero come gli aveva detto la Befana.
«Che figo!». Esclamò Henry. 
William, Daniel e la Befana si voltarono verso di lui.
«Sembra di essere in Harry Potter, ve la ricordate quella scena in cui imparano a volare e continuano a dire su alla scopa, troppo divertente quella scena. Lo conosci anche te Harry Potter?». Chiese Henry alla Befana.
«Certo che lo conosco». Gli rispose.
«Come mai, queste scope volano e le nostre di casa no?». Chiese William alla Befana.
«È un segreto, è una magia fatta dagli elfi e in parte, incide anche il legno utilizzato. Il legno delle scope proviene dalla Lapponia». Gli disse.
Così, i tre ragazzi cominciarono a prendere confidenza con la loro scopa.
«Ora prendete la scopa e mettetela tra le gambe. E per partire vi dovete  dare una spinta con i piedi».
I ragazzi fecero come gli aveva detto la Befana e pochi minuti dopo, si ritrovarono sospesi per aria a pochi metri da terra.
«Ora è semplice, per girare a destra vi dovete piegare a destra con il corpo, per andare a sinistra fate il contrario, per scendere inclinate dolcemente la scopa verso il basso e per andare avanti prima inclinate la scopa verso l’alto e poi, procedete in modo dritto».
I ragazzi cominciarono a prendere confidenza con la scopa. Prima impararono a frenare e poi, a tornare con i piedi per terra.
Dopo diversi minuti, avevano già imparato questo procedimento. Sorridevano, mentre il vento gli sfrecciava sulla faccia.
Non erano mai stati così felici in tutta la loro vita.
Volavano  davvero bene per essere saliti da poco in sella a quelle scope. La Befana li controllava molto attentamente, perché in caso di pericolo o di un loro errore, sarebbe dovuta intervenire.
Provarono anche a cambiare direzione, prima lentamente e poi, imparando piano piano a sterzare in un modo più brusco, nel caso in cui durante il volo avessero trovato degli uccelli.
Alla fine di questa lezione, sapevano volare con la scopa, d'altronde, loro sono ragazzi e si sa che loro imparano sempre in fretta.
«Siete stati bravi, ma ci dobbiamo allenare tutti i pomeriggi e da dopo domani, dobbiamo volare anche di notte, perché quando andremo a consegnare le calze sarà buio». Gli disse la befana.
Vista l’ora tarda i tre ragazzi e i loro genitori cenarono a casa della Befana e quando ritornarono a casa di Claus, andarono subito a dormire e s’addormentarono all’istante.

Nei giorni seguenti fecero sempre le stesse cose, mettevano le cose nelle calze e poi, i tre ragazzi andavano a volare con le scope.
Nei giorni successivi, cominciarono a volare anche di notte. Volare di notte era ancora più affascinante rispetto al volo di giorno.

Il giorno in cui avrebbero fatto il giro del mondo insieme alla Befana si stava sempre più avvicinando, infatti, gli elfi cominciarono a mettere le calze confezionate nel sacco della Befana.

La sera prima di partire William ebbe l’occasione di parlare con suo fratello.
«Ciao». Gli disse William, mentre vide Henry intento a costruire un pupazzo di neve. La Befana gli aveva dato il pomeriggio libero, perché poi durante la notte avrebbero dovuto fare il giro del mondo e perciò, dovevano essere belli svegli.
A terra aveva una carota, per fare il naso, una sciarpa, due bottoni neri per fare gli occhi, un filo rosso per fargli la bocca e dei rami secchi per fargli le braccia.
Henry si voltò verso il fratello.
«Ciao». Gli disse e dopo si voltò verso il pupazzo.
«Ti posso aiutare con il pupazzo di neve?». Gli chiese, mentre s’abbassava con le ginocchia per mettersi a sedere sulla neve.
«Certo». Gli rispose.
Per qualche minuto, William aiutò Henry a costruire il pupazzo.
«Ti voglio parlare, è già da qualche giorno che ti voglio parlare, ma non ho mai trovato l’occasione giusta». Gli disse, con molta semplicità.
«Non credo che quella sera sia stata una coincidenza». Gli disse per girare intorno all’argomento, per non spaventarlo e per non farlo chiudere a riccio.
«Quale sera?». Gli chiese ingenuamente, ma forse dentro di se aveva capito di quale sera stava parlando.
«La sera dell’ultimo dell’anno, quando Claus se ne andato e te eri triste e avevi pianto. Non possono essere coincidenze, no, non possono». Disse ancora, poi, si voltò e guardò in faccia suo fratello. Gli occhi di Henry stavano diventando sempre più tristi e inumiditi da delle lacrime che stavano bloccate dietro ai suoi occhi.
Henry, voltò lo sguardo, non riusciva più a guardare negli occhi suo fratello. William l’aveva messo di fronte a una costatazione che era la verità.
«Che cos’è successo tra te e Claus? E come mai non eravate a festeggiare insieme a noi?». Gli fece subito le domande dirette, voleva arrivare subito al dunque.
William stava aspettando una risposta dal fratello, che se ne stava a sedere con la testa chinata verso la neve.
«Perché hai pianto quella sera?». Gli chiese ancora.
Dopo questa domanda, Henry si voltò verso il fratello. I suoi occhi erano bagnati dalle lacrime, che lentamente gli avevano rigato la faccia. Era un pianto silenzioso, ma non per questo meno doloroso.
«È vero, ho pianto quella sera e ho parlato con Claus». Ammise Henry. Dopo s’avvicinò al fratello e gli si gettò tra le braccia, per abbracciarlo, allora, William lo strinse a se e lo lasciò sfogare.
Quando si calmò, Henry si mise a sedere davanti al fratello.
«Claus aveva capito che in me c’era qualcosa che non andava, aveva capito che nonostante fossi felice e sorridente, nel mio cuore aleggiavano le tenebre.
Allora, gli ho dovuto raccontare di Neal». Gli disse Henry e dopo, gli raccontò tutti i particolari della conversazione che aveva avuto con Claus.
«Allora credi che sia andato a cercare Neal?». Gli chiese William.
«Certo, sono abbastanza sicuro che sia questo il motivo». Gli rispose, mentre con una mano stringeva la neve.
«Per quale motivo, non l’hai detto agli altri?, perché non hai detto dov’è andato Claus?». Gli chiese.
«Se glielo dico e poi Claus torna a mani vuote, saranno un’altra volta tristi. E io non voglio vedere ancora i nostri genitori in quello stato, non lo vedi come sono felici, non lo vedi come ora sembriamo una famiglia felice e che ci vogliamo bene. Io questa cosa non la voglio perdere, visto che in passato abbiamo passato dei momenti non proprio belli». Gli faceva onore questa cosa.
«Ti vuoi accollare, tutto il peso… anche  questa volta, perché?». Gli chiese.
«Perché è successo tutto per colpa mia».
«No, non è assolutamente vero, sarebbe potuto succedere a me o a Daniel».
«Però è successo a me». Disse Henry e a quella frase secca, William non sapeva rispondere.
«Perché hai sempre difeso le mie idee?, perché hai voluto a tutti costi, far si che io salvassi il natale?, perché mi hai appoggiato?, quando ci poteva essere la possibilità che i nostri genitori s’arrabbiassero con te e che ti mettessero in punizione a vita». Gli chiese, incuriosito. In passato gli aveva già fatto questa domanda,  ma gli aveva sempre dato una risposta non del tutto  sincera.
«Perché anch’io mi sento in colpa nei tuoi confronti, se fossi stato li con te non sarebbe successo niente». Gli occhi di William, s’inumidirono per sfogare in un pianto straziante, stava buttando fuori di se tutte quelle lacrime, che durante quest’ultimo anno aveva tenuto imprigionato dentro di se.
Henry si sporse in avanti per poter abbracciare il fratello.

Nei giorni precedenti, i tre ragazzi si erano fatti preparare dei vestiti su misura, per far si che fossero uguali a quelli della Befana.
Gli elfi sarti, gli avevano creato dei vestiti in stile moderno, facendo in modo che sembrassero vecchi e rovinati.
Il giorno prima di partire, i tre ragazzi si provarono i vestiti e s’accorsero che gli stavano a pennello, insomma, gli stavano veramente bene.

La sera del cinque gennaio partirono insieme alla Befana, per fare il giro del mondo e consegnare a tutte le persone le calze piene di cose buone da mangiare.
In alcune calze la Befana aveva messo anche il carbone vero, quello che si usa per fare la brace; avrebbe consegnato quel tipo di carbone a tutte le persone che non si erano comportate bene.
Per la Befana, non era giusto dare il carbone dolce a chi si era comportato male.
I tre ragazzi si  misero a cavallo della scopa e con uno slancio dei piedi, s’innalzarono nel cielo. Davanti ai loro occhi vedevano solo il buio intenso della luna. Il cielo era illuminato soltanto dal calore della luna, che era così tonda e risplendente. C’erano anche delle stelle così luminose e splendenti, ogni tanto si fermavano a guardarle e riuscivano anche a riconoscere le costellazioni.
Anche i tre ragazzi avevano un sacco legato sulle spalle, infatti avevano deciso di dividersi il peso, per  non far portare tutto alla Befana.
Fecero il giro del mondo e come con Claus, entrarono casa per casa per lasciare la calza sotto all’albero, poi, dopo aver mangiato il cibo che le persone gli lasciavano, se ne andavano e passavano a un’altra casa.
Per i tre ragazzi, fu un’esperienza ancora più bella di quella che avevano avuto con Claus, perché erano loro a guidare la loro scopa; invece, quando avevano fatto il giro del mondo insieme a Claus non avevano guidato la slitta.
In questa notte magica, c’erano migliaia di cuori che battevano per una vecchietta che portava dolcezza, in un mondo devastato dalla crisi. Il viaggio durò ventiquattr’ore e il cielo era sempre scuro, perché passando da una nazione all’altra, cambiava il fuso orario.
Si sentivano stanchi, ma l’adrenalina, in qualche modo contrastava la loro stanchezza. Erano felici, tanto che i tre ragazzi ogni tanto sorridevano.
William e Henry, dopo quella discussione sulla scomparsa del loro fratellino, Neal erano diventati un po’ tristi; anche se ormai era passato un anno, gli mancava da morire.
Questo viaggio era riuscito a rasserenarli e almeno per quelle ore, non avevano sentito il dolore, per la scomparsa.
«C’è l’abbiamo fatta». Disse la Befana, dopo aver consegnato l’ultima calza.
«Già!». Le rispose Henry.
«Siete stanchi?». Gli chiese la Befana.
«Un po’». Le rispose William.
Si rimisero a volare in fila indiana e uno dietro l’altro, seguivano la Befana. Dopo qualche ora, arrivarono a casa di Claus, dove li attendevano i loro genitori.
Non appena videro da lontano la casa di Claus, cominciarono a scendere di quota, per poi atterrare nel giardino di fronte alla casa.
Dopo pochi instanti, videro la porta si stava aprendo e dietro, i loro genitori che gli stavano sorridendo. Uscirono di casa per andare in contro ai loro figli e dopo, gli abbracciarono per stringerli a se.
I loro genitori gli strinsero uno per uno, poi gli dettero perfino dei bacini affettuosi sulla guancia, da quando era sparito il loro fratellino Neal, non erano più stati così affettuosi.
«Vi siete divertiti?». Gli chiese la loro madre.
«Certo». Le rispose Henry e dopo, le fece un sorriso veramente felice. I tre ragazzi tenevano ancora in mano le scope.
«È stato veramente divertente volare di notte con il vento che ci veniva in faccia, è stato bello sentire i profumi di tutto il mondo e la cosa più bella è il pensiero di aver strappato un sorriso a tutte quelle persone che apriranno quelle calze». Le disse ancora Henry.
I tre ragazzi si sciolsero dall’abbraccio dei loro genitori.
«Anche questa volta, ho strappato un sorriso, per la seconda volta, a tutti quelli che per colpa della crisi si sentivano vuoti dentro». Disse Henry ai suoi genitori, mentre i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime di felicità.
In quell’istante, per puro caso Henry e i suoi genitori si guardarono dritti negli occhi; fu solo per un attimo, eppure, fu come se si fossero letti fin dentro il loro io più profondo.
«Mi dispiace». Disse sua madre.
«Mi dispiace anche me». Disse anche suo padre.
«Non dovevamo impedirti di venire qui». Disse ancora sua madre mentre, con le dita gli massaggiava dolcemente la sua mano.
«Dovevamo capirti». Disse ancora suo padre. Le parole dei suoi genitori venivano direttamente dal loro cuore.
Henry, non seppe resistere, andò in contro ai suoi genitori e li strinse a se in un abbraccio pieno d’amore.
«Vi avevo già perdonati». Gli disse, mentre teneva la testa appoggiata sulle spalle dei suoi genitori. Anche i suoi genitori lo abbracciarono a se.
«Anzi, a dire la verità, non c’è l’ho mai avuta con voi, io vi voglio bene». Gli disse e in quell’istante chiuse gli occhi.
Un vento leggero, gli scapigliava i loro capelli.
«Non è mai stata colpa tua». Gli disse sua madre e in quell’istante, Henry spalancò gli occhi.
«Non è mai  stata colpa tua se Neal è sparito, lo so che ti senti in colpa e che non ne abbiamo mai parlato, ma non è stata colpa tua, sarebbe potuto succedere a chiunque». In quell’instante, Henry chiuse gli occhi per scacciare le lacrime. Allo stesso tempo, era sia triste che felice; i suoi genitori gli avevano tolto un peso sulla coscienza.
«Anch’io gli ho detto che non si doveva sentire in colpa». Disse William ai suoi genitori.
«Non ti devi sentire in colpa, sarebbe potuto accadere a ognuno di noi». Gli disse Daniel.
«Figliolo, ti vogliamo bene, non ti devi sentire in colpa, noi ti vogliamo vedere felice e non con questo peso sul cuore». Gli disse anche suo padre. In quel momento Henry, per la prima volta, incominciava a capire che forse, non si doveva sentire in colpa.
Anche William e Daniel, raggiunsero i loro genitori e insieme s’abbracciarono, con un abbraccio pieno d’amore, finalmente erano tornati a essere la famiglia di un tempo.

Dopo, i tre ragazzi e la Befana, andarono a riposare per qualche ora. Ora sarebbero andati a riposare in modo sereno, ora erano di nuovo una famiglia.
I loro genitori aiutarono l’elfo cuoco a preparare il pranzo. Quel giorno e quel pranzo, erano qualcosa di diverso, un nuovo inizio per una famiglia che si era appena ritrovata e riuscita a perdonarsi.
I loro genitori andarono nella loro camera per svegliarli.
«Sveglia». Disse la loro madre e dopo, s’avvicinò ai suoi figli per scuoterli sulla spalla e farli svegliare.
«È pronto il pranzo, svegliatevi». Disse il loro padre.
«Svegliatevi!». Esclamò la loro madre, mentre s’avvicinava alla finestra per aprire l’avvolgibile. Dopo qualche istanti, una luce entrò dalla finestra e illuminò tutta la stanza.
«Svegliatevi, che dopo pranzo facciamo una partita a calcio con la Befana». Gli disse il loro padre.
La Befana era così stanca che non se l’era sentita di tornare a casa sua; ma aveva deciso di dormire nella stanza di Claus. Si spogliò e dopo, si  mise sotto le coperte, aveva bisogno di sentire l’odore di Claus.
I tre ragazzi scesero fino alla cucina per mangiare e dopo, aprirono le calze che gli aveva regalato la Befana.
Per loro non c’era il carbone, d’altronde erano stati molto bravi, arrivando perfino a salvare il natale.
Quando finirono di mangiare, si vestirono per fare una partita di calcio. Avevano improvvisato le porte, con degli alberi.
Avevano fatto due squadre: i tre ragazzi contro i loro genitori e la Befana. Giocavano e sorridevano, anche se era una partita amichevole e per passare il tempo, non si davano per vinti, infatti, i tre ragazzi non scherzavano quando tiravano la palla.
Daniel tirò un calcio alla palla, così potente che dopo aver rimbalzato per terra, superò il muro di cinta per poi andare a finire lontana.
«Che tiro fratello!». Esclamò William e dopo, s’avvicinò al fratello e  gli dette una strinta di mano davvero forte.
«Già, sono bravo». Gli rispose William.
«Vado a prendere la palla». Disse Henry.
Henry s’avvicinò al cancello per aprirlo e andare nella strada a recuperare la palla. Per qualche istante, si mise a cercarla, ma non la trovò. Allora, si guardò meglio attorno e s’accorse che era finita sotto una macchina.
S’abbassò per terra, si sdraiò e allungò un braccio per recuperare la palla che s’era incastrata in mezzo alla macchina. La tirò verso di se per prenderla, dopo s’alzò. Stava per tornare nella casa di Claus, quando, per pura casualità, guardò dritto davanti a se, c’era qualcosa che aveva attirato la sua attenzione.

«Quanto ci mette». Disse il loro padre. Attesero in silenzio il ritorno di Henry.

Henry s’incamminò lungo la strada, quando all’improvviso i suoi occhi videro qualcosa, che in quel preciso istante, non se lo sarebbe mai aspettato. Guardò dritto davanti a se e rimase immobile e senza parole.
Gli cadde la palla dalle mani e lentamente, cominciò a rimbalzare per terra. Bum… bum… faceva la palla, come  il suo cuore, che in quel preciso istante, stava battendo all’impazzata.
All’improvviso, gli cedettero le gambe e senza nemmeno accorgersene, s’accasciò per terra. Era come in trance: i suoi occhi guardavano davanti a se e la sua parte più razionale, non riusciva a capire se quello che vedeva con gli occhi era la realtà.
Se fosse stato un sogno, il suo io interiore gli stava giocando un tiro veramente crudele.
Henry rimase immobile e in quel preciso istante, gli sembrò che il tempo si fosse fermato.
Guardava solo davanti a se e dopo, i suoi occhi incominciarono a inumidirsi per poi, sfociare in un pianto, che lentamente gli cominciò a rigare la faccia.
Dopo qualche istante, s’accorse che quello che vedeva davanti agli occhi era reale. Henry incominciò a sorridere e dopo qualche secondo, accadde una cosa che avrebbe cambiato per sempre il corso della sua vita. 
Spalancò le braccia verso l’esterno, aprì i suoi occhi e sulla sua bocca comparve un sorriso.
Lentamente Claus, s’avvicinò verso di Henry; ma non era solo, con lui c’era suo fratello Sulac.
A fianco di Claus c’era qualcuno, che gli teneva la mano, camminavano fianco  a fianco.
C’era Neal a fianco di Claus, che lo stava tirando per andare da Henry. Era sempre il solito bambino, un po’ più alto di qualche centimetro, aveva i capelli leggermente più lunghi, ma i suoi riccioli erano sempre belli. I suoi occhi, erano sempre uguali; non erano per niente tristi, come se per lui il tempo non fosse mai passato.
Neal incominciò a correre verso di Henry e dopo, spalancò la bocca per poi sfociare in un sorriso.
Quando si trovò a pochi centimetri da Henry, Neal fece un salto e si gettò tra le braccia del fratello.
Neal abbracciò il fratello e appoggiò la sua testolina sulla sua spalla. Anche Henry, lo strinse forte a se e appoggiò la testa sulla spalla di suo fratello.
Quello era un abbraccio pieno d’amore. 
Henry chiuse gli occhi e annusò il suo fratello, gli era mancato da morire il suo odore; odore di bambino che si sporca e suda per giocare.
Si sciolsero dall’abbraccio e tutti e due avevano le lacrime agli occhi.
«Non è  mai stata colpa tua». Gli disse Neal, con la sua innocenza e la sua vocina da bambino.
Henry lo guardò intensamente negli occhi, ora non aveva più il peso che gli schiacciava il cuore, ora, era libero da tutto e da tutti.
Certo, i suoi genitori l’avevano già perdonato, ma il perdono di suo fratello era molto diverso; Neal era l’unica persona in grado di non farlo sentire più incolpa.
Henry s’alzò da terra e anche Neal si mise in piedi. Dopo, Henry, prese il suo fratellino da sotto le ascelle, lo alzò da terra e lo fece volteggiare intorno a se. Dopo qualche secondo, Henry lo strinse a se e Neal gli mise le mani intorno  al collo.
Claus e Sulac, osservavano la scena dei due fratelli con le lacrime agli occhi, perché quel momento era così magico.
«Grazie». Disse Henry a Claus, eppure con quella sola parola gli disse tante cose, che in quel momento, preso dall’emozione non riusciva a pronunciare.

«Ma quanto ci mette?». Chiese Daniel a tutti quanti.
«Dov’è andato a prenderla quella palla?, sulla luna?». Chiese anche William in un modo veramente ironico.
I loro genitori nel frattempo stavano parlando con la Befana. William e Daniel uscirono dal cancello e andarono sulla strada. Stavano sorridendo, fino a quando guardarono dritti davanti a loro.
Videro Henry, la palla, Claus, Sulac e il bambino biondo che Henry aveva stretto a se.
Al’inizio non capirono chi fosse quel bambino, anche perché si trovavano troppo distanti.
Incominciarono a correre e in quell’istante, gli sembrava che il tempo si fosse fermato, sarebbe stato molto bello se quello che gli era passato per la testa fosse diventato la realtà. I loro cuori battevano all’impazzata e all’improvviso, come per farsi coraggio si strinsero la mano.
Quando arrivarono a pochi metri da Henry, s’accorsero che accanto a lui c’era lui, il  loro fratellino.
Incominciarono a piangere, lacrime di gioia, lacrime che un anno fa erano uscite per il dolore e il senso di vuoto, invece, ora erano di pura gioia.
Entrambi, presero Neal in collo e lo strinsero dolcemente al loro petto.
Dopo tutti e quattro i fratelli s’abbracciarono, stando immobili per qualche minuto.
Non vedendoli arrivare i loro genitori e la Befana uscirono dal cancello. La Befana vide il suo marito, Claus e i genitori dei tre ragazzi, videro che insieme ai suoi figli, c’è n’era un altro, più piccolo e con i capelli biondi.
Anche loro non potevano credere a quello che vedevano davanti ai loro occhi, ma non erano sicuri, che quel bambino fosse Neal.  Certo, gli assomigliava tuttavia, era leggermente diverso.
S’incamminarono verso i loro figli, camminando lentamente. L’attesa e la speranza, si concentrarono tutti in quei pochi secondi. I loro cuori battevano all’impazzata e i loro occhi, che avevano pianto tutte le loro lacrime, da quando era scomparso, ora stavano piangendo dalla felicità.
Non appena s’accorsero che li davanti a loro c’era Neal, il figlio che avevano perso un anno fa.
«Neal?». Lo chiamò sua madre.
Neal si voltò verso la madre e le fece un sorriso.
«Ciao, mamma». Le disse, non si era dimenticato di sua madre. Dopo aprì le braccia e sua madre s’abbassò per prenderlo in braccio e stringerlo a se.
Stringeva suo figlio, il figlio che ormai pensava di non vedere mai più, se non nei suoi sogni durante la notte o quando chiudeva gli occhi.

Tutti quanti entrarono in casa, si misero a sedere sulle sedie nell’attesa di sentire come aveva fatto Claus a ritrovare Neal.
«Henry, mi ha raccontato di Neal e io vedevo quanto soffriva, l’avevo già capito che soffriva per qualcosa, ma mai mi sarei aspettato questa cosa.
Ho capito che dovevo fare qualcosa, ritrovare il suo fratello era l’unica cosa che potevo fare per non fare più soffrire Henry.
Così me ne sono andato senza dire niente, non volevo darvi false speranze, in questo modo vi avrei fatti soffrire di più.
La sera stessa, ho contattato un investigatore molto bravo, che mi doveva un favore e insieme ci siamo messi a investigare.
Sono riuscito a prendere una foto di Neal dal profilo facebook di Henry e poi lo studio del mio investigatore, è riuscito a fare un invecchiamento di un anno.
Dopo, ho condiviso questa foto sul mio profilo di facebook e ho chiesto a tutti di condividerla, perché quello nella foto era il fratellino scomparso di quello che aveva salvato il natale.
Ci sono state tante condivisioni.
Abbiamo anche iniziato a prendere i fascicoli del caso della scomparsa di Neal per vedere se avevano tralasciato qualche dettaglio. Siamo stati tante ore a cercare tra quei fascicoli, fino quando mi arriva una notifica di facebook, di una donna che mi diceva che aveva già visto quel bambino. Così, ho preso la palla al balzo e le ho chiesto se aveva una foto di quel bambino, visto che io e l’investigatore, non riuscivamo a trovare niente in quei fascicoli della scomparsa di Neal.
Pochi minuti dopo è arrivata quella foto, l’abbiamo vista, poi stampata e ci siamo accorti che c’era troppa somiglianza. Allora, le abbiamo chiesto dove aveva visto Neal.
Dopo, abbiamo deciso di sfruttare mio fratello, Sulac, per capire come agire al meglio.
Siamo andati a casa di quella famiglia e poi, abbiamo scoperto che avevano rapito vostro figlio.
Neal aveva camminato tanto quel giorno, questa famiglia l’aveva rapito e avevano detto a Neal che voi eravate morti. E alle altre persone dicevano che l’avevano adottato, ma tutto bene quello che finisce bene.
Dopo aver dimostrato che lui era veramente Neal, in modo veloce grazie all’aiuto di mio fratello, l’abbiamo riportato qui». Disse Claus.

«Aspettate!». Gridò la Befana, mentre correva verso i ragazzi. I ragazzi si fermarono e si voltarono verso la Befana.
La Befana aveva due scope per mano.
«Queste sono vostre». Gli disse, mentre allungava le mano verso i ragazzi per dargli le scope.
«Davvero?». Gli chiese William.
«Certo, così potrete volare, insegnarlo a Neal e tenervi in allenamento e… magari… e magari tornare l’anno prossimo per consegnare le calze insieme a me?».
«Certo». Gli rispose Henry e dopo, guardò i suoi genitori come per chiedergli il permesso.
«Certo». Gli risposero i suoi genitori in coro.
«Ehi!». Esclamò Claus e dopo, mise un braccio sulla spalla della Befana.
«Dovete anche consegnare i regali insieme a me». Disse ancora.
«Certo». Gli rispose Daniel.
I ragazzi e i loro genitori, andarono a fare le valigie e dopo, a due ore dal loro volo, Claus, la Befana e Sulac li salutarono con baci e abbracci.
Se ne stavano andando, stavano tornando a casa: erano venuti in tre, poi si erano aggiunti i loro genitori e infine, si era aggiunto il loro fratellino.
Henry aveva salvato il mondo e il mondo aveva salvato Henry.

RINGRAZIAMENTI.

Visto che in tutti i libri ci sono i ringraziamenti, li voglio fare anch’io. Prima di tutto voglio ringraziare tutti quei lettori, che mi hanno seguita fino a qui e che si sono appassionati a questa storia, settimana dopo settimana.
Voglio ringraziare te che hai letto la mia storia, anche se a volte non riuscivo a essere puntuale con la pubblicazione dei capitoli. Mi scuso se a volte non riuscivo a essere puntuale, ma a volte mi capita di non riuscire a scrivere e prima di scrivere qualcosa che non mi convince preferisco, rimandare la scrittura e la pubblicazione.
Ringrazio anche tutti quelli che leggeranno in futuro questa storia e che la condivideranno sui loro blog.
È sempre  dura mettere la parola fine a una storia, perché a differenza di quando leggo un finale di un libro, sento più miei quei personaggi. Allo stesso tempo è bello portare a termine una storia, poi rileggerla e accorgermi d’aver scritto qualcosa che mi piace.

Era già da un po’ di tempo che avevo in mente questa storia e sono contenta di averla potuta condividere con voi. Trovo che sia una bella storia, piena di speranza, con un bel messaggio e con dei personaggi davvero ben caratterizzati. 

2 commenti:

  1. Ciao ^^ ho visto che sei passata da me qualche giorno fa :3 scusa se non sono passata subito ma me ne sono scordata :P ma ora eccomi qui, iscritta al tuo blog :3 sono pronta a farmi un bel giretto *.*

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