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"L'ultimo capito di questa seconda parte, per me è il più bello che abbia mai scritto di questa storia. Dovete essere voi a giudicare, fatemi sapere nei commenti se vi è piaciuto.
Probabilmente, questa storia proseguirà con una terza e ultima parte, anche se non è ancora certa, perché non ho ancora buttato giù una trama, anche se qualcosa ho in mente. Se volte darmi dei suggerimenti su come portare avanti questa storia, li accetto volentieri.
Se volete, potete farmi delle domande su questa storia e io risponderò con un post a tutte le vostre curiosità. Questo capitolo è veramente lungo, buona lettura.
Probabilmente, questa storia proseguirà con una terza e ultima parte, anche se non è ancora certa, perché non ho ancora buttato giù una trama, anche se qualcosa ho in mente. Se volte darmi dei suggerimenti su come portare avanti questa storia, li accetto volentieri.
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Fatemi sapere se vi piace questa storia, se avete da criticare, fatelo pure, perché le critiche sono costruttive. Mi piacerebbe ricevere un vostro giudizio. Grazie per aver letto questa storia."
CI RIVEDIAMO CON LA TERZA PARTE A DICEMBRE 2015.
CI RIVEDIAMO CON LA TERZA PARTE A DICEMBRE 2015.
CAPITOLO 10: UN NUOVO
INIZIO
Pochi
giorni prima di capodanno i genitori di Henry si trovano nella loro camera.
Mentre tutto il resto della famiglia era impegnata a portare avanti i lavori
per la consegna delle calze da consegnare il giorno dell’epifania, loro erano
lì, nella loro camera, ma nella loro
testa vedevano oltre.
Infatti,
il giorno dopo avrebbero dovuto prendere un aereo per assistere all’udienza,
che per una volta per tutte, avrebbe messo la parola fine su tutta quella
storia.
Avrebbero
lasciato il passato alle spalle, anche se già un po’ lo avevano fatto; e anche
se non lo davano a vedere davanti ai loro figli, tutto quello che era successo
a Neal aveva lascito una traccia indelebile dentro di loro, che solo con il
tempo e il passare dei giorni, si sarebbe affievolita sempre di più.
Così,
mentre fuori nevicava, loro erano nella loro camera a preparare le valigie.
In
quel preciso istante, non si parlavano, non avevano niente da dirsi; eppure, si
capivano, l’uno capiva che cosa provava l’altro.
Lentamente,
le loro valigie si cominciarono a riempire e non appena finirono, le chiusero e
le appoggiarono per terra vicino al letto.
Si
spogliarono, indossarono il pigiama e si misero sotto le coperte. Si coprirono
fin sopra la testa e nel buio della notte, non avevano più paura del futuro,
perché qualsiasi cosa fosse successa, l’avrebbero affrontata insieme, come una
famiglia felice e serena.
Si
presero per mano e si sorrisero a vicenda. Chiusero gli occhi e lentamente,
scivolarono nel sonno, cullati dal pensiero che tutto quanto sarebbe andato
bene.
Alle
tre di notte la loro sveglia incominciò a suonare, così s’alzarono e dopo aver
fatto colazione, si lavarono, si tolsero il pigiama e indossarono dei vestiti
puliti. Uscirono dalla loro camera, indossarono i giacchetti e poi, trovarono
sulla porta un elfo pronto per accompagnarli all’aeroporto, dove da lì, avrebbero
preso il loro volo.
Così,
dopo una decina di minuti raggiunsero l’aeroporto. Da lì, sbrigarono tutto il
necessario per salire abbordo dell’aereo. Dopo un ora, erano già seduti sull’aero.
Misero
il bagaglio a mano nel porta bagagli, che si trovava sopra di loro, si misero a
sedere, s’allacciarono le cinture e si presero nuovamente per mano.
Si
stringevano così forte la mano, quasi fino a farsi male, ma in quel preciso
instante non gliene importa. Non avevano più paura, nel tunnel, quello che per
un anno intero era stato completamente avvolto dal buio delle tenebre,
finalmente vedevano la luce che rispendeva.
Così,
partirono. Durante il viaggio si misero ad ascoltare la musica e a guardare
qualche film dal loro iphone.
Avrebbero
dovuto incontrare il loro avvocato prima dell’udienza, perché aveva da dirgli
delle cose che erano veramente importati per il processo.
Così,
dopo essere scesi dall’aereo, presero i loro bagagli e lasciarono l’aeroporto.
Il
clima era diverso rispetto a quello della Lapponia, non c’era quel freddo
pungente che gli faceva gelare persino le ossa.
Dei
nuvoloni scuri si stavano sempre più avvicinando e minacciando il clima mite e
temperato.
Gli
mancavano terribilmente i loro figli, ma sarebbero andati a quel processo anche
per loro, per mettere, anche per loro, la parola fine su quella storia.
Il
padre di Henry, non riusciva ancora a sentirsi figlio di Claus, certo lo
ammirava, capiva che era una persona fantastica ed era contento che potesse
diventare il nonno dei suoi figli; forse, con il tempo lo sarebbe diventato,
con il tempo l’avrebbe accettato, fino a chiamarlo papà. Ci sperava, ci sperava
con tutto se stesso, ma per ora, non si sentiva ancora pronto a chiamarlo così.
Fin
da bambino aveva immaginato le fisionomie dei suoi genitori; addirittura, a
volte se li sognava durante la notte, lì, in quel mondo incantato, in cui i
suoi desideri potevano diventare realtà.
Tuttavia,
nella sua testa si ripeteva la stessa domanda che si faceva fin quand’era
piccolo: “perché l’aveva abbandonato?”.
Forse, se fosse riuscito a rivolgere questa domanda a Claus, sarebbe riuscito a
vederlo con occhi diversi e ad accettarlo come suo padre.
Non
vedeva l’ora di rivolgerli quella domanda.
Di
fronte all’aeroporto c’erano tanti taxi che stavano partendo e per questo, si
misero a correre e ad alzare una mano, per farne fermare uno.
Aprirono
lo sportello, salirono dentro e il padre di Henry lo chiuse.
Il
tassista girò la chiave per accendere la macchina e dopo pochi secondi, fece
manovra per immergersi nella carreggiata. Così, il tassista si diresse verso il
loro albergo.
Per
la strada c’era davvero tanto traffico; i genitori di Henry non si parlavano,
non avevano niente da dirsi. All’improvviso, lui le prese la mano e la strinse
forte tra la sua.
Il
padre di Henry, vedeva un futuro meraviglioso davanti a se; mentre pensò
questo, involontariamente, incurvò le labbra.
Non
chiedeva niente dalla vita: non voleva altro dalla vita. Aveva ritrovato Neal e
questa cosa gli bastava. Quando aveva perso Neal, il suo cuore si era come
spezzato in mille pezzi e non importava se ci fosse la luce o il sole, perché
lui viveva perennemente in un mondo fatto di oscurità.
Quando
arrivano di fronte all’albergo, pagarono il tassista e scesero dall’auto.
Entrarono
dentro all’albergo e dopo aver preso la chiave della loro stanza, presero
l’ascensore per raggiungerla.
Non
appena entrarono in camera si buttarono sul letto per rilassarsi. Stavano lì, sdraiati
a osservare il soffitto; dopo un po’ di minuti, s’alzarono e si fecero una
doccia rinfrescante, per rilassarli e togliersi di dosso il sudore.
Non
appena furono pronti, si vestirono e uscirono dall’albergo per andare a
incontrare il loro avvocato.
Si
tenevano mano nella mano, non avevano niente da dirsi e l’uno cercava sempre la
forza nell’altro; da soli si sentivano persi, ma insieme avrebbero potuto
spaccare il mondo.
Così,
dopo una decina di minuti raggiunsero l’ufficio del loro legale. Suonarono il
campanello e quando s’aprì la porta videro l’avvocato, vestito in modo
elegante, con un completo nero, una camicia bianca, una cravatta celeste che
riprendeva i colori dei sui occhi. Non appena se li trovò di fronte gli sorrise
e aprì ancora di più la porta per permettergli d’entrare nel suo studio.
Li
fece accomodare su delle sedie e dopo si sedette dietro di loro e per un istante,
chiuse gli occhi e sognò la vittoria. Ne era sicuro, avrebbe messo la parola
fine su quella brutta storia e i cattivi sarebbero stati consegnati alla
giustizia.
In
qualche modo, il bene trionfa sempre sul male, anche se a volte non è così.
L’avvocato c’è l’aveva messa tutta per arrivare alla verità e ottenere la
giustizia per quella famiglia che aveva quasi rischiato di perdere un figlio.
«Vi
volevo solo dire che credo che oggi, abbiamo tutte le carte in tavola per
mettere la parola fine su questa storia». Gli disse con il sorriso sulle labbra
e un tono della voce molto determinato.
Allora,
entrambi i genitori di Henry si guardarono negli occhi, si sorrisero e si
strinsero la mano.
S’avviarono
con il loro avvocato fino all’aula di tribunale e quando entrarono, si misero a
sedere e attesero che il processo iniziasse.
C’era
davvero tanto silenzio, tanto che i genitori di Henry sentivano soltanto il
rumore delle suole delle scarpe e delle carte che venivano spostate.
All’improvviso
il processo iniziò. I genitori di Henry, continuavano a tenersi per mano per
farsi forza a vicenda; da soli si sentivano fragili, ma insieme avrebbero
potuto affrontare ogni cosa.
«Abbia
inizio il processo». Gridò il giudice dalla sua postazione.
Ci
fu un momento di frastuono in cui tutti i flash delle macchine fotografiche, incominciarono
a scattare foto; in fondo all’aula c’erano anche le telecamere delle varie
emittenti televisive.
Dalle
persone presenti in aula si alzò un leggero brusio.
«Silenzio
in aula». Gridò il giudice.
Il
giudice incominciò a chiamare tutti i testimoni dell’accusa e della difesa.
Molte persone s’alternarono per raccontare la loro testimonianza e la verità
dei fatti.
Parole
su parole e dopo diversi minuti, l’avvocato dei genitori di Henry si rese conto
che dalle testimonianze di quelle persone era emerso un particolare nuovo, che
avrebbe potuto distruggere il suo capo accusatorio nei confronti delle persone
che avevano tenuto prigioniero il piccolo Neal per quasi un anno.
Cominciò
a sudare freddo, ma quello era il suo mestiere e lo sapeva fare anche piuttosto
bene; ma questa volta, era stato messo in difficoltà dai testimoni della
difesa.
Mantenne
la concentrazione e nella sua testa pensò velocemente a un nuovo discorso che
avrebbe potuto mettere la parola fine a questa storia.
«Ora
la parola all’avvocato della difesa». Disse il giudice.
L’avvocato
della difesa s’alzò dalla sedia, s’incamminò fino al centro della stanza e si
mise a guardare tutte le persone che aveva di fronte a se.
«Come
avete sentito dalle nuove testimonianze è emerso che loro». Si fermò per
qualche istante e poi li indicò, puntandoli con il dito della mano.
Dopo
continuò a fare la sua arringa, con un tono della voce ancora più deciso.
L’avocato che difendeva Henry, si vedeva sempre più con le spalle al muro, ma
non per questo si perse d’animo.
«Dalle
nuove testimonianze è emerso che loro due non sono stati la mente del rapimento
del piccolo Neal. Come avete potuto ascoltare dalle parole sincere dei nuovi
testimoni. Hanno confessato persino i miei due assistiti». Continuò l’avvocato
della difesa. Poi si fermò per quale secondo e guardò in faccia la giuria.
«È
giusto che i miei assistiti paghino per qualcosa che non hanno commesso?».
Gridò e tenne gli occhi fissi sulla giuria.
«Lascio
a voi il vostro giudizio. Ho finito». Disse ancora e poi s’incamminò verso il
suo posto a sedere.
«La
parola all’avocato dell’accusa». Disse il giudice.
L’avvocato
della famiglia di Neal, s’alzò dalla sedia, s’incamminò verso il centro di
quella stanza e si girò verso la giuria. Era agitato e il suo cuore stava
battendo leggermente più veloce, non era calmo e non riusciva a calmarsi;
invece, per fare la sua arringa avrebbe
dovuto ritrovare la sua calma interiore.
Chiuse
gli occhi e quando li riaprì si rilassò leggermente. Gli bastò pensare al
piccolo Neal e alla sofferenza che aveva provato il povero piccolo. Doveva
lottare, doveva lottare per lui.
«Il
mio collega avvocato, vi ha fatto capire bene le sue idee. Da queste nuove
testimonianze è emerso che probabilmente loro non sono i mandanti». Smise di
parlare per qualche secondo.
«Allora!».
Gridò, con un verso di sfida contro la giuria e poi, alzò lo sguardo verso di
loro.
«Allora!,
se non sono del tutto colpevoli, sono innocenti?». Gridò ancora più forte.
Tra
le mani teneva della carte e nel bel mezzo del silenzio, si mise a sfogliarle
fino a trovare quelle che gli interessavano. Poi s’incamminò verso la giuria,
con un passò deciso.
«Guardate!».
Esclamò.
Poi,
appoggiò sul banco alcune foto che erano state scattate a Neal, nel momento in
cui era stato ritrovato. La giuria incominciò a passarsi quelle foto.
«Vedete,
quel bambino si chiama Neal e quelle
foto sono state scattate il giorno in cui lo hanno ritrovato in quella casa.
Vi
sembra un bambino felice?. Un bambino a cui era stato detto che i suoi genitori
non lo volevano più?. Un bambino, che seppur trattato bene, aveva dentro se, ed
ha tutt’ora delle ferite che forse non si riemergeranno più.
Loro
due saranno anche i mandanti, ma devono
pagare lo stesso per tutto il male psicologico che hanno fatto a questo
bambino». Gridò ancora più forte.
Dopo,
la giuria cominciò a guardare quelle immagini di Neal, che mostravano un
bambino che non aveva più la spensieratezza tipica della sua età.
Quando
finirono di guardarle le riconsegnarono quelle immagini all’avvocato; qualcuno
di loro aveva perfino gli occhi lucidi.
«Ho
finito». Disse l’avvocato e si rimise a sedere al suo posto.
«Bene,
ora la giuria può riunirsi per formulare un verdetto». Disse il giudice.
Così,
la giuria s’alzò dalla sedia per andare a decidere un verdetto.
L’avvocato
dei genitori di Henry, sapeva che anche in caso di una condanna dei due
mandanti, questo processo non era ancora
finito, mancava ancora la mente o le menti responsabili del rapimento di Neal.
L’avvocato
aveva capito che c’era qualcosa di più grosso dietro questa faccenda. Una cosa
la sapeva bene, non si sarebbe mai arreso fino a quando la verità non sarebbe venuta a galla.
I
genitori di Henry aspettavano in silenzio il responso della giuria e per tutto
questi tempo tennero le loro mani strette e unite più che mai.
Il
tempo sembrava non passare mai: i secondi diventavano minuti, i minuti
diventavano ore e le ore diventavano giorni.
Finalmente,
dopo qualche ora, la giuria rientrò in alula e uno dei giudici s’avvicinò al
microfono e lo alzò all’altezza della sua bocca.
Sotto,
appoggiato al banco, teneva tra le mani il foglio dove tra qualche istante
avrebbe dovuto leggere il verdetto.
Prima
d’iniziare a parlare, si schiarì la voce.
«La
giuria a verdetto quasi unanime ha deciso di condannare i due mandanti.
Tuttavia, ritiene anche che il caso non è ancora chiuso e che siano necessarie
ulteriori indagini arrivare ai colpevoli». Disse e poi se ne andò.
La
sera di capodanno Sulac rimase per molti minuti a sedere, mentre vedeva gli
altri divertirsi, lui era lì a pensare a suo fratello. Per una volta, dopo
tanti giorni vedeva una via d’uscita. Finalmente, si era aperto un varco,
finalmente, riusciva a vedere la luce.
In
quel momento, sognava di riabbracciare suo fratello, tanto che dai suoi occhi incominciarono
a scendere delle lacrime involontarie.
Le
sue labbra s’incresparono, fino a formare un sorriso sulla sua bocca.
Dopo,
s’alzò e anche lui, si mise a ballare e a cantare insieme a tutti gli altri.
Tutto
intorno a lui era buio e illuminato dalle luci natalizie che si trovano appese
agli alberi.
In
cielo vedevano ancora i fuochi d’artificio delle persone che nonostante il
passare della mezzanotte, non ne volevano sapere di smettere di festeggiare.
Continuarono
a ballare, erano tutti felici e il tempo sembrava non passare mai.
Ogni
tanto si scambiavano di coppia, per fare in modo che potessero ballare con
tutte le persone che erano presenti a quella festa.
All’improvviso,
una persona si mise a gridare per Claus e lentamente, tutte le persone presenti
a quella festa incominciarono a gridare.
«A
Claus, Claus libero!». Gridavano in continuazione, come dei pazzi e
saltellavano anche sul posto. Tutti quanti credevano in quello che stavano
gridando; esiste sempre la giustizia e Claus, non si meritava di essere
richiuso in qualche parte del mondo e lontano dalla sua famiglia. Era sempre stato
troppo buono con le persone che neanche conosceva. Tutti quanti credevano che
il bene trionfava sempre sul male.
Poi
ripreso a ballare e Sulac incominciò a ballare con Henry. Per un po’
rimasero in silenzio, quasi incantati
dalla magia del primo dell’anno. L’unico giorno dell’anno in cui tutte le
persone potevano almeno pensare di azzerare le loro vite e provare a
raggiungere i loro obbiettivi.
Henry
guardò negli occhi Sulac e mentre un lampione illuminò il volto di Sulac, Henry
vide qualcosa di strano nei suoi occhi.
«Che
hai?». Gli chiese e lo guardò ancora più attentamente.
«Hai
tutti gli occhi rossi?, umidi?». Disse ancora, restò in silenzio e aspettò una
sua risposta, che sembrava non voler arrivare.
«Hai
pianto?». Gli chiese ancora Henry.
Sulac
abbassò la testa fino a incontrare gli occhi del piccolo Henry.
Sospirò
e chiuse gli occhi. Sapeva che da li a poco avrebbe dovuto raccontagli quello
che aveva scoperto; ma aveva paura di illuderli, che di li poco, avrebbero
potuto riabbracciare Claus, quando nemmeno lui ne era certo.
«Sì».
Gli rispose, senza aggiungere altre spiegazioni.
«Perché?».
Gli chiese Henry.
Sulac
non gli rispose subito, in quel preciso istante non se la sentiva.
«Ti
prego!..., Non adesso…!, domani ti spiegherò tutto». Gli rispose, quasi
supplicandolo.
«Godiamoci
la festa». Gli disse, dopo qualche secondo, con un sorriso pieno d’allegria.
Così,
continuarono a festeggiare fino a quando i loro occhi riuscirono a stare aperti
e dopo, quando la luna se ne stava andando per fare il posto a un sole
splendente, se ne andarono a dormire.
Quella
sera non appena ritornano a casa di Claus, andarono tutti a dormire. Era molto
tardi e la luna era già in alto nel cielo; splendeva e con la sua poca luce
riusciva a rendere magico tutto ciò che riusciva a illuminare.
Dormirono
fino a tardi e quando il sole incominciò a illuminare la stanza, Henry iniziò
ad aprire gli occhi.
Era
il primo dell’anno e tra pochi giorni avrebbero dovuto fare di nuovo il giro
del mondo.
S’alzò,
si tolse il pigiama e si mise i vestiti.
Quando
arrivò in cucina trovò l’elfo cuoco immerso tra i fornelli per preparare la
colazione a tutti quanti. Nell’aria c’era un profumo dolce di briosce appena
sfornate.
«Che
buon profumo». Disse Henry all’elfo cuoco.
L’elfo
cuoco si voltò verso di lui e gli sorrise. Nel frattempo, si mise a
apparecchiare la tavola con tutte le tazze e i cucchiai per fare la colazione.
Henry,
mentre aspettava che l’elfo cuoco finisse di preparare la colazione, andò in sala
per vedersi un po’ di televisione. La sala era quasi completamente al buio, se
non per il fatto che il camino acceso, riusciva a illuminarla leggermente.
Da
lontano vide che qualcuno stava camminano in su e in giù per quella stanza. Non
appena s’avvicinò, s’accorse che si trattava di Sulac.
Accese
la luce, gli andò in contro e quando i loro sguardi s’incrociarono s’accorse
che i suoi occhi erano molto rossi e che sotto aveva delle occhiaie da far
paura, come se avesse passato la notte in bianco.
«Che
hai?». Gli chiese Henry.
«Vi
devo dire una cosa e ho paura». Gli ripose.
«È
una cosa brutta?». Gli chiese ancora Henry.
Sulac
si buttò a sedere sul divano e poi guardò Henry in faccia.
«No,
potrebbe essere una cosa bella… oppure…. una delusione». Gli ripose e in
quell’istante sembrava avere lo sguardo perso nel vuoto e aveva paura.
«Di
a tutti di raggiungermi in salotto, dopo che avranno fatto colazione». Aggiunge
Sulac dopo qualche secondo e Henry annuì.
Quando
tutti quanti si svegliarono, andarono in salotto e si misero a sedere sui
divani. Sulac, invece, stava in piedi e anche se cercava di non darlo a vedere,
tutti quanti potevano notare quanto fosse nervoso.
Tutti
quanti restarono in silenzio nell’attesa che Sulac iniziasse a parlare; lo
scrutavano attentamente nel volto, come a voler carpire qualcosa, ma il suo
volto non trasmetteva alcuna emozione.
«Allora,
da dove comincio». Disse e poi guardò tutti quanti.
«Quello
che ho da dirvi è importante, è una cosa positiva, che però, non potrebbe avere
un risvolto positivo». Disse ancora e attese una loro reazione, ma tutti quanti
se ne stavano in silenzio e aspettavano che lui continuasse a parlare.
«Qualunque
cosa ci dovrai dire, bella è brutta che sia ricordati che siamo una famiglia».
Disse Henry, dopo Sulac si voltò verso di lui e lo guardò in faccia.
«Nel
bene o nel male, ci sopporteremo a vicenda, siamo diventati una famiglia
unita». Disse anche William, per fargli capire bene il concetto.
Sulac
non era calmo, infatti incominciò a camminare in su e in giù per la stanza,
mentre con una mano si toccava la barba pungente che gli spuntava dalla faccia.
Improvvisamente,
smise di camminare e si fermò al centro della stanza, li guardò in faccia uno
per uno e dopo, capì che erano una famiglia unita; in quel momento trovò una
pace interiore, non aveva più paura.
«Ho
scoperto, ho scoperto tutto grazie a quello che mi ha raccontato ieri sera Neal
e quello che mi era successo qualche tempo fa, sono riuscito a capire perché e
chi ha rapito mio fratello.
Torniamo
indietro di qualche mese, quando mi ero candidato come capo del governo e come
sapete, avevo queste mie idee rivoluzionarie e che non piacevano a tutti i
politici vecchio stampo.
Ho
lottato contro tutto e tutti per portare avanti le mie idee, io ci credevo ero
determinato a portarle avanti, perché il mondo si meritava una rinascita. C’era
anche chi mi diceva che il mondo stava sempre andando a diritto e che io,
volevo svoltare bruscamente, per non seguire più quella strada dritta che ci
aveva portato a questa crisi. C’era chi mi diceva che ero folle, lo sapevo
d’esserlo e per questo, ero sempre più convinto che quello volevo fare era giusto.
Così,
un giorno mi arrivò un e-mail di minaccia in cui, c’era scritto che se non mi
fossi ritirato dalle elezioni, avrebbero fatto del male alle persone a me più
care.
L’unico
mio errore è stato quello di non dargli peso, perché ne ricevevo tante di
queste lettere minatorie. Vi confesso che avevo paura per me e per voi, sapete
vi voglio molto bene; ma sapevo anche che questo mondo aveva bisogno di
qualcuno che rimettesse le carte in tavola, qualcuno che con idee pazze e quasi
folli, riuscisse a sconfiggere questa crisi». All’improvviso, fu interrotto.
«Siamo
fieri per quello che hai fatto». Gli disse Henry e pochi istanti dopo, tutti
quanti annuirono in silenzio, muovendo la testa e tenendo nel volto un
espressione che dimostrava soltanto quanto fossero fieri di lui.
«Grazie.
Poi ho conosciuto te, Henry. Lo scorso natale con quello che hai fatto hai dato
una lezione a tutto il mondo e anche a me. “Mai
arrendersi, anche se quello che vogliamo sembra irrealizzabile”. Mi hai
dato un ulteriore carica, rispetto a quella che avevo già prima di conoscerti.
È quando pochi giorni fa ho scoperto d’essere il tuo bis-zio, un bis-zio molto
giovane…». Dalla sua bocca incominciò spuntare un sorriso, era molto vanitoso
di se stesso quando di vantava per la sua giovane età
«Sono
orgoglioso che te sei sangue del mio sangue». Disse guardando Henry direttamente
negli occhi, la stima che provava per quel ragazzino era davvero immensa. Come
si ripeteva sempre: “un adulto, nascosto
in un corpo di un ragazzino”.
Dopo
pochi istanti, riprese a parlare.
«Claus
è sparito e nonostante tutto, anche se chi l’ha rapito ha tentato di non farci
consegnare i regali a tutte le persone, noi siamo andati comunque avanti,
perché Claus non si sarebbe arreso alle loro minacce e avrebbe fatto di tutto
per portare avanti il natale». Si fermò per qualche istante e con uno sguardo
ringraziò Henry, per avergli gridato contro quel girono e come un leone
inferocito, aveva tirato fori le unghie e per far capire a tutti quanti la
grossa cavolata che stavano per fare.
«Ieri….,
ieri…., ieri….». Non riusciva a parlare, più pensava a quello che avrebbe
voluto dirgli e più gli ritornavano alla mente, le immagini del piccolo Neal,
spaventato, come non lo aveva mai visto prima.
«Ieri
ho capito tutto, almeno credo. Ho capito perché hanno rapito Claus ed stata
tutta colpa mia». Disse Sulac e dopo, si voltò da tutti loro, in modo da dargli
le spalle. Era triste e i suoi occhi incominciarono a reagire a quel sentimento
di disperazione che sentiva sempre più crescere dentro di se. Chiuse gli occhi
e si concentrò per non piangere, non voleva piangere voleva essere forte, forte
come si era dimostrato nel suo lavoro da politico e forte come quando aveva
lottato contro quelli che non credevano nelle sue idee.
In
realtà, lui non era così forte come dava a dimostrare agli altri; era una molto
forte e al tempo stesso, molto sensibile. Era sempre stata questa sua
sensibilità a spingerlo a fare del bene alle persone, un elemento della sua
personalità che aveva trasmesso a Henry.
Quando
riaprì gli occhi, erano leggermente umidi; non voleva piangere, non voleva
farsi vedere debole, ma il quel preciso istante non ci riusciva. Così, gli
cadde una lacrima da un occhio e gli scese lungo la guancia, fino a rigargli il
volto.
Lentamente,
dopo qualche secondo, le lacrime cominciarono a scendere sempre di più, fino a
quando, non riuscì più a contenerle e iniziò a singhiozzare; lentamente, anche
se non voleva, incominciò a muovere le spalle in modo brusco.
Si
sentiva in colpa per tutto quello che successo alla sua adorata famiglia, la
cosa più preziosa nella sua vita. Sapeva anche che non era stata colpa sua, ma
delle persone crudeli, che avevano causato tutto quanto.
Tutta
la sua famiglia, non seppe più resistere allo strazio della sue lacrime, per
questo, s’alzarono dal divano, gli andarono incontro e lo abbracciarono forte,
per fargli sentire quanto amore c’era nell’aria.
«Qualunque
cosa sia successa o non so per quale motivo ti senti responsabile del rapimento
di Claus, puoi dircela. Noi non ci arrabbieremo mai con te, siamo una famiglia
unita». Disse Henry.
Tutta
la famiglia smise di abbracciarlo e dopo pochi istanti, Sulac si voltò verso di
loro e all’improvviso, smise d’essere triste grazie all’affetto della sua
famiglia.
Sulac
si abbassò e dopo aver afferrato Henry, lo tirò su per stringerlo forte al suo
petto; anche Henry ricambiò l’abbraccio e lo strinse forte a se.
Dopo,
tutti quanti ritornarono a sedere sul divano, tranne Henry, che dopo essere
sceso da Sulac, gli rimase affianco e gli strinse la mano. Henry non lo sapeva,
ma gli infondeva coraggio.
«Poi,
ieri sera, Neal mi ha raccontato tutto quello
che gli era successo quando era stato rapito e da li, ho capito tutto.
Sapete
è stato un caso, Neal mi stava aiutando a rigovernare, quando tutto a un
tratto, al telegiornale ha sentito una voce e l’ha riconosciuta subito ed ha
capito che era uno dei suoi rapitori.
La
voce che ha sentito è quella del politico vecchio stampo, quello che era
contrario alle miei idee e che poi io ho preso il suo posto quando sono stato
eletto». Smise di parlare e li guardò in faccia uno per uno, pensava che avessero
capito come aveva fatto lui la sera prima, invece, l’espressioni delle loro
facce erano molto perplesse.
«Avete
capito è tutto collegato: il rapimento di Neal, le e-mail di manaccia che mi
hanno mandato e ora, il rapimento di Claus.
Non
so come ha fatto, ma sicuramente ha scoperto che Neal era un mio parente e per
questo l’ha rapito, sono sicuro che se non l’avessimo trovato, l’avrebbe
sfruttato per farmi rinunciare al mio mandato e forse, non lo so… ci sarebbe
riuscito. Per fortuna l’abbiamo trovato e abbiamo rovinato i suoi piani.
A
questo punto non aveva niente a cui aggrapparsi, mi ha mandato delle e-mail,
minacciandomi di fare del male alla mia famiglia se non avessi cancellato tutte
le mie riforme, ma io non gli ho dato peso, anche se avevo paura per tutti voi,
perché vi voglio tanto bene». Smise di
parlare per qualche istante e dai suoi occhi incominciarono a scendere delle
lacrime, perché credeva davvero in quello che aveva appena detto. Lentamente, i suoi occhi si bagnarono e qualche lacrima
gli incominciò a rigare la faccia.
Rapidamente,
s’asciugò il viso con la manica della felpa, mentre il resto della sua famiglia
aspettava in silenzio la sua spiegazione.
«Per
questo ha rapito Claus, avete capito!. Mi voleva far rinunciare al mio incarico
a tutte quelli leggi che ho fatto per migliorare l’economia di questo mondo.
Prima
per riavere Claus, ci ha chiesto di annullare il natale, per vedere se ci
saremmo arresi e caduti si suoi piedi». Si fermò per qualche istante prima di
dire quello che gli passava per la mente.
«Che
tipo di persona può chiedere di rinunciare al natale?, che tipo di persona è
così crudele, da non immaginarsi la tristezza delle persone, specialmente dei
bambini e dei ragazzi che quando si alzano la mattina di natale non trovano i
regali di natale sotto l’albero?». Chiese Sulac a tutti quanti, che in quel
momento se ne stavano in silenzio ad aspettare che lui riniziasse a parlare.
«Un
mostro». Gridò con tutta la rabbia che aveva in corpo, poi, il suo viso assunse
un espressione di pura rabbia, tanto che aveva cominciato a digrignare i denti
e stringeva le dita delle mani, in un pugno così forte da lasciarsi il segno
sulle mani.
«Un
mostro, che non faceva niente per uscire da questa crisi.
Poi
mi ha minacciato chiedendomi di annullare tutte le mie riforme, ma anche in
questo caso, ho deciso di non farlo; perché mio fratello non lo avrebbe mai
voluto, come non avrebbe mai voluto che rinunciassimo al natale». Smise di
parlare e alla fine, tutti quanti finalmente capirono quello che era successo.
Si
trovano ancora in sala e Sulac aveva appena finito di spiegargli la sua
ipotesi, che anche secondo loro poteva essere vera.
Avevano
qualcosa a cui aggrapparsi, a qualcuno sarebbe sembrato niente, un illusione,
ma per loro era tanto.
Questa
ipotesi aveva riacceso la speranza nelle loro menti e nei loro cuori.
«Non
possiamo stare fermi a far niente, no. Andiamo a raccontare questa storia alla
polizia ». Gridò William, dopo essersi alzato in piedi.
«Riportiamo
Claus nella nostro famiglia». Disse Henry e anche lui s’alzò in piedi accanto
al fratello.
«Facciamo
in modo di festeggiare il giorno della Befana insieme a lui». Disse Neal e
anche lui, s’alzò in piedi accanto a Neal.
«Saremmo
più aggressivi e motivanti se non indossassimo questi ridicoli pigiami!».
Esclamò Henry e tutti quanti si misero a ridere.
Lasciarono
la sala e si recarono nelle loro camere per prepararsi, lavarsi e vestirsi.
Una
mezzora dopo, si ritrovarono tutti quanti in cucina.
«Andiamo?».
Chiese Henry a Sulac.
«Sì,
ma non possiamo andare tutti, qualcuno deve andare a finire di preparare le
calze». Gli ripose Sulac.
«Noi
ragazzi andiamo a confezionare le calze e voi alla polizia?». Propose William e
Sulac.
«D’accordo».
Gli ripose Sulac.
Dopo
esseri vestiti, con le giacche, cappellini, guanti e sciarpe, uscirono di casa
e si divisero in due gruppi.
I
genitori di Henry, Sulac e la Befana erano diretti alla stazione di polizia,
mentre i ragazzi avrebbero continuato i preparativi per il giorno della befana.
I
due gruppi salirono in macchina e dopo aver superato il cancello, si separarono
prendendo due strade completamente opposte.
Era
il primo gennaio e l’anno era cominciato in modo diverso da come era finito;
tutti quanti non vedevano l’ora di riabbracciare Claus, ora questa cosa non gli
sembrava così lontana come i giorni addietro. Sembrava così vicina, tanto che gli
bastava allungare il braccio per poter ritrovare Claus. Dentro di loro sapevano
che Claus sarebbe ritornato a casa, ne erano certi; il bene trionfa sempre sul
male.
Nella
macchina di Sulac se ne stavano tutti quanti in silenzio e l’unico suono che
sentivano era quello della radio che trasmetteva la musica.
Dopo
una decina di minuti arrivarono di fronte alla stazione della polizia. Sulac spense
il motore e quando tutti quanti furono usciti dalla macchina, la chiuse
premendo il bottone sulla chiave.
S’avviarono
a piedi fino alla porta d’ingresso della polizia. Passo dopo passo si stavano
avvicinando sempre di più alla stazione di polizia, ma non solo a quella.
Passo
dopo passo si stavano avvicinando sempre più a riavere Claus. Aprirono la porta
e s’incamminarono verso la stanza del poliziotto che curava il caso di Claus. A
tutti quanti batteva il cuore all’impazzata ed erano tesi come una corda di
violino.
Sulac
bussò alla porta.
«Avanti».
Gridò il poliziotto e solo allora, Sulac aprì la porta.
«Buon
giorno». Disse Sulac al poliziotto.
«Buon
giorno anche a lei». Disse il poliziotto con un’aria molto perplessa. Non
capiva perché Sulac era di fronte a lui, visto che non c’erano novità sul caso
della scomparsa di Claus.
«Che
c’è?». Gli chiese e con un gesto li invitò a sedersi sulle sedie che si
trovavano di fronte a lui.
«Non
ci sono delle novità sul caso». Gli disse amareggiato.
«Io,
invece ho delle novità». Gli disse Sulac.
«Mi
dica». Gli disse il poliziotto.
«Credo
di sapere chi ha rapito mio fratello e anche il motivo per il quale l’ha
fatto». Gli disse Sulac.
Il
poliziotto incuriosito non vedeva l’ora d’ascoltare quello che aveva da dirgli
Sulac, perché anche lui, come tutti gli altri, non vedeva l’ora d’arrivare alla
verità e di rendere giustizia a Claus.
Così
Sulac si mise a raccontare tutta la storia che quella mattina aveva già
spiegato a tutta la sua famiglia. Il poliziotto ascoltò tutto quanto con molto
interesse, cercò di ragionare in modo distaccato, per essere più obbiettivo
possibile, anche se era molto difficile non farsi travolgere dalle emozioni.
D’altronde tutti quanti volevano molto bene a Claus, chi non voleva bene a un
simpatico vecchietto che faceva di tutto per far del bene alle persone.
«La
sua idea, mi convince molto e tutto quadra, ma non possiamo interrogare quel
politico senza delle prove.
Cercheremo
delle prove, per muovergli un’accusa più valida e poi lo interrogheremo per
farci dire dove si trova Claus». Disse il poliziotto.
Anche
i ragazzi, non appena arrivano a casa della Befana, non persero tempo e una
volta usciti dalla macchina, entrarono subito in casa della Befana per poi
raggiungere il magazzino e iniziare così a confezionare le calze.
Mentre
confezionavano parlavano tra di loro e tutti i ragazzi fecero sapere agli elfi
della Befana, che c’era una concreta possibilità di riabbracciare Claus.
Tutti
quanti, presi da un momento di euforia, lasciarono il loro banco da lavoro, si
riunirono al centro e s’abbracciarono in un abbraccio pieno d’amore e di
speranza. Si misero a gridare come pazzi il nome di Claus. Gli mancava
tremendamente e anche se senza di lui avevano portato avanti il natale, non era
stata la stessa. A Henry, Daniel, William e Neal, mancava il loro nonno; a
Clary e Gabriel mancava il loro padre; alla Befana gli mancava suo marito e
tutto il mondo mancava Claus.
Pochi
istanti dopo, ritornarono seri e si rimisero a confezionare le calze, avevano
ancora montagne di calze da confezionare, tanto che sembrava che non finissero
più.
Ma
loro si divertivano a confezionare le calze, perché nel mentre parlavano e
ascoltavano la musica. Ogni tanto si mettevano a sgranocchiare qualche
dolcetto, cercavano di resistere, ma a volte gli veniva l’acquolina in bocca e
non sapevano resistere al delizioso profumo di dolce di quello che gli capitava
tra le mani.
Già
da qualche giorno gli elfi sarti della Befana stavano cucendo i sacchi che poi
i ragazzi avrebbero dovuto portare sulle loro spalle. Avevano passato molte ore
a intrecciare i fili di juta e alla fine, erano riusciti a creare i sacchi per
tutti i ragazzi. Quei sacchi erano molto grandi e come quello di Claus, i dolci
e la frutta che mettevano dentro sarebbero diventati talmente piccoli da
scomparire.
A
ogni sacco avevano ricamato il nome di ogni ragazzo, di colore rosso e in netto
contrasto con il colore giallognolo del sacco di juta.
Tutti
i ragazzi avevano continuato a lavorare per il giorno della befana, riempiendo
le calze di dolci, caramelle, frutta e quando qualcuno se lo meritava, perché si
era comportato veramente male, avevano inserito anche il carbone, quello vero per fare la brace.
«Venite».
Gli disse un elfo, non appena s’affacciò alla porta del laboratorio della
Befana.
«Certo».
Gli risposero in coro.
«Vi
dobbiamo preparare i vestiti, come l’hanno scorso. Vestiti alla moda come
piacciono a voi giovani, tuttavia, rovinati per farli sembrare vecchi, come da
tradizione si veste la befana». Disse l’elfo.
L’elfo
sarto aveva un metro appeso al collo e sulla maglia, aveva infilati diversi
aghi e le sue mani erano tutte sporche di gesso bianco.
Così,
i ragazzi smisero di confezionare le calze, s’avvicinarono all’elfo e lo
seguirono fino alla sua stanza. Montarono diverse rampe di scale, fino a quando
si ritrovarono di fronte a una porta che si trova in fondo al corridoio.
L’elfo
sarto aprì la porta e gli fece cenno con una mano per invitarli a entrare
dentro. La stanza era davvero molto graziosa; aveva molte finestre per
illuminare bene l’ambiente, aveva una scaffalatura dove c’erano davvero
un’infinità di tessuti.
C’erano
diversi tavoli e molti elfi pronti a creare i vestiti, su un tavolo in fondo a
una parete c’erano tutti gli strumenti che utilizzavano i sarti.
«Ora
vi prendiamo le misure». Così a uno a uno, incominciarono a prendergli le
misure del collo, del torace, della vita, del sedere, delle cosce e dei
polpacci.
Dopo
gli fecero delle domande, per capire quali vestiti che gli piaceva indossare.
Così, pochi minuti prima delle otto avevano già finito di prendergli le misure,
li lasciarono liberi e i ragazzi corsero fino alla cucina, invogliati dal
delizioso profumo che sentivano nell’aria.
Una
volta usciti dalla stazione della polizia s’abbracciarono tutti insieme;
avevano bisogno l’un l’altro. Erano da quasi un mese intrappolati in un tunnel
buio, ma adesso vedevano uno spiraglio di luce.
S’avviarono
fino alla loro macchina e una volta saliti, Sulac accese il motore e s’immerse
nel traffico per raggiungere la casa di Claus.
«Vedrai
lo troveranno». Disse la madre di Henry alla Befana e dopo, le strinse la mano per farle coraggio.
«Lo
spero». Le rispose. E per un po’ stette
in silenzio.
«Sai,
io ho visto mio marito prima che sparisse, è ho capito che era contento di aver
trovato tutti questi nipoti e un figlio». Disse la Befana alla madre di Henry.
Il
padre di Henry alzò la testa e si mise a pensare a Claus e anche se si era
affezionato a lui, faceva fatica a chiamarlo “padre”.
«Non
me l’ha detta questa cosa, ma io sono sua moglie e spesso capisco quello che pensa
anche se non me lo dice. Forse…, era rimasto turbato, ma in modo positivo.
Forse…, c’è l’aveva con se stesso, per non averti potuto crescere come un
figlio e aver perso gli anni migliori con te e con i tuoi figli». Disse la
Befana al padre di Henry.
«Sono
sicura che è stato contento quando a saputo che tu sei suo figlio è che Henry
era suo nipote. Sai, è sempre stato fiero di Henry e a volte mi diceva che
nonostante lo sentiva come un suo nipote, gli sarebbe piaciuto davvero se lo
stato fosse veramente». Disse ancora la Befana.
Quando
raggiunsero la casa di Claus, dopo aver parcheggiato, entrarono in casa e non
trovarono i loro figli.
«Dove
sono tutti quanti?». Chiese la Befana all’elfo cuoco che stava finendo di
preparare la cena.
L’elfo
cuoco si voltò verso la Befana.
«Hanno
deciso di rimare a casa tua, perché hanno detto che vogliono provare a volare
di notte, sai per riprenderci un po’ la mano». Le spiegò l’elfo.
Dopo
aver mangiato la buonissima cena che gli aveva preparato l’elfo cuoco, andarono
a dormire.
Tutti
quanti non vedevano l’ora di ricevere la telefonata dal poliziotto, per
ricevere la notizia del ritrovamento di Claus.
Mancavano
pochissime ore al giorno della Befana e tutti quanti erano impegnati a
confezionare le ultime calze.
Sulac
teneva sempre il cellulare acceso nella tasca dei suoi pantaloni, perché
sperava tanto di ricevere una telefonata dal poliziotto; ma più passavano le
ore e più le sue speranze cominciavano a vacillare. Una parte di lui gli diceva
di non avere paura, ma c’era anche un’altra parte, che aveva un paura così
intensa da fargli gelare il sangue delle vene.
Invece,
i ragazzi passarono la maggior parte di queste ultime ore a volare, a tutte lo
ore del giorno. Furono i ragazzi a insegnare a volare sulla scopa all’amica di
Henry e Daniel; all’inizio erano davvero buffe, ma con il passare dei minuti,
impararono a controllare la scopa. Continuarono a volare anche all’alba, al
primo sorgere del sole e nella mattinata, quando il sole cominciava a fare
capolino al mondo e poi, persino di notte, quando l’unica stella che li guidava
era la luce della luna.
Era
bellissimo volare, soprattutto quando nell’aria c’era molto silenzio; quando
volavano si sentivano liberi come gli uccelli.
«Anche
le scope volano grazie alla polvere magica, quella che si trova nella casa di
Clau?». Chiese Henry a Clary, mentre con la sua scopa stava sterzando
bruscamente, per poi mettersi a volare a testa in giù.
«Sì».
Gli ripose, dopo pochi secondi.
«È
proprio così che funziona». Gli ripose con un sorriso.
Qualche
istante dopo, si ritrovarono disposti in cerchio, mentre erano ancora sospesi
per aria con le loro scope.
«Me
lo ricordo ancora la prima volta che la Befana ci ha insegnato a volare su
queste scope». Disse Henry, mentre nella
sua mente vedeva le immagini della sua prima volta sulla scopa.
«Già!,
me lo ricordo anch’io». Disse Daniel con un sorriso.
Dopo
questo breve momento pieno di bei ricordi, nella loro mente passò l’immagine di
Claus sorridente e poi, pochi secondi dopo, l’immagine di Claus che si era
perso tutto il periodo di natale e improvvisamente, persero i loro sorrisi e
diventarono tristi.
Il
giorno prima di volare, dormirono fino a tardi per essere ben riposati. Quando
si svegliarono verso mezzogiorno, mangiarono e dopo, andarono subito a volare,
per prepararsi al grande volo che avrebbero fatto nelle prossime ore.
Dopo
aver fatto una cena sostanziosa, raggiunsero gli elfi sarti, per indossare i
vestiti che gli avevano preparato.
Stavano
veramente bene vestiti in quel modo e dopo, raggiunsero il magazzino della
Befana per prendere i sacchi pieni di dolci, frutti e carbone. Non appena
entrarono, trovarono davanti a loro i sacchi appoggiati su ogni tavolo.
Accanto
a ogni tavolo, c’era un elfo pronto a legargli il sacco sulle spalle.
Così,
tutti gli elfi incominciarono a legarglieli sulle spalle e nonostante
contenessero davvero tante cose, i sacchi non erano tanti pesanti. Presero le
loro scope e uscirono dal magazzino. Ognuno di loro teneva in mano la sua
scopa; tutti i ragazzi non vedevano l’ora di fare nuovamente il giro del mondo
in ventiquattr’ore.
Quando
arrivarono in cucina trovarono tutta la loro famiglia in piedi di fronte a loro,
erano sorridenti, eppure allo stesso tempo tristi per la mancanza di Claus.
«Fate
buon viaggio». Gli augurò la Befana.
«Grazie».
Dissero tutti quanti e dopo, s’abbracciarono con un abbraccio pieno d’amore.
Dopo,
Henry corse verso la Befana e l’abbracciò nuovamente stringendola forte a se.
«Non
essere triste». Le disse con un sorriso e poi, ritornò verso i ragazzi.
Uscirono
fuori, dalla porta della cucina e si misero subito le scope tra le gambe. Dopo,
si voltarono un’ultima volta verso la loro famiglia e gli sorrisero.
Mancavano
pochi minuti a mezzanotte, così si dettero una spinta con i piedi e lentamente,
cominciarono a librarsi nell’aria, come una piuma che dolcemente vola grazie al
vento.
I
ragazzi erano già partiti da qualche minuto, quando al’improvviso Sulac sentì
vibrare il suo cellulare nella tasca dei pantaloni. Così, nel buio e nel freddo
pungente della notte, tirò fuori il cellulare e s’accorse di aver ricevuto un
messaggio da parte del poliziotto che s’occupava della scomparsa di Claus. Lo
lesse; ora, non poteva che sperare.
Con
il passare dei secondi, volavano sempre più verso l’alto, tanto che incominciarono
a vedere la loro famiglia come dei piccolissimi puntini.
Dopo
essere saliti alla quota giusta, incominciarono a proseguire verso dritto,
secondo una meta che avevano stabilito precedentemente. Avevano un po’ paura di perdersi, ma ognuno di loro non si
sentiva solo: erano amici, erano una famiglia e ormai erano diventati un gruppo
unito.
La
luna splendente era già in alto nel cielo e nel silenzio della notte, era
l’unica fonte luminosa.
Così,
cominciarono a entrare di casa in casa e a lasciare le calze alle persone.
Tante case diverse, tanti stili di vita diversi; persone povere, persone che
stavano bene e persone ricche. Persone che per due volte dell’anno si sentivano
uguali, una notte in cui tutti quanti potevano essere tuoi fratelli, una notte
in cui non contava il colore della pelle, una notte in cui nessuno
s’arrabbiava. Una notte dolce, che sarebbe stata ancora più dolce al risveglio
delle persone; un risveglio pieno di dolci e una giornata da passare con le
persone più care: famiglia e amici.
«Guardate
lì!». Gridò Henry, per farsi sentire da tutti quanti. Henry reggendosi con una
sola mano al manico della scopa, puntò le dita dell’altra mano verso il
terrazzo di una casa.
Così,
tutti quanti si misero a guardare quella casa e s’accorsero che aveva attaccato
uno striscione.
“VOGLIAMO CLAUS LIBERO!.”
«”Vogliamo Claus libero”». Lesse William.
Tutti
quanti si fermarono a leggere quella frase. Proseguendo il loro viaggio per la
consegna delle calze, trovarono altri striscioni come quello, che, anche se con
parole diverse, esprimevano tutti lo stesso concetto: Claus libero.
Mano
a mano che passava il tempo, si sentivano sempre più stanchi, ma non potevano
mollare, avevano ancora del lavoro da svolgere.
Avevano
ancora tante case da visitare. Lentamente, la luna stava sparendo per fare
posto al sole, che alle prime ore dell’alba, spuntava all’orizzonte con i suoi
raggi spendenti.
Mano
a mano che il tempo passava, avevano sempre meno calze nei loro sacchi e tra
pochissime ore, sarebbero ritornati a casa. L’aria era cambiata, a volte,
quando incontravano venti caldi, sentivano caldo e quando incontravano quelli
freddi, sentivano più freddo.
Anche
questa volta, percorrendo tutto il mondo incontrarono persone con culture
diverse e i loro cuori battevano per una dolce vecchietta che al loro risveglio
avrebbe portato molta dolcezza nelle loro vite.
Però,
questa volta, battevano, anzi gridavano tutti insieme la loro voglia di
giustizia. Gridavano, nel buio della notte, chiedendo la liberazione di Claus,
una persona che non si meritava quello che gli stava capitando. Un uomo che
avrebbe dovuto passare il natale con la sua famiglia, ma qualcuno veramente
crudele, l’aveva privato di questa gioia; un uomo che faceva di tutto per fare
i regali alle persone che nemmeno conosceva e un uomo che non considerava il
suo ruolo come un lavoro, ma come una missione di vita.
Così,
quando finirono di consegnare l’ultima calza, cambiarono subito rotta per
ritornare a casa di Claus.
«C’è
l’abbiamo fatta». Gridarono tutti quanti in coro.
«Già».
Disse Henry, mentre i suoi occhi si stavano per chiudere dalla stanchezza.
Quando
arrivarono a casa, erano già le otto di mattina; il sole era già alto nel cielo
e il tempo prometteva bene, infatti non c’era nessuna nuvola minacciosa
all’orizzonte. Quando arrivarono in prossimità della casa di Claus,
incominciarono a scendere dolcemente, fino a quando non toccarono i loro piedi
per terra, dove la neve attutì il loro impatto al suolo.
Lì,
ad attenderli c’erano moltissimi elfi, pronti a prendersi cura di loro, delle
loro scope e dei sacchi che portavano sulla schiena. Per loro, era strano tornare a camminare, dopo
ventiquattrore passate a volare.
Così,
una volta entrati dentro al cancello della casa di Claus, consegnarono le scope
e i sacchi agli elfi, che presero tutto quanto in custodia per pulirlo e
rimetterlo apposto.
Lentamente,
s’avviarono verso la porta e quando l’aprirono, si trovarono di fronte tutta la
loro famiglia in pigiama e seduti al tavolo della cucina a fare colazione. I
loro familiari stavano chiacchierando tra di loro, ma non appena li videro
entrare, alzarono lo sguardo verso i ragazzi.
«Com’è
andata?». Gli chiese la Befana con un sorriso, mentre tra la mano reggeva una
briosce.
«Molto
bene». Le rispose Henry, mentre si portava una mano alla bocca per sbadigliare.
Infatti, tutti i ragazzi erano davvero molto stanchi, sia fisicamente che
mentalmente. Era stato molto stancante concentrarsi per non perdere la rotta e
non perdersi nel cielo buio e oscurato soltanto dalla luce della luna. A
malapena si reggevano in piedi e i loro occhi erano molto stanchi, tanto che
avevano delle occhiaie da far paura.
«Siete
stanchi?». Gli chiese Sulac.
«Puoi
dirlo forte». Gli rispose William.
Tutti
i ragazzi s’avvicinarono al tavolo e dopo, si misero a sedere. Nel frattempo,
l’elfo cuoco aveva messo a scaldare il latte per tutti i ragazzi. Un profumo di
latte caldo cominciò a innalzarsi nell’aria. Sul tavolo c’erano delle briosce
appena sfornate. Dopo pochi minuti, l’elfo cuoco iniziò a versargli il latte
nelle loro tazze e così, poterono iniziare a fare colazione.
Erano
davvero tanto affamati a causa del lungo viaggio che avevano fatto e quando
finirono di mangiare, si sentirono subito meglio.
Non
vedevano l’ora di farsi una bella doccia rilassante e buttarsi a letto a
dormire almeno per qualche ora.
«Dove
sono le nostre calze?». Chiese Neal alla Befana.
«Le
abbiamo preparate proprio qualche ora fa». Gli rispose la Befana con un
sorriso.
«Non
vediamo l’ora di aprile». Le disse ancora Neal.
«Niente
carbone?». Chiese Henry alla Befana con un sorriso.
«No,
niente carbone per i miei nipoti, i miei figli e le amiche dei miei nipoti.
Siete stati veramente bravi». Gli rispose ancora la Befana
S’alzarono
da tavola, salirono le scale per
raggiungere le loro camere e dopo, presero il necessario per fare il bagno.
Stettero
davvero tanto tempo sotto la doccia, perché il getto d’acqua riusciva a
rilassarli. Quando furono pronti, si misero l’accappatoio e raggiunsero le loro
camere. S’asciugarono, si misero il pigiama e poi si buttarono sotto le
coperte. Lentamente, i loro occhi si chiusero fino a scivolare in un sonno sempre
più profondo. Andarono a dormire sereni, sapendo d’aver fatto qualcosa di buono
per il mondo e che le persone al loro risveglio avrebbero avuto un motivo
valido per sorridere.
Nel
frattempo, l’elfo cuoco si era dato da fare per preparare una cena davvero
deliziosa. Infatti, il giorno prima era andato a comprare tutto il necessario
al supermercato insieme ad altri elfi. Aveva comprato veramente tante cose, non
aveva badato a spese per questa cena.
Doveva
essere una cena davvero speciale, dovevano mandare giù ancora una volta la dura
verità: Claus era ancora lontano da loro. Un’altra festa che Claus avrebbe
dovuto trascorrere in compagnia della sua famiglia e invece, ancora un’altra
volta, l’avrebbe passata da solo, sperduto, al freddo, solo e senza l’affetto
della sua famiglia; quella famiglia che aveva appena trovato.
Questa
volta aveva deciso di variare il menù, perché non gli piaceva preparare sempre
le stesse cose.
Avrebbe
fatto degli antipasti di polenta, con sopra la salsa di carne e di funghi. Come
primo avrebbe fatto la pasta con il salmone affumicato. Poi, aveva deciso anche
di cucinare della buona pizza fatta in casa. Come dolci, invece avrebbe fatto,
il pandoro e il panettone fatti in casa, come voleva la tradizione. Aveva
comprato delle bottiglie di spumante, anche se non avevano niente da
festeggiare.
Nel
frattempo, si mise a preparare anche una pasta veloce per il resto della
famiglia.
Verso
le quattro di pomeriggio, Henry si svegliò, aprì gli occhi e vide degli
spiragli di luce che uscivano dalla finestra. Si tolse le coperte di dosso,
s’alzò dal letto, si tolse il pigiama e si mise dei vestiti puliti.
William
e Daniel si erano già svegliati perché i loro letti erano disfatti, mentre Neal
sonnecchiava dolcemente sotto le coperte.
Decise
di non svegliarlo, di lasciarlo riposare e per questo, decise di fare il più
paino possibile.
Lasciò
la camera e scese le scale per raggiungere la cucina, dove trovò i suoi fratelli
a fare uno spuntino. Così, anche lui si mise a sedere e attese che l’elfo cuoco
gli preparasse qualcosa da mangiare.
«Che
cosa voi da mangiare?». Gli chiese l’elfo mentre si voltava verso di lui.
«Un
panino con prosciutto e un bicchiere di latte caldo». Gli ripose Henry. Così,
l’elfo si mise subito all’opera per preparargli una merenda davvero con i
fiocchi.
«Non
vedo l’ora d’aprire la calza». Disse Henry ai suoi fratelli, mentre con mano si
reggeva la testa e dalla bocca gli usciva un po’ di bava dall’acquolina.
Loro
lo guardarono e poi gli sorrisero.
«Certo
come no!, golosone!». Gli disse William.
Henry
gli sorrise.
«Hai
ragione». Gli disse.
Dalla
porta dalla cucina sbucò il piccolo Neal con in mano il suo pupazzo preferito,
quello che lo stringeva a se per addormentarsi.
«Ciao».
Disse a tutti quanti.
«Ciao».
Gli risposero tutti quanti.
Avanzò
in cucina e nel frattempo, si stropicciò gli occhi.
«Ecco
la tua merenda». Disse l’elfo cuoco a Henry.
«E
tu cosa vuoi?, quello che ho appena portato a Henry?». Chiese l’elfo cuoco a
Neal.
Prima
di rispondergli, Neal guardò il piatto del fratello.
«Sì,
lo stesso, solo voglio il prosciutto crudo nel panino».
L’elfo
si mise subito all’opera per preparargli la merenda.
Mentre
Henry masticava un boccone, alzò gli occhi e si mise a guardare il posto al
centro tavola: era vuoto. Come gli sarebbe piaciuto festeggiare almeno l’ultimo
giorno di natale insieme a suo nonno.
Nel
frattempo, i genitori di Henry avevano cominciato a mettere le calze che
avevano preparato sotto l’albero. Ogni calza era fatta con la lana, aveva dei
disegni diversi e poi, avevano attaccato dei bigliettini con i nomi dei ragazzi,
per distinguerle l’una dalla l’altra.
Per
i loro figli, avevano deciso di fargli anche un regalo a testa e molto
particolare.
«Secondo
te gli piacerà questo regalo che gli abbiamo fatto?. Capiranno?.
Accetteranno?». Il padre di Henry, abbracciò sua moglie da dietro e con le
braccia gli strinse dolcemente la pancia.
«Certo
che capiranno e sono sicuro che saranno così contenti da piangere di gioia». Le
sussurrò all’orecchio per tranquillizzarla. Lei chiuse per qualche istante gli
occhi e si lasciò cullare dall’abbraccio del marito.
Rimasero
così in quell’abbraccio pieno d’amore, fino a quando le grida di gioia e di schiamazzi
dei loro figli non li riportarono alla realtà.
I
ragazzi dopo aver fatto merenda, non avevano niente da fare e per questo,
decisero di aiutare l’elfo cuoco in cucina. Henry e Neal stavano abbrustolendo
la polenta, mentre William e Daniel stavano stendendo la pasta da pizza che
l’elfo cuoco aveva già preparato il giorno prima.
L’elfo
cuoco oltre a tenere d’occhio il forno, dove stavano cuocendo il panettone e il
pandoro, si stava anche occupando delle varie salse.
Dopo
pochi minuti, li raggiunsero anche i genitori di Henry, Sulac e la Befana e
tutti quanti si misero cucinare
Così,
in questo modo, proseguirono per il resto della giornata, scambiandosi i ruoli
e facendo anche altre cose.
Si
divertivano molto a cucinare e facevano tutto quanto come una famiglia unita.
Alla fine, verso le sette avevano quasi finito di cucinare. Nell’aria c’era
davvero un buon profumo molto invitante, che li faceva venire l’acquolina in
bocca.
Lentamente,
il sole si stava abbassando sempre di più, il cielo stava diventando sempre più
scuro e per fortuna, non c’era nessuna nuvola minacciosa all’orizzonte.
La
Befana e la mamma di Henry, si misero ad apparecchiare la tavola. Misero una
tovaglia rossa, dei piatti uno sopra l’altro, che con il bordo riprendevano il
colore della tovaglia, delle posate con il manico rosso e dei bicchieri di
cristallo rossi.
In
più misero delle calze appese sotto al davanzale della finestra e sopra, misero
una serie di candele profumate, che con il passare del tempo, stavano emanando
un profumo sempre più buono.
Aggiunsero
anche un centro tavola con delle candele e attorno delle pigne e qualche ramo
di agrifoglio con delle bacche rosse.
C’era
solo un problema nelle loro decorazioni: il posto vuoto a centro tavola, come
il vuoto che sentivano nei loro cuori.
Nel
frattempo, l’elfo cuoco stava ultimando gli ultimi preparativi, mettendo la
salsa sopra i crostini di polenta.
Avevano
deciso di tenere spenta la televisione in cucina, perché non gli interessava
vendere niente e si divertivano di più a chiacchierare tra di loro.
Tutto
a un tratto, il loro chiacchierare fu interrotto dal suono interrotto dei loro
cellulari. In brevissimi istanti, si guardarono tutti quanti negli occhi. Non
capivano che cosa stava succedendo, erano come imbambolati e dentro al loro
cuore, speravano e allo stesse tempo, avevano paura che fosse successo qualcosa
a Claus.
Non
sapevano se i rapitori di Claus gli avessero fatto qualcosa, visto che loro non
avevano esaudito le loro richieste.
Lentamente,
tutti quanti infilarono le mani nelle tasche dei loro pantaloni, ma prima di
prendere il telefono tra le mani, il suono del campanello interruppe la loro
azione.
Alzarono
lo sguardo verso l’alto e i loro occhi erano diretti verso la porta, poi,
all’improvviso si guardarono tutti quanti in faccia.
Non
sapevano cosa dirsi e nella penombra della cucina, incominciarono a sorridere,
avevano capito. Certo, non potevano esserne certi, fino a quando non avrebbero
aperto quella porta. Tra loro e la verità c’era solo una porta, eppure avevano
davvero paura di aprirla. E se si fossero sbagliati e lì, dietro la porta, non
ci fosse stato chi sperano che ci fosse, sarebbero rimasti delusi; allo stesso
tempo, non vedevano l’ora di scoprire la verità.
Nell’indecisione
di tutti quanti, Henry decise di avanzare lentamente verso la porta e appoggio
la mano sulla maniglia, ma prima d’aprirla, si voltò verso la sua famiglia,
quasi come per chiedergli il permesso.
Così,
aprì la porta e un leggero spiraglio di luce incominciò a illuminare tutto
l’ingresso. Più la porta s’apriva e più riuscivano a vedere chi c’era al di la
del cancello. Nella penombra videro tre figure, non bene illuminate e per
questo, non capivano chi fossero. Henry, accese la luce esterna,
dall’interruttore che si trovava accanto alla porta.
All’improvviso,
come un lampo, la luce illuminò le tre perone che stavano al di la del
cancello. Tutta la famiglia s’avvicinò alla porta e non appena videro chi c’era
al di la del cancello, incominciarono a correre per andargli in contro,
nonostante fossero senza giacca e che fuori facesse un freddo cane. Gridavano
forte, avrebbero potuto infastidire tutto il vicinato, ma in quel momento, non
gliene importava niente.
Henry
fu il primo ad arrivare al cancello e lo aprì per permettere a Claus di
rientrare in casa sua.
Era
sempre lo stesso Claus di sempre, nonostante si vendeva chiaramente che aveva
sofferto. Era molto dimagrito, aveva meno pancia e le sue gote erano più
infossate. Era strano, ma nonostante tutto sorrideva e sembrava felice di poter
rivedere e riabbracciare la sua famiglia. Era tutto sporco, sia in faccia che
nelle mani, i suoi vestiti erano tutti sporchi e strappati; ma nonostante tutto
questo, non perdeva il suo fascino.
Quelle
persone crudeli, nonostante l’abbiano privato della sua festa, non l’avevano
privato però della sua voglia di lottare per un mondo migliore.
Henry
gli andò più vicino e con un salto gli salì addosso e strinse le sue mani al
suo collo e le sue gambe alle sua vita. Non gli importava se puzzava, aveva
bisogno di sentirlo vicino a se. Lentamente, Claus aprì le sua braccia per
stringerle sul corpicino delicato di Henry.
Lentamente,
Henry cominciò a singhiozzare di gioia e qualche secondo dopo, anche Claus fece
lo stesso; la loro era un emozione incontenibile.
Anche
se Claus voleva bene a tutti quanti, non poteva negare a se stesso di volere
molto più bene a Henry, per il legame che s’era instaurato tra di loro.
Tutti
quanti avevano gli occhi lucidi e stavano piangendo dall’emozione.
Dopo
qualche minuto, salutarono e ringraziarono i due poliziotti e poi, tutti
insieme rientrarono in casa.
Finalmente
Claus era ritornato a casa; gli era mancata veramente tanto. Claus si guardò
attorno e notò la cucina addobbata e la tavola bella imbandita.
«Stavamo
per festeggiare l’epifania». Gli spiegò Henry.
Claus
gli sorrise.
«Mi
aspettate, vorrei festeggiare anch’io con voi. Ma prima…. be!... dovrei farmi
una bella doccia, puzzo da fare schifo. Devo anche radermi la barba». Disse
Claus a tutti quanti.
«Metto
un piatto in più». Disse l’elfo cuoco.
«Fai
presto nonno!, prima mangeremo e prima apriremo le calze». Gli disse Henry con
un sorriso.
«Certo».
Gli disse Claus con un sorriso e dopo, s’abbassò per dargli un bacio sulla
testa.
Così,
Claus se ne andò e raggiunse il bagno per farsi una doccia rilassante. Gli
erano mancate le piccole cose, come farsi un bagno, radersi, mangiare, parlare
e stare con la sua famiglia. Si commosse dalla gioia, era libero; questo
periodo della sua vita, per quanto brutto era riuscito a fargli apprezzare
ancora di più la sua vita e la sua famiglia.
Non
aveva perso tutto il periodo di natale, poteva ancora festeggiare il giorno
dell’epifania con la sua famiglia e le amiche dei suoi nipoti. Era poco in
confronto a tutto il periodo, ma s’accontentava.
Dopo
essere uscito dalla doccia, si vestì e poi, si mise a radersi. Quando uscì dal
bagno, si sentì rinato, il suo aspetto era davvero migliorato e quando tornò in
cucina, ritrovò tutta la sua famiglia ad accoglierlo. L’atmosfera che si trovò
davanti era davvero magica. Avevano spento tutte le luci della cucina e le
uniche luci accese erano quelle delle candele, che avevano reso quell’ambiente
davvero suggestivo. A volte, la fiamma della candela ondeggiava facendo
cambiare l’illuminazione della stanza che diventava così tremolante.
Tutti
quanti si misero a sedere al loro posto e finalmente il posto a capotavola, che
era rimasto vuoto per moltissimo tempo, era di nuovo occupato da Claus.
L’elfo
cuoco iniziò a portare gli antipasti e mentre mangiavano tutti quanti
incominciarono a raccontargli del natale che avevano appena trascorso,
rendendolo così partecipe delle loro avventure; in questo modo, gli sembrava
quasi di aver vissuto il natale insieme a loro.
«Avrete
tante domande sul mio rapimento e io vi risponderò». Disse Claus.
Poi
si voltò e guardò negli occhi il padre di Henry.
«Soprattutto
tu figliolo, avrai tante domande». Gli disse e il padre di Henry annuì con un
gesto quasi impercettibile. Finalmente, avrebbe avuto delle risposte alle sue
domande e si sarebbe potuto sentire figlio di Claus. Chiuse per qualche istante
gli occhi e immaginò come sarebbe stato se fosse cresciuto con Claus; di certo
gli sarebbe piaciuto molto, l’idea di avere un padre importate per molte
persone. Allo stesso tempo, non rinnegava neanche i suoi genitori adottivi, li
amava per come l’avevano cresciuto, per quello che gli avevano insegnato e per
tutte le cose che gli avevano comprato.
Continuarono
a mangiare le pizze squisite fatte in casa, che erano così buone che tutti quanti
fecero il bis e finirono tutte quelle che l’elfo cuoco aveva preparato.
Infine,
mangiarono qualche fetta di pandoro e di panettone. Claus s’alzò da tavola per
prendere la bottiglia dello spumante.
«Vi
voglio ringraziare per tutto quello che avete fatto per me. Per aver indagato e
capito chi era il cattivo». Disse Claus.
Dopo,
incominciò a togliere la carta, poi la gabbietta e quando arrivò al tappo di
sughero, lo resse per non farlo partire. Si fermò per qualche istante a
guardare la sua famiglia, li guardò uno per uno e si commosse al pensiero che
fino a poche ore fa non sapeva se li avrebbe rivisti. Per un pelo aveva
rischiato di non dire ai suoi nipoti di essere fiero di essere il loro nonno e
al padre di Henry, di essere fiero di essere suo padre.
Si
commosse e gli cadde qualche lacrima dagli occhi.
«Scusate».
Disse Claus.
Tutti
quanti annuirono in silenzio.
«Vi
voglio bene a tutti quanti, famiglia, anche alle amiche dei miei nipoti».
Quando pronunciò la parola “amiche”
fece l’occhiolino a Daniel, che capì subito quello che suo nonno gli voleva
dire.
Pochi
istanti dopo, lasciò il tappo dello spumante, che come un razzo parti e finì la
sua corsa folle contro il soffitto della cucina. Tutti quanti fecero un salto,
perché non se l’aspettavano.
«Porta
fortuna». Disse Claus a tutti quanti con un sorriso.
Dopo
aver finito di mangiare, tutti quanti si misero a pulire la cucina. C’era chi
sparecchiava e buttava via lo sporco che era rimasto nei piatti, chi lavava
tutto quanto, chi asciugava, chi metteva apposto, chi puliva il tavolo e la
cucina e chi spazzava per terra.
Dopo
una mezzoretta finirono di mettere apposto la cucina, che addirittura brillava
da quando si erano dati da fare.
Si
spostarono tutti quanti in sala, perché i ragazzi non vedevano l’ora d’aprire
le calze. Sulac, la Befana, Claus e i genitori si misero a sedere sul divano;
mentre i ragazzi si misero a sedere per terra di fronte all’albero.
Ognuno
di loro prese la propria calza, l’aprì frettolosamente per la curiosità di
venire a conoscenza del contenuto, la capovolse e gettò tutto quanto sul
tappeto.
Ognuno
di loro incominciò a vedere che cosa aveva ricevuto e dopo, s’accorsero che
c’erano i frutti e i dolci che gli piacevano di più.
«Addirittura
avete fatto le calze seguendo i nostri gusti in fatto di dolci e di frutta».
Disse Daniel sbalordito.
«Certo!,
vi conosco, so che cosa vi piace e ve lo meritate». Gli rispose la Befana.
Daniel fece un sorriso alla Befana e anche lei fece altrettanto.
«Grazie».
Le disse Henry.
La
Befana gli sorrise.
«Vi
vogliamo bene e abbiamo deciso di mettervi nelle calze le cose che più vi
piacciono». Gli ripose dopo qualche secondo.
Henry
s’alzò, andò in contro a sua nonna per abbracciarla e anche lei lo strinse
forte a se.
«Ti
voglio bene nonna, anche a te nonno e anche a te bis zio molto giovane». Disse
Henry mentre era ancora abbracciato alla Befana.
William
guardò sotto l’albero e s’accorse che c’erano ancora dei regali.
«Ci
sono ancora dei regali». Disse William a tutti quanti, che all’stante si misero
a guardare sotto l’albero. William si allungò con la schiena e con il braccio e
ne prese uno lesse il suo nome, dopo, ne prese un altro e lesse il nome di
Daniel e glielo passò, poi, ne prese un altro e lesse il nome del suo
fratellino Neal e glielo passò e infine prese l’ultimo e lesse il nome di Henry
e glielo lanciò.
«Ma…
non ce ne sono altri!». Sbuffo Clary e William le dette un bacio tenero sulla
guancia. Clary era ancora più bella quando metteva il broncio.
«Per
noi niente regali extra?». Chiese Gabriel ai suoi genitori. Anche la Befana non
sapeva niente di quei regali ed era moto curiosa di sapere che cosa c’era
dentro; anzi, tutti quanti erano curiosi.
«Non
sapevo niente di questi regali». Disse la Befana che era sorpresa quanto loro.
Gabriel e Clary, notarono che la loro madre era veramente sincera.
I
genitori di Henry si stringevano le mani e non vedevano l’ora che i loro figli
aprissero quei regali. Adesso, guardavano attentamente i loro figli.
Henry
scosse il regalo, dopo esserselo portato all’orecchio e sentì un suono simile a
un sonaglio.
«È
un sonaglio?». Ipotizzò Henry incredulo. Non capiva il senso di quel regalo.
“Perché un sonaglio?”. Si
chiese Henry nella sua testa.
Così,
il resto dei suoi fratelli fece lo stesso, ma non capì che cosa c’era al di la
della carta. Tastarono i regali: quello di William era molto morbido al tatto e
si piegava, quello di Daniel, sembrava un tubo rigido, forse di vetro e quello
di Neal sembrava molto piccolo, come le sue manine, morbido e gommoso.
Henry
fu il primo a scartare il regalo e quando vide che cos’era rimase perplesso.
Non riusciva a capire il motivo per il quale gli avessero regalo un sonaglio da
neonati.
«Perché
un sonaglio da neonati?». Chiese, ma nessuno gli rispose.
Incuriositi
dal regalo che aveva ricevuto Henry, il resto dei suoi fratelli si mise a
scartare i loro regali, in modo frenetico, per arrivare più in fretta al
regalo.
William
pensava di avere intuito il senso del regalo di Henry, ma non glielo disse.
Voleva sperare che quello che aveva pensato fosse stato vero e in quel caso,
sarebbe stato il regalo più bello degli ultimi anni.
Neal
trovò un ciuccio, Daniel un biberon e William una tutina rosa da neonati.
All’istante, fu tutto chiaro per William.
«Cosa
sono questi regali?». Chiese ancora Henry, ma nessuno gli rispose. Non era ne
triste, ne amareggiato per il regalo ricevuto, soltanto che non capiva il
significato.
William
s’alzò in piedi e guardò negli occhi i suoi genitori. Lentamente, in suoi occhi
incominciarono a diventare sempre più lucidi. Non riuscì più a trattenersi e
dai suoi occhi incominciarono a scendere delle lacrime che lentamente, gli
rigarono la faccia.
Non
appena Clary se ne accorse s’alzò in piedi e si mise di fronte a lui. Lo guardò
per qualche istante e pensò che fosse triste. S’avvicinò a lui fino a far
toccare i loro petti e gli gettò le braccia al collo.
«Sei
triste?». Gli chiese preoccupata.
Lui
avvolse lentamente le braccia intorno alla vita di Clary.
«No,
tutt’altro». Le rispose William.
«Allora
è vero…., di nuovo.…, che bello….». William disse delle frasi che per Neal e
Henry erano incomprensibili.
Dagli
occhi di William incominciarono a scendere sempre più lacrime, che lentamente incominciarono
a bagnare la spalla di Clary.
«È
vero?». Chiese a sua madre.
«Aspetti
un bambino, aspettate un bambino, un nuovo fratellino». Chiese ancora a sua
madre.
Gli
sguardi che si lanciarono furono così intensi e pieni d’amore.
Tutti
quanti erano in attesa di una sua risposta. La madre di Henry, si voltò verso
il marito e poi gli sorrise.
«No….».
Gli rispose e voleva continuare la sua risposta, ma fu interrotta da William.
«Peccato!».
Disse dispiaciuto e in quell’istante, abbassò gli occhi verso la spalla di
Clary.
«No,
è una bambina. Avrete una sorellina». Gli rispose dopo qualche secondo. William
preso dall’emozione incominciò a singhiozzare e a muovere le spalle in modo
brusco; per questo Clary, lo strinse ancora più forte a se. Anche lei si
commesse.
A
ruota, incominciarono a commuoversi, stavano piangendo tutti quanti, se fine a
qualche giorno fa piangevano per Claus, adesso piangevano per la felicità di
una nuova bambina che si sarebbe aggiunta alla famiglia.
Henry
aveva salvato il natale e in qualche modo, le persone avevano salvato il suo
fratellino e come conseguenza, avevano salvato anche l’armonia della sua
famiglia.
Nel
frattempo, l’elfo cuoco andò in cucina e prese una bottiglia di spumante e i
migliori flute di cristallo che avesse. Dopo, ritornò in sala e mise i
bicchieri sul tavolino di fronte al divano. Tutti quanti presero i loro
bicchieri, l’elfo aprì lo spumante facendo saltare il tappo in aria che stava
quasi per colpire il lampadario e dopo, lo versò nei bicchieri.
Tutti
quanti s’avvicinarono al centro della stanza e come i tre moschettieri,
alzarono i bicchieri in alto. Erano tutti uniti e erano commossi.
«Alla
nuova bambina». Gridarono tutti quanti.
Henry
li guardò.
«A
Claus libero». Gridò Henry.
«A
Claus libero». Gridarono tutti quanti, ripetendo le parole di Henry.
Così,
festeggiarono e incominciarono a brindare l’uno con l’altro. Si misero a
ballare e cantare a squarciagola; insomma stavano festeggiando e si stavano
divertendo come matti.
«Una
nipotina, da veder cresce!, che bello. Mi dispiace di aver perso gran parte
della vostra vita, nipoti miei, ma da ora in poi ci sarò sempre per voi». Disse
Claus e dopo abbracciò stretto i suoi quattro nipoti.
«Ti
faremo vedere le nostre foto e i nostri filmati quando verrai a casa nostra».
Gli disse Daniel.
«Ci
verrai a trovare?, nonno». Gli chiesero Henry e Neal.
«Certo».
Gli rispose con un sorriso e dopo gli accarezzò dolcemente la testa.
Qualche
ora più tardi si ritrovarono tutti quanti seduti al tavola della cucina. Claus
aveva deciso di spiegargli quello che gli era successo quando era stato rapito.
E spiegare anche al padre di Henry, perché non aveva saputo della sua
esistenza.
«Quando
ho ascoltato che Henry diceva a suo padre che era mio figlio, sono rimasto
sorpreso, ma in maniera positiva. Ero molto contento di avere come nipoti
questi bellissimi ragazzi e questa bambina». Claus smise di parlare e appoggiò
la mano sulla pancia della madre di Henry e lei gli sorrise.
«Ero
contento di essere tuo padre, non ero triste; ma allo stesso tempo, mi ha preso
un po’ alla sprovvista e mi ha un po’ confuso. Per questo, avevo deciso di
andare in montagna e vi ho lasciato io quel messaggio in cui vi dicevo che sarei
andato in montagna per riflettere. Avevo bisogno di riflettere e di perdonarmi,
perdonarmi per non aver capito che la mia ragazza dell’epoca aspettava un
figlio da me». Claus fu interrotto da William.
«Allora
la Befana non è la madre di mio padre, mia nonna?». Chiese William a Claus,
voleva capirci di più in questa storia.
«No,
non sono la vostra nonna biologica, ma mi sento lo stesso vostra nonna». Gli
rispose.
«Possiamo
chiamarti nonna?». Gli chiese Henry.
«Certo».
Gli rispose e dopo gli sorrise.
Dopo
qualche secondo Claus riprese a parlare.
«Ero
arrabbiato con me, per non averti potuto crescere. Ero giovane quando ti avevo
avuto, non avevo ancora un lavoro e non avevo ancora deciso di diventare babbo
natale. Avrei fatto di tutto per te e avrei trovato un lavoro per farti
crescere. Ti avrei cambiato il primo pannolino, ti avrei insegnato a camminare
e ad andare in bicicletta. Avrei giocato con te, ti avrei accompagnato il primo
giorno a scuola. Avrei fatto di tutto per te». Claus smise di parlare e dai
suoi occhi da prima lucidi, incominciarono a scendere delle lacrime. Sentiva
veramente quello che aveva detto. Dentro di lui gli resterà sempre il rimpianto
di non aver capito che la sua ragazza di allora aspettava un figlio da lui.
Dentro di se immaginava come sarebbe stata la sua vita se avesse potuto
crescere il padre di Henry. Ma sognare non gli basta e non poteva nemmeno
tornare indietro nel tempo. Doveva accettare la realtà, anche se era dura da
mandare giù.
Anche
il padre di Henry aveva gli occhi lucidi.
«Così,
me ne sono andato a piedi fino alla montagna, anche se era buio, non avevo
paura di sperdermi, perché conosco quella montagna come le mie tasche.
Così,
dopo aver camminato per un po’, mi sono fermato a un tronco di un albero a
guardare la luna. E in quell’istante, mi ricordo di aver trovato la pace
interiore.
Mi
stavo alzando per tornare a casa, quando, tutto a un tratto, delle persone da
dietro di me, mi hanno appoggiato un fazzoletto con del cloroformio alla bocca.
Mi
sono addormentato e quando mi sono risvegliato, mi sono ritrovato incatenato in
una casa davvero elegante.
Ero
sempre stanco e affamato, ma non mi arrendevo, non potevo mollare, dovevo
ritornare da voi per dirvi che era felice di aver trovato un figlio e dei
nipoti.
Mentre
il mio rapitore parlava, ho capito il motivo per il quale mi avevano rapito.
Sono
contento per il fatto che non avete ceduto alle loro richieste». Claus smise di
parlare e guardò in faccia suo fratello.
«Sono
contento che non hai rinunciato alle riforme che avevi fatto per me». Gli disse
e dopo gli strinse la mano.
«Sono
anche contento che non abbiate annullato il natale per me. Tutti quanti si
meritano di ricevere un regalo il giorno di natale». Disse Claus. Si notava dal
suo tono di voce che credeva in quello che diceva.
«Visto!,
che vi avevo detto!». Disse Henry a tutti quanti, ricordandogli di quando aveva
dovuto lottare per far si che non decidessero di cancellare in natale.
Dopo
si voltò verso Claus, per parlare direttamente con lui.
«Lo
sai che mi sono dovuto battere per far capire a tutti che te avresti portato
avanti il natale». Gli disse Henry.
«Hai
fatto bene». Esclamò Claus dopo qualche secondo. Smise di parlare per quale
secondo e si mise a guardare la sua famiglia, uno per uno; una parte di lui,
non credeva di essere riuscito a ritornare a casa.
«Ti
ho sognato quando eri in quella casa bellissima e grazie al mio sogno che ti
avevano quasi trovato». disse Henry a Claus.
«Però,
i miei sequestratori, avevano capito che la polizia mi avrebbe trovato e per
questo, avevano deciso di cambiare luogo.
È
solo grazie a voi, che avete capito chi era il colpevole. Hanno trovato delle
prove contro di lui e per questo, l’hanno interrogato, fino a quando non è
crollato ed ha confessato tutto. Quando la polizia ha fatto irruzione in quella
casa, non ci credevo, non credevo che fosse vero, avevo addirittura pensato che
la mia mente mi tirasse un tiro veramente crudele. Quando ho capito che erano
venuti lì per liberarmi, non ho capito più niente, fino a quando non ho capito
che ero libero e che sarei potuto ritornare a casa dalla mia famiglia». Gli
spiegò Claus e lentamente i suoi occhi si riempirono di lacrime di felicità.
«Mia
madre che fine ha fatto?». Chiese il padre il Henry a Claus.
Claus
alzò gli occhi verso suo figlio.
«Amavo
tua madre, era il mio primo amore, fino a quando non ho travato mia moglie». Si
fermò per qualche istante a precisare.
«Era
bella, dio se era bella!. Me la ricordi tanto, hai preso tanti lineamenti da
lei. Mi basta guardarti, per rivedere lei e questo mi rattrista. Amo molto mia
moglie». Disse Claus e dopo si fermò per qualche istante a guardare sua moglie.
Le prese una mano tra le sue, per trasmetterle tutto l’amore che provava per
lei.
«Ma
capiscimi, capitemi, era il mio primo amore e nonostante ami mia moglie alla
pazzia, in una parte del mio cuore ci sarà sempre un pezzo di lei.
La
amavo da impazzire, era la mia prima ragazza, avrei fatto di tutto per lei e
per te, se avessi saputo. Tutto a un tratto e senza un motivo, se ne andò e
anche se la polizia che si era data da fare a cercarla, non l’ha mai trovata.
Questa
cosa ha lasciato un vuoto dentro di me, fino a quando mia moglie non è riuscita
a curarlo». Disse infine Claus.
Quando
lui smise di parlare, tutti quanti avevano le lacrime agli occhi, erano rimasti
tristi dalla storia che gli aveva raccontato Claus.
S’alzarono
dalle sedie e in silenzio raggiunsero le loro camere per andare a dormire.
Fecero molta fatica ad addormentarsi, perché nella loro mente rivedevano e
sentivano il dolore che aveva provato Claus nel raccontare quella storia.
Nonostante
tutto, quella storia li aveva uniti ancora di più.
Questa
sarebbe stata l’ultima notte che avrebbero trascorso nella casa del loro nonno.
Gli sarebbe mancato terribilmente Claus, ma ora erano una famiglia e alla prima
opportunità, avrebbero fatto di tutto per rincontrarsi.
La
mattina dopo, quando si svegliarono tutta la famiglia di Henry si mise a
preparare le valigie, perché da li a poche ore, avrebbero dovuto raggiungere
l’aeroporto.
A
colazione se ne stettero tutti quanti in silenzio: se da un punto di vista
erano felici per aver salvato il natale e per riaver riavuto nuovamente Claus
tra loro, dall’altro, erano tristi, perché da li a poche ore, si sarebbero
detti addio. Questa volta sarebbe stato ancora più difficile dell’anno scorso,
perché il legame che si era creato tra loro era ancora più intenso e profondo.
Tutti
quanti raggiunsero con più macchine l’aeroporto e dopo, si abbracciarono
stretti.
Claus
abbracciò stretto i suoi nipoti.
«Vi
voglio bene». Gli disse tra le lacrime.
«Ci
verrai a trovare?, ti vogliamo far vedere dove abitiamo». Gli chiese Henry.
«Certo».
Gli ripose Claus con un sorriso misto tra il triste e il sorridente.
Dopo,
Claus abbracciò anche suo figlio, il padre di Henry.
«So
che ormai sei grande e che non hai più bisogno di me, ma mi piacerebbe imparare
a conoscerti, con il tempo. Mi piacerebbe creare con te il legame padre-figlio».
Gli disse Claus.
«Ci
proveremo, anch’io voglio conoscerti». Disse in padre di Henry, mentre lo
stringeva ancora più forte a se. Non lo sapeva ancora, ma una parte di se gli
voleva già un bene dell’anima.
Sulac,
Claus, la Befana e gli elfi, li accompagnarono fin dentro l’aeroporto e
aspettarono con loro il volo. Quando fu il momento di partire, si abbracciarono
di nuovo e quando furono lontani si salutarono con le mani.
Così,
finalmente salirono sull’aereo. Henry prima di mettersi a si mise a guardare
quello che vedeva attraverso l’oblò. Gli sarebbe mancata terribilmente la
Lapponia.
Doveva
dire grazie a quella terra, quella terra che gli aveva ridato una vita, gli
aveva ridato il suo fratellino, gli aveva tolto il senso di colpa per la scomparsa
di Neal, gli aveva ridato l’armonia della sua famiglia, gli aveva ridato i suoi
genitori felici innamorati e in attesa di un’altra figlia, gli aveva dato un
nonno e una nonna fantastici, gli aveva dato un bis-zio che gli aveva insegnato
a lottare in quello in cui credeva e gli aveva dato un qualcosa, che crescendo
avrebbe sempre portato dentro di se.
RINGRAZIAMENTI
Sapete,
mi piacerebbe tanto vedere questa storia pubblicata da un editore, ma per farlo
ho bisogno del vostro aiuto e che condividiate da per tutto (facebook, google+,
twitter) questa storia, per permettere ad altre persone di immergersi nella
magia di questa storia.
Davvero!,
se avete amato questa storia, aiutatemi a farla conoscere, condividete
dappertutto e consigliatela anche ai vostri amici.
È
stato un lavoro molto lungo scrivere questa seconda parte, con una storia a mio
parere, per certi versi ancora più bella della prima parte. Ma io non mi posso
giudicare, dovete essere voi a farlo.
E
da luglio che lavoro a questa seconda parte e ora siamo a aprile, sono passati
nove mesi, ma per me sono come volati, visto che mi sono divertita molto a
scrivere questa storia.
Fatemi
sapere che voto dareste da 1 a 5 a questo secondo libro.
Come
sapete ho intenzione di una terza e ultima parte, ma non ho ancora buttato giù
la trama. Se volete, potete darmi dei suggerimenti e io li potrei inserire in
questa terza e ultima parte.
Prima
di tutto voglio ringraziare tutti quei lettori, che mi hanno seguita fino a qui
e che si sono appassionati a questa storia, settimana dopo settimana. Voglio
anche ringraziare i lettori che hanno cominciato a seguire questa storia solo
quest’anno. Ringrazio anche tutti quelli che leggeranno in futuro questa storia
e che la condivideranno sui social.
Voglio
ringraziare te che hai letto la mia storia, anche se a volte non riuscivo a
essere puntuale con la pubblicazione dei capitoli. Mi scuso se a volte non
riuscivo a essere puntuale, ma a volte mi capita di non riuscire a scrivere e
prima di scrivere qualcosa che non mi convince preferisco, rimandare la
scrittura e la pubblicazione.
È
sempre dura mettere la parola fine a una
storia, perché a differenza di quando leggo un finale di un libro, sento più
miei quei personaggi. Allo stesso tempo è bello portare a termine una storia,
poi rileggerla e accorgermi d’aver scritto qualcosa che mi piace.
Era
già da un po’ di tempo che avevo in mente questa storia e sono contenta di averla
potuta condividere con voi. Trovo che sia una bella storia, piena di speranza,
con un bel messaggio e con dei personaggi davvero ben caratterizzati.
Fatemi
sapere nei commenti se volete un seguito?. Questa storia terminerà con la terza
e ultima parte, in modo da farla
diventare una trilogia. Ho già diverse idee per come portare avanti questa
storia, per concluderla. Naturalmente, il terzo capitolo di questa storia lo
leggerete a dicembre.
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