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giovedì 30 aprile 2015

IT'S CHRISTMAS TIME PARTE 2: UN NUOVO INIZIO #10

DISCLAIMER:
È assolutamente vietato copiare il contenuto dei post incentrati sulle mie storie. Tuttavia potete copiare la sinossi e condividere sui vostri blog la data d'uscita dei capitoli successivi.

Per leggere i capitoli della prima parte, clicca qui.

Per leggere il nono capitolo di It's christmas time parte 2, clicca qui.

"L'ultimo capito di questa seconda parte, per me è il più bello che abbia mai scritto di questa storia.  Dovete essere voi a giudicare, fatemi sapere nei commenti se vi è piaciuto.
Probabilmente, questa storia proseguirà con una terza e ultima parte, anche se non è ancora certa, perché non ho ancora  buttato giù una trama, anche se qualcosa ho in mente. Se volte darmi dei suggerimenti su come portare avanti questa storia, li accetto volentieri. 
Se volete, potete farmi delle domande su questa storia e io risponderò con un post a tutte le vostre curiosità. Questo capitolo è veramente lungo, buona lettura.
SE TI E' PIACIUTA QUESTA STORIA, CONDIVIDILA, PER FARLA CONOSCERE ANCHE AI TUOI AMICI. Sapete mi piacerebbe vedere questa storia pubblicata da un editore, ma perché accada ho bisogno che voi condividiate i capitoli sui vostri social network.
Fatemi sapere se vi piace questa storia, se avete da criticare, fatelo pure, perché le critiche sono costruttive. Mi piacerebbe ricevere un vostro giudizio. Grazie per aver letto questa storia." 
CI RIVEDIAMO CON LA TERZA PARTE A DICEMBRE 2015.

CAPITOLO 10: UN NUOVO INIZIO

Pochi giorni prima di capodanno i genitori di Henry si trovano nella loro camera. Mentre tutto il resto della famiglia era impegnata a portare avanti i lavori per la consegna delle calze da consegnare il giorno dell’epifania, loro erano lì,  nella loro camera, ma nella loro testa vedevano oltre.
Infatti, il giorno dopo avrebbero dovuto prendere un aereo per assistere all’udienza, che per una volta per tutte, avrebbe messo la parola fine su tutta quella storia.
Avrebbero lasciato il passato alle spalle, anche se già un po’ lo avevano fatto; e anche se non lo davano a vedere davanti ai loro figli, tutto quello che era successo a Neal aveva lascito una traccia indelebile dentro di loro, che solo con il tempo e il passare dei giorni, si sarebbe affievolita sempre di più.
Così, mentre fuori nevicava, loro erano nella loro camera a preparare le valigie.
In quel preciso istante, non si parlavano, non avevano niente da dirsi; eppure, si capivano, l’uno capiva che cosa provava l’altro.
Lentamente, le loro valigie si cominciarono a riempire e non appena finirono, le chiusero e le appoggiarono per terra vicino al letto.
Si spogliarono, indossarono il pigiama e si misero sotto le coperte. Si coprirono fin sopra la testa e nel buio della notte, non avevano più paura del futuro, perché qualsiasi cosa fosse successa, l’avrebbero affrontata insieme, come una famiglia felice e serena.
Si presero per mano e si sorrisero a vicenda. Chiusero gli occhi e lentamente, scivolarono nel sonno, cullati dal pensiero che tutto quanto sarebbe andato bene.
Alle tre di notte la loro sveglia incominciò a suonare, così s’alzarono e dopo aver fatto colazione, si lavarono, si tolsero il pigiama e indossarono dei vestiti puliti. Uscirono dalla loro camera, indossarono i giacchetti e poi, trovarono sulla porta un elfo pronto per accompagnarli all’aeroporto, dove da lì, avrebbero preso il loro volo.
Così, dopo una decina di minuti raggiunsero l’aeroporto. Da lì, sbrigarono tutto il necessario per salire abbordo dell’aereo. Dopo un ora, erano già seduti sull’aero.
Misero il bagaglio a mano nel porta bagagli, che si trovava sopra di loro, si misero a sedere, s’allacciarono le cinture e si presero nuovamente per mano.
Si stringevano così forte la mano, quasi fino a farsi male, ma in quel preciso instante non gliene importa. Non avevano più paura, nel tunnel, quello che per un anno intero era stato completamente avvolto dal buio delle tenebre, finalmente vedevano la luce che rispendeva.
Così, partirono. Durante il viaggio si misero ad ascoltare la musica e a guardare qualche film dal loro iphone.

Avrebbero dovuto incontrare il loro avvocato prima dell’udienza, perché aveva da dirgli delle cose che erano veramente importati per il processo.
Così, dopo essere scesi dall’aereo, presero i loro bagagli e lasciarono l’aeroporto.
Il clima era diverso rispetto a quello della Lapponia, non c’era quel freddo pungente che gli faceva gelare persino le ossa.
Dei nuvoloni scuri si stavano sempre più avvicinando e minacciando il clima mite e temperato.
Gli mancavano terribilmente i loro figli, ma sarebbero andati a quel processo anche per loro, per mettere, anche per loro, la parola fine su quella storia.
Il padre di Henry, non riusciva ancora a sentirsi figlio di Claus, certo lo ammirava, capiva che era una persona fantastica ed era contento che potesse diventare il nonno dei suoi figli; forse, con il tempo lo sarebbe diventato, con il tempo l’avrebbe accettato, fino a chiamarlo papà. Ci sperava, ci sperava con tutto se stesso, ma per ora, non si sentiva ancora pronto a chiamarlo così.
Fin da bambino aveva immaginato le fisionomie dei suoi genitori; addirittura, a volte se li sognava durante la notte, lì, in quel mondo incantato, in cui i suoi desideri potevano diventare realtà.
Tuttavia, nella sua testa si ripeteva la stessa domanda che si faceva fin quand’era piccolo: “perché l’aveva abbandonato?”. Forse, se fosse riuscito a rivolgere questa domanda a Claus, sarebbe riuscito a vederlo con occhi diversi e ad accettarlo come suo padre.
Non vedeva l’ora di rivolgerli quella domanda.
Di fronte all’aeroporto c’erano tanti taxi che stavano partendo e per questo, si misero a correre e ad alzare una mano, per farne fermare uno.
Aprirono lo sportello, salirono dentro e il padre di Henry  lo chiuse.
Il tassista girò la chiave per accendere la macchina e dopo pochi secondi, fece manovra per immergersi nella carreggiata. Così, il tassista si diresse verso il loro albergo.
Per la strada c’era davvero tanto traffico; i genitori di Henry non si parlavano, non avevano niente da dirsi. All’improvviso, lui le prese la mano e la strinse forte tra la sua.
Il padre di Henry, vedeva un futuro meraviglioso davanti a se; mentre pensò questo, involontariamente, incurvò le labbra.
Non chiedeva niente dalla vita: non voleva altro dalla vita. Aveva ritrovato Neal e questa cosa gli bastava. Quando aveva perso Neal, il suo cuore si era come spezzato in mille pezzi e non importava se ci fosse la luce o il sole, perché lui viveva perennemente in un mondo fatto di oscurità.
Quando arrivano di fronte all’albergo, pagarono il tassista e scesero dall’auto.
Entrarono dentro all’albergo e dopo aver preso la chiave della loro stanza, presero l’ascensore per raggiungerla.
Non appena entrarono in camera si buttarono sul letto per rilassarsi. Stavano lì, sdraiati a osservare il soffitto; dopo un po’ di minuti, s’alzarono e si fecero una doccia rinfrescante, per rilassarli e togliersi di dosso il sudore.
Non appena furono pronti, si vestirono e uscirono dall’albergo per andare a incontrare il loro avvocato.
Si tenevano mano nella mano, non avevano niente da dirsi e l’uno cercava sempre la forza nell’altro; da soli si sentivano persi, ma insieme avrebbero potuto spaccare il mondo.
Così, dopo una decina di minuti raggiunsero l’ufficio del loro legale. Suonarono il campanello e quando s’aprì la porta videro l’avvocato, vestito in modo elegante, con un completo nero, una camicia bianca, una cravatta celeste che riprendeva i colori dei sui occhi. Non appena se li trovò di fronte gli sorrise e aprì ancora di più la porta per permettergli d’entrare nel suo studio.
Li fece accomodare su delle sedie e dopo si sedette dietro di loro e per un istante, chiuse gli occhi e sognò la vittoria. Ne era sicuro, avrebbe messo la parola fine su quella brutta storia e i cattivi sarebbero stati consegnati alla giustizia.
In qualche modo, il bene trionfa sempre sul male, anche se a volte non è così. L’avvocato c’è l’aveva messa tutta per arrivare alla verità e ottenere la giustizia per quella famiglia che aveva quasi rischiato di perdere un figlio.
«Vi volevo solo dire che credo che oggi, abbiamo tutte le carte in tavola per mettere la parola fine su questa storia». Gli disse con il sorriso sulle labbra e un tono della voce molto determinato.
Allora, entrambi i genitori di Henry si guardarono negli occhi, si sorrisero e si strinsero la mano.
S’avviarono con il loro avvocato fino all’aula di tribunale e quando entrarono, si misero a sedere e attesero che il processo iniziasse.
C’era davvero tanto silenzio, tanto che i genitori di Henry sentivano soltanto il rumore delle suole delle scarpe e delle carte che venivano spostate.
All’improvviso il processo iniziò. I genitori di Henry, continuavano a tenersi per mano per farsi forza a vicenda; da soli si sentivano fragili, ma insieme avrebbero potuto affrontare ogni cosa.
«Abbia inizio il processo». Gridò il giudice dalla sua postazione.
Ci fu un momento di frastuono in cui tutti i flash delle macchine fotografiche, incominciarono a scattare foto; in fondo all’aula c’erano anche le telecamere delle varie emittenti televisive.
Dalle persone presenti in aula si alzò un leggero brusio.
«Silenzio in aula». Gridò il giudice.
Il giudice incominciò a chiamare tutti i testimoni dell’accusa e della difesa. Molte persone s’alternarono per raccontare la loro testimonianza e la verità dei fatti.
Parole su parole e dopo diversi minuti, l’avvocato dei genitori di Henry si rese conto che dalle testimonianze di quelle persone era emerso un particolare nuovo, che avrebbe potuto distruggere il suo capo accusatorio nei confronti delle persone che avevano tenuto prigioniero il piccolo Neal per quasi un anno.
Cominciò a sudare freddo, ma quello era il suo mestiere e lo sapeva fare anche piuttosto bene; ma questa volta, era stato messo in difficoltà dai testimoni della difesa.
Mantenne la concentrazione e nella sua testa pensò velocemente a un nuovo discorso che avrebbe potuto mettere la parola fine a questa storia.
«Ora la parola all’avvocato della difesa». Disse il giudice.
L’avvocato della difesa s’alzò dalla sedia, s’incamminò fino al centro della stanza e si mise a guardare tutte le persone che aveva di fronte a se.
«Come avete sentito dalle nuove testimonianze è emerso che loro». Si fermò per qualche istante e poi li indicò, puntandoli con il dito della mano.
Dopo continuò a fare la sua arringa, con un tono della voce ancora più deciso. L’avocato che difendeva Henry, si vedeva sempre più con le spalle al muro, ma non per questo si perse d’animo.
«Dalle nuove testimonianze è emerso che loro due non sono stati la mente del rapimento del piccolo Neal. Come avete potuto ascoltare dalle parole sincere dei nuovi testimoni. Hanno confessato persino i miei due assistiti». Continuò l’avvocato della difesa. Poi si fermò per quale secondo e guardò in faccia la giuria.
«È giusto che i miei assistiti paghino per qualcosa che non hanno commesso?». Gridò e tenne gli occhi fissi sulla giuria.
«Lascio a voi il vostro giudizio. Ho finito». Disse ancora e poi s’incamminò verso il suo posto a sedere.
«La parola all’avocato dell’accusa». Disse il giudice.
L’avvocato della famiglia di Neal, s’alzò dalla sedia, s’incamminò verso il centro di quella stanza e si girò verso la giuria. Era agitato e il suo cuore stava battendo leggermente più veloce, non era calmo e non riusciva a calmarsi; invece,  per fare la sua arringa avrebbe dovuto ritrovare la sua calma interiore.
Chiuse gli occhi e quando li riaprì si rilassò leggermente. Gli bastò pensare al piccolo Neal e alla sofferenza che aveva provato il povero piccolo. Doveva lottare, doveva lottare per lui.
«Il mio collega avvocato, vi ha fatto capire bene le sue idee. Da queste nuove testimonianze è emerso che probabilmente loro non sono i mandanti». Smise di parlare per qualche secondo.
«Allora!». Gridò, con un verso di sfida contro la giuria e poi, alzò lo sguardo verso di loro.
«Allora!, se non sono del tutto colpevoli, sono innocenti?». Gridò ancora più forte.
Tra le mani teneva della carte e nel bel mezzo del silenzio, si mise a sfogliarle fino a trovare quelle che gli interessavano. Poi s’incamminò verso la giuria, con un passò deciso.
«Guardate!». Esclamò.
Poi, appoggiò sul banco alcune foto che erano state scattate a Neal, nel momento in cui era stato ritrovato. La giuria incominciò a passarsi quelle foto.
«Vedete, quel bambino si  chiama Neal e quelle foto sono state scattate il giorno in cui lo hanno ritrovato in quella casa.
Vi sembra un bambino felice?. Un bambino a cui era stato detto che i suoi genitori non lo volevano più?. Un bambino, che seppur trattato bene, aveva dentro se, ed ha tutt’ora delle ferite che forse non si riemergeranno più.
Loro due saranno anche i mandanti, ma devono  pagare lo stesso per tutto il male psicologico che hanno fatto a questo bambino». Gridò ancora più forte.
Dopo, la giuria cominciò a guardare quelle immagini di Neal, che mostravano un bambino che non aveva più la spensieratezza tipica della sua età.
Quando finirono di guardarle le riconsegnarono quelle immagini all’avvocato; qualcuno di loro aveva perfino gli occhi lucidi.
«Ho finito». Disse l’avvocato e si rimise a sedere al suo posto.
«Bene, ora la giuria può riunirsi per formulare un verdetto». Disse il giudice.
Così, la giuria s’alzò dalla sedia per andare a decidere un verdetto.
L’avvocato dei genitori di Henry, sapeva che anche in caso di una condanna dei due mandanti, questo processo non era  ancora finito, mancava ancora la mente o le menti responsabili del rapimento di Neal.
L’avvocato aveva capito che c’era qualcosa di più grosso dietro questa faccenda. Una cosa la sapeva bene, non si sarebbe mai arreso fino a  quando la verità non sarebbe venuta a galla.
I genitori di Henry aspettavano in silenzio il responso della giuria e per tutto questi tempo tennero le loro mani strette e unite più che mai.
Il tempo sembrava non passare mai: i secondi diventavano minuti, i minuti diventavano ore e le ore diventavano giorni.
Finalmente, dopo qualche ora, la giuria rientrò in alula e uno dei giudici s’avvicinò al microfono e lo alzò all’altezza della sua bocca.
Sotto, appoggiato al banco, teneva tra le mani il foglio dove tra qualche istante avrebbe dovuto leggere il verdetto.
Prima d’iniziare a parlare, si schiarì la voce.
«La giuria a verdetto quasi unanime ha deciso di condannare i due mandanti. Tuttavia, ritiene anche che il caso non è ancora chiuso e che siano necessarie ulteriori indagini arrivare ai colpevoli». Disse e poi se ne andò.

La sera di capodanno Sulac rimase per molti minuti a sedere, mentre vedeva gli altri divertirsi, lui era lì a pensare a suo fratello. Per una volta, dopo tanti giorni vedeva una via d’uscita. Finalmente, si era aperto un varco, finalmente, riusciva a vedere la luce.
In quel momento, sognava di riabbracciare suo fratello, tanto che dai suoi occhi incominciarono a scendere delle lacrime involontarie.
Le sue labbra s’incresparono, fino a formare un sorriso sulla sua bocca.
Dopo, s’alzò e anche lui, si mise a ballare e a cantare insieme a tutti gli altri.
Tutto intorno a lui era buio e illuminato dalle luci natalizie che si trovano appese agli alberi.
In cielo vedevano ancora i fuochi d’artificio delle persone che nonostante il passare della mezzanotte, non ne volevano sapere di smettere di festeggiare.
Continuarono a ballare, erano tutti felici e il tempo sembrava non passare mai.
Ogni tanto si scambiavano di coppia, per fare in modo che potessero ballare con tutte le persone che erano presenti a quella festa.
All’improvviso, una persona si mise a gridare per Claus e lentamente, tutte le persone presenti a quella festa incominciarono a gridare.
«A Claus, Claus libero!». Gridavano in continuazione, come dei pazzi e saltellavano anche sul posto. Tutti quanti credevano in quello che stavano gridando; esiste sempre la giustizia e Claus, non si meritava di essere richiuso in qualche parte del mondo e lontano dalla sua famiglia. Era sempre stato troppo buono con le persone che neanche conosceva. Tutti quanti credevano che il bene trionfava sempre sul male.
Poi ripreso a ballare e Sulac incominciò a ballare con Henry. Per un po’ rimasero  in silenzio, quasi incantati dalla magia del primo dell’anno. L’unico giorno dell’anno in cui tutte le persone potevano almeno pensare di azzerare le loro vite e provare a raggiungere i loro obbiettivi.
Henry guardò negli occhi Sulac e mentre un lampione illuminò il volto di Sulac, Henry vide qualcosa di strano nei suoi occhi.
«Che hai?». Gli chiese e lo guardò ancora più attentamente.
«Hai tutti gli occhi rossi?, umidi?». Disse ancora, restò in silenzio e aspettò una sua risposta, che sembrava non voler arrivare.
«Hai pianto?». Gli chiese ancora Henry.
Sulac abbassò la testa fino a incontrare gli occhi del piccolo Henry.
Sospirò e chiuse gli occhi. Sapeva che da li a poco avrebbe dovuto raccontagli quello che aveva scoperto; ma aveva paura di illuderli, che di li poco, avrebbero potuto riabbracciare Claus, quando nemmeno lui ne era certo.
«Sì». Gli rispose, senza aggiungere altre spiegazioni.
«Perché?». Gli chiese Henry.
Sulac non gli rispose subito, in quel preciso istante non se la sentiva.
«Ti prego!..., Non adesso…!, domani ti spiegherò tutto». Gli rispose, quasi supplicandolo.
«Godiamoci la festa». Gli disse, dopo qualche secondo, con un sorriso pieno d’allegria.
Così, continuarono a festeggiare fino a quando i loro occhi riuscirono a stare aperti e dopo, quando la luna se ne stava andando per fare il posto a un sole splendente, se ne andarono a dormire.

Quella sera non appena ritornano a casa di Claus, andarono tutti a dormire. Era molto tardi e la luna era già in alto nel cielo; splendeva e con la sua poca luce riusciva a rendere magico tutto ciò che riusciva a illuminare.
Dormirono fino a tardi e quando il sole incominciò a illuminare la stanza, Henry iniziò ad aprire gli occhi.
Era il primo dell’anno e tra pochi giorni avrebbero dovuto fare di nuovo il giro del mondo.
S’alzò, si tolse il pigiama e si mise i vestiti.
Quando arrivò in cucina trovò l’elfo cuoco immerso tra i fornelli per preparare la colazione a tutti quanti. Nell’aria c’era un profumo dolce di briosce appena sfornate.
«Che buon profumo». Disse Henry all’elfo cuoco.
L’elfo cuoco si voltò verso di lui e gli sorrise. Nel frattempo, si mise a apparecchiare la tavola con tutte le tazze e i cucchiai per fare la colazione.
Henry, mentre aspettava che l’elfo cuoco finisse di preparare la colazione, andò in sala per vedersi un po’ di televisione. La sala era quasi completamente al buio, se non per il fatto che il camino acceso, riusciva a illuminarla leggermente.
Da lontano vide che qualcuno stava camminano in su e in giù per quella stanza. Non appena s’avvicinò, s’accorse che si trattava di Sulac.
Accese la luce, gli andò in contro e quando i loro sguardi s’incrociarono s’accorse che i suoi occhi erano molto rossi e che sotto aveva delle occhiaie da far paura, come se avesse passato la notte in bianco.
«Che hai?». Gli chiese Henry.
«Vi devo dire una cosa e ho paura». Gli ripose.
«È una cosa brutta?». Gli chiese ancora Henry.
Sulac si buttò a sedere sul divano e poi guardò Henry in faccia.
«No, potrebbe essere una cosa bella… oppure…. una delusione». Gli ripose e in quell’istante sembrava avere lo sguardo perso nel vuoto e aveva paura.
«Di a tutti di raggiungermi in salotto, dopo che avranno fatto colazione». Aggiunge Sulac dopo qualche secondo e Henry annuì.

Quando tutti quanti si svegliarono, andarono in salotto e si misero a sedere sui divani. Sulac, invece, stava in piedi e anche se cercava di non darlo a vedere, tutti quanti potevano notare quanto fosse nervoso.
Tutti quanti restarono in silenzio nell’attesa che Sulac iniziasse a parlare; lo scrutavano attentamente nel volto, come a voler carpire qualcosa, ma il suo volto non trasmetteva alcuna emozione.
«Allora, da dove comincio». Disse e poi guardò tutti quanti.
«Quello che ho da dirvi è importante, è una cosa positiva, che però, non potrebbe avere un risvolto positivo». Disse ancora e attese una loro reazione, ma tutti quanti se ne stavano in silenzio e aspettavano che lui continuasse a parlare.
«Qualunque cosa ci dovrai dire, bella è brutta che sia ricordati che siamo una famiglia». Disse Henry, dopo Sulac si voltò verso di lui e lo guardò in faccia.
«Nel bene o nel male, ci sopporteremo a vicenda, siamo diventati una famiglia unita». Disse anche William, per fargli capire bene il concetto.
Sulac non era calmo, infatti incominciò a camminare in su e in giù per la stanza, mentre con una mano si toccava la barba pungente che gli spuntava dalla faccia.
Improvvisamente, smise di camminare e si fermò al centro della stanza, li guardò in faccia uno per uno e dopo, capì che erano una famiglia unita; in quel momento trovò una pace interiore, non aveva più paura.
«Ho scoperto, ho scoperto tutto grazie a quello che mi ha raccontato ieri sera Neal e quello che mi era successo qualche tempo fa, sono riuscito a capire perché e chi ha rapito mio fratello.
Torniamo indietro di qualche mese, quando mi ero candidato come capo del governo e come sapete, avevo queste mie idee rivoluzionarie e che non piacevano a tutti i politici vecchio stampo.
Ho lottato contro tutto e tutti per portare avanti le mie idee, io ci credevo ero determinato a portarle avanti, perché il mondo si meritava una rinascita. C’era anche chi mi diceva che il mondo stava sempre andando a diritto e che io, volevo svoltare bruscamente, per non seguire più quella strada dritta che ci aveva portato a questa crisi. C’era chi mi diceva che ero folle, lo sapevo d’esserlo e per questo, ero sempre più convinto che quello volevo fare era giusto.
Così, un giorno mi arrivò un e-mail di minaccia in cui, c’era scritto che se non mi fossi ritirato dalle elezioni, avrebbero fatto del male alle persone a me più care.
L’unico mio errore è stato quello di non dargli peso, perché ne ricevevo tante di queste lettere minatorie. Vi confesso che avevo paura per me e per voi, sapete vi voglio molto bene; ma sapevo anche che questo mondo aveva bisogno di qualcuno che rimettesse le carte in tavola, qualcuno che con idee pazze e quasi folli, riuscisse a sconfiggere questa crisi». All’improvviso, fu interrotto.
«Siamo fieri per quello che hai fatto». Gli disse Henry e pochi istanti dopo, tutti quanti annuirono in silenzio, muovendo la testa e tenendo nel volto un espressione che dimostrava soltanto quanto fossero fieri di lui.
«Grazie. Poi ho conosciuto te, Henry. Lo scorso natale con quello che hai fatto hai dato una lezione a tutto il mondo e anche a me. “Mai arrendersi, anche se quello che vogliamo sembra irrealizzabile”. Mi hai dato un ulteriore carica, rispetto a quella che avevo già prima di conoscerti. È quando pochi giorni fa ho scoperto d’essere il tuo bis-zio, un bis-zio molto giovane…». Dalla sua bocca incominciò spuntare un sorriso, era molto vanitoso di se stesso quando di vantava per la sua giovane età
«Sono orgoglioso che te sei sangue del mio sangue». Disse guardando Henry direttamente negli occhi, la stima che provava per quel ragazzino era davvero immensa. Come si ripeteva sempre: “un adulto, nascosto in un corpo di un ragazzino”.
Dopo pochi istanti, riprese a parlare.
«Claus è sparito e nonostante tutto, anche se chi l’ha rapito ha tentato di non farci consegnare i regali a tutte le persone, noi siamo andati comunque avanti, perché Claus non si sarebbe arreso alle loro minacce e avrebbe fatto di tutto per portare avanti il natale». Si fermò per qualche istante e con uno sguardo ringraziò Henry, per avergli gridato contro quel girono e come un leone inferocito, aveva tirato fori le unghie e per far capire a tutti quanti la grossa cavolata che stavano per fare.
«Ieri…., ieri…., ieri….». Non riusciva a parlare, più pensava a quello che avrebbe voluto dirgli e più gli ritornavano alla mente, le immagini del piccolo Neal, spaventato, come non lo aveva mai visto prima.
«Ieri ho capito tutto, almeno credo. Ho capito perché hanno rapito Claus ed stata tutta colpa mia». Disse Sulac e dopo, si voltò da tutti loro, in modo da dargli le spalle. Era triste e i suoi occhi incominciarono a reagire a quel sentimento di disperazione che sentiva sempre più crescere dentro di se. Chiuse gli occhi e si concentrò per non piangere, non voleva piangere voleva essere forte, forte come si era dimostrato nel suo lavoro da politico e forte come quando aveva lottato contro quelli che non credevano nelle sue idee.
In realtà, lui non era così forte come dava a dimostrare agli altri; era una molto forte e al tempo stesso, molto sensibile. Era sempre stata questa sua sensibilità a spingerlo a fare del bene alle persone, un elemento della sua personalità che aveva trasmesso a Henry.
Quando riaprì gli occhi, erano leggermente umidi; non voleva piangere, non voleva farsi vedere debole, ma il quel preciso istante non ci riusciva. Così, gli cadde una lacrima da un occhio e gli scese lungo la guancia, fino a rigargli il volto.
Lentamente, dopo qualche secondo, le lacrime cominciarono a scendere sempre di più, fino a quando, non riuscì più a contenerle e iniziò a singhiozzare; lentamente, anche se non voleva, incominciò a muovere le spalle in modo brusco.
Si sentiva in colpa per tutto quello che successo alla sua adorata famiglia, la cosa più preziosa nella sua vita. Sapeva anche che non era stata colpa sua, ma delle persone crudeli, che avevano causato tutto quanto.
Tutta la sua famiglia, non seppe più resistere allo strazio della sue lacrime, per questo, s’alzarono dal divano, gli andarono incontro e lo abbracciarono forte, per fargli sentire quanto amore c’era nell’aria.
«Qualunque cosa sia successa o non so per quale motivo ti senti responsabile del rapimento di Claus, puoi dircela. Noi non ci arrabbieremo mai con te, siamo una famiglia unita». Disse Henry.
Tutta la famiglia smise di abbracciarlo e dopo pochi istanti, Sulac si voltò verso di loro e all’improvviso, smise d’essere triste grazie all’affetto della sua famiglia.
Sulac si abbassò e dopo aver afferrato Henry, lo tirò su per stringerlo forte al suo petto; anche Henry ricambiò l’abbraccio e lo strinse forte a se.
Dopo, tutti quanti ritornarono a sedere sul divano, tranne Henry, che dopo essere sceso da Sulac, gli rimase affianco e gli strinse la mano. Henry non lo sapeva, ma gli infondeva coraggio.
«Poi,  ieri sera, Neal mi ha raccontato tutto quello che gli era successo quando era stato rapito e da li, ho capito tutto.
Sapete è stato un caso, Neal mi stava aiutando a rigovernare, quando tutto a un tratto, al telegiornale ha sentito una voce e l’ha riconosciuta subito ed ha capito che era uno dei suoi rapitori.
La voce che ha sentito è quella del politico vecchio stampo, quello che era contrario alle miei idee e che poi io ho preso il suo posto quando sono stato eletto». Smise di parlare e li guardò in faccia uno per uno, pensava che avessero capito come aveva fatto lui la sera prima, invece, l’espressioni delle loro facce erano molto perplesse.
«Avete capito è tutto collegato: il rapimento di Neal, le e-mail di manaccia che mi hanno mandato e ora, il rapimento di Claus.
Non so come ha fatto, ma sicuramente ha scoperto che Neal era un mio parente e per questo l’ha rapito, sono sicuro che se non l’avessimo trovato, l’avrebbe sfruttato per farmi rinunciare al mio mandato e forse, non lo so… ci sarebbe riuscito. Per fortuna l’abbiamo trovato e abbiamo rovinato i suoi piani.
A questo punto non aveva niente a cui aggrapparsi, mi ha mandato delle e-mail, minacciandomi di fare del male alla mia famiglia se non avessi cancellato tutte le mie riforme, ma io non gli ho dato peso, anche se avevo paura per tutti voi, perché vi voglio tanto  bene». Smise di parlare per qualche istante e dai suoi occhi incominciarono a scendere delle lacrime, perché credeva davvero in quello che aveva appena detto. Lentamente,  i suoi occhi si bagnarono e qualche lacrima gli incominciò a rigare la faccia.
Rapidamente, s’asciugò il viso con la manica della felpa, mentre il resto della sua famiglia aspettava in silenzio la sua spiegazione.
«Per questo ha rapito Claus, avete capito!. Mi voleva far rinunciare al mio incarico a tutte quelli leggi che ho fatto per migliorare l’economia di questo mondo.
Prima per riavere Claus, ci ha chiesto di annullare il natale, per vedere se ci saremmo arresi e caduti si suoi piedi». Si fermò per qualche istante prima di dire quello che gli passava per la mente.
«Che tipo di persona può chiedere di rinunciare al natale?, che tipo di persona è così crudele, da non immaginarsi la tristezza delle persone, specialmente dei bambini e dei ragazzi che quando si alzano la mattina di natale non trovano i regali di natale sotto l’albero?». Chiese Sulac a tutti quanti, che in quel momento se ne stavano in silenzio ad aspettare che lui riniziasse a parlare.
«Un mostro». Gridò con tutta la rabbia che aveva in corpo, poi, il suo viso assunse un espressione di pura rabbia, tanto che aveva cominciato a digrignare i denti e stringeva le dita delle mani, in un pugno così forte da lasciarsi il segno sulle mani.
«Un mostro, che non faceva niente per uscire da questa crisi.
Poi mi ha minacciato chiedendomi di annullare tutte le mie riforme, ma anche in questo caso, ho deciso di non farlo; perché mio fratello non lo avrebbe mai voluto, come non avrebbe mai voluto che rinunciassimo al natale». Smise di parlare e alla fine, tutti quanti finalmente capirono quello che era successo.

Si trovano ancora in sala e Sulac aveva appena finito di spiegargli la sua ipotesi, che anche secondo loro poteva essere vera.
Avevano qualcosa a cui aggrapparsi, a qualcuno sarebbe sembrato niente, un illusione, ma per loro era tanto.
Questa ipotesi aveva riacceso la speranza nelle loro menti e nei loro cuori.
«Non possiamo stare fermi a far niente, no. Andiamo a raccontare questa storia alla polizia ». Gridò William, dopo essersi alzato in piedi.
«Riportiamo Claus nella nostro famiglia». Disse Henry e anche lui s’alzò in piedi accanto al fratello.
«Facciamo in modo di festeggiare il giorno della Befana insieme a lui». Disse Neal e anche lui, s’alzò in piedi accanto a Neal.
«Saremmo più aggressivi e motivanti se non indossassimo questi ridicoli pigiami!». Esclamò Henry e tutti quanti si misero a ridere.
Lasciarono la sala e si recarono nelle loro camere per prepararsi, lavarsi e vestirsi.
Una mezzora dopo, si ritrovarono tutti quanti in cucina.
«Andiamo?». Chiese Henry a Sulac.
«Sì, ma non possiamo andare tutti, qualcuno deve andare a finire di preparare le calze». Gli ripose Sulac.
«Noi ragazzi andiamo a confezionare le calze e voi alla polizia?». Propose William e Sulac.
«D’accordo». Gli ripose Sulac.
Dopo esseri vestiti, con le giacche, cappellini, guanti e sciarpe, uscirono di casa e si divisero in due gruppi.
I genitori di Henry, Sulac e la Befana erano diretti alla stazione di polizia, mentre i ragazzi avrebbero continuato i preparativi per il giorno della befana.
I due gruppi salirono in macchina e dopo aver superato il cancello, si separarono prendendo due strade completamente opposte.
Era il primo gennaio e l’anno era cominciato in modo diverso da come era finito; tutti quanti non vedevano l’ora di riabbracciare Claus, ora questa cosa non gli sembrava così lontana come i giorni addietro. Sembrava così vicina, tanto che gli bastava allungare il braccio per poter ritrovare Claus. Dentro di loro sapevano che Claus sarebbe ritornato a casa, ne erano certi; il bene trionfa sempre sul male.

Nella macchina di Sulac se ne stavano tutti quanti in silenzio e l’unico suono che sentivano era quello della radio che trasmetteva la musica.
Dopo una decina di minuti arrivarono di fronte alla stazione della polizia. Sulac spense il motore e quando tutti quanti furono usciti dalla macchina, la chiuse premendo il bottone sulla chiave.
S’avviarono a piedi fino alla porta d’ingresso della polizia. Passo dopo passo si stavano avvicinando sempre di più alla stazione di polizia, ma non solo a quella.
Passo dopo passo si stavano avvicinando sempre più a riavere Claus. Aprirono la porta e s’incamminarono verso la stanza del poliziotto che curava il caso di Claus. A tutti quanti batteva il cuore all’impazzata ed erano tesi come una corda di violino.
Sulac bussò alla porta.
«Avanti». Gridò il poliziotto e solo allora, Sulac aprì la porta.
«Buon giorno». Disse Sulac al poliziotto.
«Buon giorno anche a lei». Disse il poliziotto con un’aria molto perplessa. Non capiva perché Sulac era di fronte a lui, visto che non c’erano novità sul caso della scomparsa di Claus.
«Che c’è?». Gli chiese e con un gesto li invitò a sedersi sulle sedie che si trovavano di fronte a lui.
«Non ci sono delle novità sul caso». Gli disse amareggiato.
«Io, invece ho delle novità». Gli disse Sulac.
«Mi dica». Gli disse il poliziotto.
«Credo di sapere chi ha rapito mio fratello e anche il motivo per il quale l’ha fatto». Gli disse Sulac.
Il poliziotto incuriosito non vedeva l’ora d’ascoltare quello che aveva da dirgli Sulac, perché anche lui, come tutti gli altri, non vedeva l’ora d’arrivare alla verità e di rendere giustizia a Claus.
Così Sulac si mise a raccontare tutta la storia che quella mattina aveva già spiegato a tutta la sua famiglia. Il poliziotto ascoltò tutto quanto con molto interesse, cercò di ragionare in modo distaccato, per essere più obbiettivo possibile, anche se era molto difficile non farsi travolgere dalle emozioni. D’altronde tutti quanti volevano molto bene a Claus, chi non voleva bene a un simpatico vecchietto che faceva di tutto per far del bene alle persone.
«La sua idea, mi convince molto e tutto quadra, ma non possiamo interrogare quel politico senza delle prove.
Cercheremo delle prove, per muovergli un’accusa più valida e poi lo interrogheremo per farci dire dove si trova Claus». Disse il poliziotto.

Anche i ragazzi, non appena arrivano a casa della Befana, non persero tempo e una volta usciti dalla macchina, entrarono subito in casa della Befana per poi raggiungere il magazzino e iniziare così a confezionare le calze.
Mentre confezionavano parlavano tra di loro e tutti i ragazzi fecero sapere agli elfi della Befana, che c’era una concreta possibilità di riabbracciare Claus.
Tutti quanti, presi da un momento di euforia, lasciarono il loro banco da lavoro, si riunirono al centro e s’abbracciarono in un abbraccio pieno d’amore e di speranza. Si misero a gridare come pazzi il nome di Claus. Gli mancava tremendamente e anche se senza di lui avevano portato avanti il natale, non era stata la stessa. A Henry, Daniel, William e Neal, mancava il loro nonno; a Clary e Gabriel mancava il loro padre; alla Befana gli mancava suo marito e tutto il mondo mancava Claus.
Pochi istanti dopo, ritornarono seri e si rimisero a confezionare le calze, avevano ancora montagne di calze da confezionare, tanto che sembrava che non finissero più.
Ma loro si divertivano a confezionare le calze, perché nel mentre parlavano e ascoltavano la musica. Ogni tanto si mettevano a sgranocchiare qualche dolcetto, cercavano di resistere, ma a volte gli veniva l’acquolina in bocca e non sapevano resistere al delizioso profumo di dolce di quello che gli capitava tra le mani.
Già da qualche giorno gli elfi sarti della Befana stavano cucendo i sacchi che poi i ragazzi avrebbero dovuto portare sulle loro spalle. Avevano passato molte ore a intrecciare i fili di juta e alla fine, erano riusciti a creare i sacchi per tutti i ragazzi. Quei sacchi erano molto grandi e come quello di Claus, i dolci e la frutta che mettevano dentro sarebbero diventati talmente piccoli da scomparire.
A ogni sacco avevano ricamato il nome di ogni ragazzo, di colore rosso e in netto contrasto con il colore giallognolo del sacco di juta.
Tutti i ragazzi avevano continuato a lavorare per il giorno della befana, riempiendo le calze di dolci, caramelle, frutta e quando qualcuno se lo meritava, perché si era comportato veramente male, avevano inserito anche il carbone,  quello vero per fare la brace.
«Venite». Gli disse un elfo, non appena s’affacciò alla porta del laboratorio della Befana.
«Certo». Gli risposero in coro.
«Vi dobbiamo preparare i vestiti, come l’hanno scorso. Vestiti alla moda come piacciono a voi giovani, tuttavia, rovinati per farli sembrare vecchi, come da tradizione si veste la befana». Disse l’elfo.
L’elfo sarto aveva un metro appeso al collo e sulla maglia, aveva infilati diversi aghi e le sue mani erano tutte sporche di gesso bianco.
Così, i ragazzi smisero di confezionare le calze, s’avvicinarono all’elfo e lo seguirono fino alla sua stanza. Montarono diverse rampe di scale, fino a quando si ritrovarono di fronte a una porta che si trova in fondo al corridoio.
L’elfo sarto aprì la porta e gli fece cenno con una mano per invitarli a entrare dentro. La stanza era davvero molto graziosa; aveva molte finestre per illuminare bene l’ambiente, aveva una scaffalatura dove c’erano davvero un’infinità di tessuti.
C’erano diversi tavoli e molti elfi pronti a creare i vestiti, su un tavolo in fondo a una parete c’erano tutti gli strumenti che utilizzavano i sarti.
«Ora vi prendiamo le misure». Così a uno a uno, incominciarono a prendergli le misure del collo, del torace, della vita, del sedere, delle cosce e dei polpacci.
Dopo gli fecero delle domande, per capire quali vestiti che gli piaceva indossare. Così, pochi minuti prima delle otto avevano già finito di prendergli le misure, li lasciarono liberi e i ragazzi corsero fino alla cucina, invogliati dal delizioso profumo che sentivano nell’aria.

Una volta usciti dalla stazione della polizia s’abbracciarono tutti insieme; avevano bisogno l’un l’altro. Erano da quasi un mese intrappolati in un tunnel buio, ma adesso vedevano uno spiraglio di luce.
S’avviarono fino alla loro macchina e una volta saliti, Sulac accese il motore e s’immerse nel traffico per raggiungere la casa di Claus.
«Vedrai lo troveranno». Disse la madre di Henry alla Befana e dopo,  le strinse la mano per farle coraggio.
«Lo spero».  Le rispose. E per un po’ stette in silenzio.
«Sai, io ho visto mio marito prima che sparisse, è ho capito che era contento di aver trovato tutti questi nipoti e un figlio». Disse la Befana alla madre di Henry.
Il padre di Henry alzò la testa e si mise a pensare a Claus e anche se si era affezionato a lui, faceva fatica a chiamarlo “padre”.
«Non me l’ha detta questa cosa, ma io sono sua moglie e spesso capisco quello che pensa anche se non me lo dice. Forse…, era rimasto turbato, ma in modo positivo. Forse…, c’è l’aveva con se stesso, per non averti potuto crescere come un figlio e aver perso gli anni migliori con te e con i tuoi figli». Disse la Befana al padre di Henry.
«Sono sicura che è stato contento quando a saputo che tu sei suo figlio è che Henry era suo nipote. Sai, è sempre stato fiero di Henry e a volte mi diceva che nonostante lo sentiva come un suo nipote, gli sarebbe piaciuto davvero se lo stato fosse veramente». Disse ancora la Befana.
Quando raggiunsero la casa di Claus, dopo aver parcheggiato, entrarono in casa e non trovarono i loro figli.
«Dove sono tutti quanti?». Chiese la Befana all’elfo cuoco che stava finendo di preparare la cena.
L’elfo cuoco si voltò verso la Befana.
«Hanno deciso di rimare a casa tua, perché hanno detto che vogliono provare a volare di notte, sai per riprenderci un po’ la mano». Le spiegò l’elfo.
Dopo aver mangiato la buonissima cena che gli aveva preparato l’elfo cuoco, andarono a dormire.
Tutti quanti non vedevano l’ora di ricevere la telefonata dal poliziotto, per ricevere la notizia del ritrovamento di Claus.

Mancavano pochissime ore al giorno della Befana e tutti quanti erano impegnati a confezionare le ultime calze.
Sulac teneva sempre il cellulare acceso nella tasca dei suoi pantaloni, perché sperava tanto di ricevere una telefonata dal poliziotto; ma più passavano le ore e più le sue speranze cominciavano a vacillare. Una parte di lui gli diceva di non avere paura, ma c’era anche un’altra parte, che aveva un paura così intensa da fargli gelare il sangue delle vene.
Invece, i ragazzi passarono la maggior parte di queste ultime ore a volare, a tutte lo ore del giorno. Furono i ragazzi a insegnare a volare sulla scopa all’amica di Henry e Daniel; all’inizio erano davvero buffe, ma con il passare dei minuti, impararono a controllare la scopa. Continuarono a volare anche all’alba, al primo sorgere del sole e nella mattinata, quando il sole cominciava a fare capolino al mondo e poi, persino di notte, quando l’unica stella che li guidava era la luce della luna.
Era bellissimo volare, soprattutto quando nell’aria c’era molto silenzio; quando volavano si sentivano liberi come gli uccelli.
«Anche le scope volano grazie alla polvere magica, quella che si trova nella casa di Clau?». Chiese Henry a Clary, mentre con la sua scopa stava sterzando bruscamente, per poi mettersi a volare a testa in giù.
«Sì». Gli ripose, dopo pochi secondi.
«È proprio così che funziona». Gli ripose con un sorriso.
Qualche istante dopo, si ritrovarono disposti in cerchio, mentre erano ancora sospesi per aria con le loro scope.
«Me lo ricordo ancora la prima volta che la Befana ci ha insegnato a volare su queste scope». Disse Henry, mentre  nella sua mente vedeva le immagini della sua prima volta sulla scopa.
«Già!, me lo ricordo anch’io». Disse Daniel con un sorriso.
Dopo questo breve momento pieno di bei ricordi, nella loro mente passò l’immagine di Claus sorridente e poi, pochi secondi dopo, l’immagine di Claus che si era perso tutto il periodo di natale e improvvisamente, persero i loro sorrisi e diventarono tristi.
Il giorno prima di volare, dormirono fino a tardi per essere ben riposati. Quando si svegliarono verso mezzogiorno, mangiarono e dopo, andarono subito a volare, per prepararsi al grande volo che avrebbero fatto nelle prossime ore.
Dopo aver fatto una cena sostanziosa, raggiunsero gli elfi sarti, per indossare i vestiti che gli avevano preparato.
Stavano veramente bene vestiti in quel modo e dopo, raggiunsero il magazzino della Befana per prendere i sacchi pieni di dolci, frutti e carbone. Non appena entrarono, trovarono davanti a loro i sacchi appoggiati su ogni tavolo.
Accanto a ogni tavolo, c’era un elfo pronto a legargli il sacco sulle spalle.
Così, tutti gli elfi incominciarono a legarglieli sulle spalle e nonostante contenessero davvero tante cose, i sacchi non erano tanti pesanti. Presero le loro scope e uscirono dal magazzino. Ognuno di loro teneva in mano la sua scopa; tutti i ragazzi non vedevano l’ora di fare nuovamente il giro del mondo in ventiquattr’ore.
Quando arrivarono in cucina trovarono tutta la loro famiglia in piedi di fronte a loro, erano sorridenti, eppure allo stesso tempo tristi per la mancanza di Claus.
«Fate buon viaggio». Gli augurò la Befana.
«Grazie». Dissero tutti quanti e dopo, s’abbracciarono con un abbraccio pieno d’amore.
Dopo, Henry corse verso la Befana e l’abbracciò nuovamente stringendola forte a se.
«Non essere triste». Le disse con un sorriso e poi, ritornò verso i ragazzi.
Uscirono fuori, dalla porta della cucina e si misero subito le scope tra le gambe. Dopo, si voltarono un’ultima volta verso la loro famiglia e gli sorrisero.
Mancavano pochi minuti a mezzanotte, così si dettero una spinta con i piedi e lentamente, cominciarono a librarsi nell’aria, come una piuma che dolcemente vola grazie al vento.

I ragazzi erano già partiti da qualche minuto, quando al’improvviso Sulac sentì vibrare il suo cellulare nella tasca dei pantaloni. Così, nel buio e nel freddo pungente della notte, tirò fuori il cellulare e s’accorse di aver ricevuto un messaggio da parte del poliziotto che s’occupava della scomparsa di Claus. Lo lesse; ora, non poteva che sperare.

Con il passare dei secondi, volavano sempre più verso l’alto, tanto che incominciarono a vedere la loro famiglia come dei piccolissimi puntini.
Dopo essere saliti alla quota giusta, incominciarono a proseguire verso dritto, secondo una meta che avevano stabilito precedentemente. Avevano un po’  paura di perdersi, ma ognuno di loro non si sentiva solo: erano amici, erano una famiglia e ormai erano diventati un gruppo unito.
La luna splendente era già in alto nel cielo e nel silenzio della notte, era l’unica fonte luminosa.
Così, cominciarono a entrare di casa in casa e a lasciare le calze alle persone. Tante case diverse, tanti stili di vita diversi; persone povere, persone che stavano bene e persone ricche. Persone che per due volte dell’anno si sentivano uguali, una notte in cui tutti quanti potevano essere tuoi fratelli, una notte in cui non contava il colore della pelle, una notte in cui nessuno s’arrabbiava. Una notte dolce, che sarebbe stata ancora più dolce al risveglio delle persone; un risveglio pieno di dolci e una giornata da passare con le persone più care: famiglia e amici.
«Guardate lì!». Gridò Henry, per farsi sentire da tutti quanti. Henry reggendosi con una sola mano al manico della scopa, puntò le dita dell’altra mano verso il terrazzo di una casa.
Così, tutti quanti si misero a guardare quella casa e s’accorsero che aveva attaccato uno striscione.

“VOGLIAMO CLAUS LIBERO!.”

«”Vogliamo Claus libero”». Lesse William.
Tutti quanti si fermarono a leggere quella frase. Proseguendo il loro viaggio per la consegna delle calze, trovarono altri striscioni come quello, che, anche se con parole diverse, esprimevano tutti lo stesso concetto: Claus libero.
Mano a mano che passava il tempo, si sentivano sempre più stanchi, ma non potevano mollare, avevano ancora del lavoro da svolgere.
Avevano ancora tante case da visitare. Lentamente, la luna stava sparendo per fare posto al sole, che alle prime ore dell’alba, spuntava all’orizzonte con i suoi raggi spendenti.
Mano a mano che il tempo passava, avevano sempre meno calze nei loro sacchi e tra pochissime ore, sarebbero ritornati a casa. L’aria era cambiata, a volte, quando incontravano venti caldi, sentivano caldo e quando incontravano quelli freddi, sentivano più freddo.
Anche questa volta, percorrendo tutto il mondo incontrarono persone con culture diverse e i loro cuori battevano per una dolce vecchietta che al loro risveglio avrebbe portato molta dolcezza nelle loro vite.
Però, questa volta, battevano, anzi gridavano tutti insieme la loro voglia di giustizia. Gridavano, nel buio della notte, chiedendo la liberazione di Claus, una persona che non si meritava quello che gli stava capitando. Un uomo che avrebbe dovuto passare il natale con la sua famiglia, ma qualcuno veramente crudele, l’aveva privato di questa gioia; un uomo che faceva di tutto per fare i regali alle persone che nemmeno conosceva e un uomo che non considerava il suo ruolo come un lavoro, ma come una missione di vita.
Così, quando finirono di consegnare l’ultima calza, cambiarono subito rotta per ritornare a casa di Claus.
«C’è l’abbiamo fatta». Gridarono tutti quanti in coro.
«Già». Disse Henry, mentre i suoi occhi si stavano per chiudere dalla stanchezza.

Quando arrivarono a casa, erano già le otto di mattina; il sole era già alto nel cielo e il tempo prometteva bene, infatti non c’era nessuna nuvola minacciosa all’orizzonte. Quando arrivarono in prossimità della casa di Claus, incominciarono a scendere dolcemente, fino a quando non toccarono i loro piedi per terra, dove la neve attutì il loro impatto al suolo.
Lì, ad attenderli c’erano moltissimi elfi, pronti a prendersi cura di loro, delle loro scope e dei sacchi che portavano sulla schiena.  Per loro, era strano tornare a camminare, dopo ventiquattrore passate a volare.
Così, una volta entrati dentro al cancello della casa di Claus, consegnarono le scope e i sacchi agli elfi, che presero tutto quanto in custodia per pulirlo e rimetterlo apposto.
Lentamente, s’avviarono verso la porta e quando l’aprirono, si trovarono di fronte tutta la loro famiglia in pigiama e seduti al tavolo della cucina a fare colazione. I loro familiari stavano chiacchierando tra di loro, ma non appena li videro entrare, alzarono lo sguardo verso i ragazzi.
«Com’è andata?». Gli chiese la Befana con un sorriso, mentre tra la mano reggeva una briosce.
«Molto bene». Le rispose Henry, mentre si portava una mano alla bocca per sbadigliare. Infatti, tutti i ragazzi erano davvero molto stanchi, sia fisicamente che mentalmente. Era stato molto stancante concentrarsi per non perdere la rotta e non perdersi nel cielo buio e oscurato soltanto dalla luce della luna. A malapena si reggevano in piedi e i loro occhi erano molto stanchi, tanto che avevano delle occhiaie da far paura.
«Siete stanchi?». Gli chiese Sulac.
«Puoi dirlo forte». Gli rispose William.
Tutti i ragazzi s’avvicinarono al tavolo e dopo, si misero a sedere. Nel frattempo, l’elfo cuoco aveva messo a scaldare il latte per tutti i ragazzi. Un profumo di latte caldo cominciò a innalzarsi nell’aria. Sul tavolo c’erano delle briosce appena sfornate. Dopo pochi minuti, l’elfo cuoco iniziò a versargli il latte nelle loro tazze e così, poterono iniziare a fare colazione.
Erano davvero tanto affamati a causa del lungo viaggio che avevano fatto e quando finirono di mangiare, si sentirono subito meglio.
Non vedevano l’ora di farsi una bella doccia rilassante e buttarsi a letto a dormire almeno per qualche ora.
«Dove sono le nostre calze?». Chiese Neal alla Befana.
«Le abbiamo preparate proprio qualche ora fa». Gli rispose la Befana con un sorriso.
«Non vediamo l’ora di aprile». Le disse ancora Neal.
«Niente carbone?». Chiese Henry alla Befana con un sorriso.
«No, niente carbone per i miei nipoti, i miei figli e le amiche dei miei nipoti. Siete stati veramente bravi». Gli rispose ancora la Befana
S’alzarono da tavola,  salirono le scale per raggiungere le loro camere e dopo, presero il necessario per fare il bagno.
Stettero davvero tanto tempo sotto la doccia, perché il getto d’acqua riusciva a rilassarli. Quando furono pronti, si misero l’accappatoio e raggiunsero le loro camere. S’asciugarono, si misero il pigiama e poi si buttarono sotto le coperte. Lentamente, i loro occhi si chiusero fino a scivolare in un sonno sempre più profondo. Andarono a dormire sereni, sapendo d’aver fatto qualcosa di buono per il mondo e che le persone al loro risveglio avrebbero avuto un motivo valido per sorridere.

Nel frattempo, l’elfo cuoco si era dato da fare per preparare una cena davvero deliziosa. Infatti, il giorno prima era andato a comprare tutto il necessario al supermercato insieme ad altri elfi. Aveva comprato veramente tante cose, non aveva badato a spese per questa cena.
Doveva essere una cena davvero speciale, dovevano mandare giù ancora una volta la dura verità: Claus era ancora lontano da loro. Un’altra festa che Claus avrebbe dovuto trascorrere in compagnia della sua famiglia e invece, ancora un’altra volta, l’avrebbe passata da solo, sperduto, al freddo, solo e senza l’affetto della sua famiglia; quella famiglia che aveva appena trovato.
Questa volta aveva deciso di variare il menù, perché non gli piaceva preparare sempre le stesse cose.
Avrebbe fatto degli antipasti di polenta, con sopra la salsa di carne e di funghi. Come primo avrebbe fatto la pasta con il salmone affumicato. Poi, aveva deciso anche di cucinare della buona pizza fatta in casa. Come dolci, invece avrebbe fatto, il pandoro e il panettone fatti in casa, come voleva la tradizione. Aveva comprato delle bottiglie di spumante, anche se non avevano niente da festeggiare.
Nel frattempo, si mise a preparare anche una pasta veloce per il resto della famiglia.

Verso le quattro di pomeriggio, Henry si svegliò, aprì gli occhi e vide degli spiragli di luce che uscivano dalla finestra. Si tolse le coperte di dosso, s’alzò dal letto, si tolse il pigiama e si mise dei vestiti puliti.
William e Daniel si erano già svegliati perché i loro letti erano disfatti, mentre Neal sonnecchiava dolcemente sotto le coperte.
Decise di non svegliarlo, di lasciarlo riposare e per questo, decise di fare il più paino possibile.
Lasciò la camera e scese le scale per raggiungere la cucina, dove trovò i suoi fratelli a fare uno spuntino. Così, anche lui si mise a sedere e attese che l’elfo cuoco gli preparasse qualcosa da mangiare.
«Che cosa voi da mangiare?». Gli chiese l’elfo mentre si voltava verso di lui.
«Un panino con prosciutto e un bicchiere di latte caldo». Gli ripose Henry. Così, l’elfo si mise subito all’opera per preparargli una merenda davvero con i fiocchi.
«Non vedo l’ora d’aprire la calza». Disse Henry ai suoi fratelli, mentre con mano si reggeva la testa e dalla bocca gli usciva un po’ di bava dall’acquolina.
Loro lo guardarono e poi gli sorrisero.
«Certo come no!, golosone!». Gli disse William.
Henry gli sorrise.
«Hai ragione». Gli disse.
Dalla porta dalla cucina sbucò il piccolo Neal con in mano il suo pupazzo preferito, quello che lo stringeva a se per addormentarsi.
«Ciao». Disse a tutti quanti.
«Ciao». Gli risposero tutti quanti.
Avanzò in cucina e nel frattempo, si stropicciò gli occhi.
«Ecco la tua merenda». Disse l’elfo cuoco a Henry.
«E tu cosa vuoi?, quello che ho appena portato a Henry?». Chiese l’elfo cuoco a Neal.
Prima di rispondergli, Neal guardò il piatto del fratello.
«Sì, lo stesso, solo voglio il prosciutto crudo nel panino».
L’elfo si mise subito all’opera per preparargli la merenda.
Mentre Henry masticava un boccone, alzò gli occhi e si mise a guardare il posto al centro tavola: era vuoto. Come gli sarebbe piaciuto festeggiare almeno l’ultimo giorno di natale insieme a suo nonno.

Nel frattempo, i genitori di Henry avevano cominciato a mettere le calze che avevano preparato sotto l’albero. Ogni calza era fatta con la lana, aveva dei disegni diversi e poi, avevano attaccato dei bigliettini con i nomi dei ragazzi, per distinguerle l’una dalla l’altra.
Per i loro figli, avevano deciso di fargli anche un regalo a testa e molto particolare.
«Secondo te gli piacerà questo regalo che gli abbiamo fatto?. Capiranno?. Accetteranno?». Il padre di Henry, abbracciò sua moglie da dietro e con le braccia gli strinse dolcemente la pancia.
«Certo che capiranno e sono sicuro che saranno così contenti da piangere di gioia». Le sussurrò all’orecchio per tranquillizzarla. Lei chiuse per qualche istante gli occhi e si lasciò cullare dall’abbraccio del marito.
Rimasero così in quell’abbraccio pieno d’amore, fino a quando le grida di gioia e di schiamazzi dei loro figli non li riportarono alla realtà.

I ragazzi dopo aver fatto merenda, non avevano niente da fare e per questo, decisero di aiutare l’elfo cuoco in cucina. Henry e Neal stavano abbrustolendo la polenta, mentre William e Daniel stavano stendendo la pasta da pizza che l’elfo cuoco aveva già preparato il giorno prima.
L’elfo cuoco oltre a tenere d’occhio il forno, dove stavano cuocendo il panettone e il pandoro, si stava anche occupando delle varie salse.
Dopo pochi minuti, li raggiunsero anche i genitori di Henry, Sulac e la Befana e tutti quanti si misero cucinare
Così, in questo modo, proseguirono per il resto della giornata, scambiandosi i ruoli e facendo anche altre cose.
Si divertivano molto a cucinare e facevano tutto quanto come una famiglia unita. Alla fine, verso le sette avevano quasi finito di cucinare. Nell’aria c’era davvero un buon profumo molto invitante, che li faceva venire l’acquolina in bocca.
Lentamente, il sole si stava abbassando sempre di più, il cielo stava diventando sempre più scuro e per fortuna, non c’era nessuna nuvola minacciosa all’orizzonte.
La Befana e la mamma di Henry, si misero ad apparecchiare la tavola. Misero una tovaglia rossa, dei piatti uno sopra l’altro, che con il bordo riprendevano il colore della tovaglia, delle posate con il manico rosso e dei bicchieri di cristallo rossi.
In più misero delle calze appese sotto al davanzale della finestra e sopra, misero una serie di candele profumate, che con il passare del tempo, stavano emanando un profumo sempre più buono.
Aggiunsero anche un centro tavola con delle candele e attorno delle pigne e qualche ramo di agrifoglio con delle bacche rosse.
C’era solo un problema nelle loro decorazioni: il posto vuoto a centro tavola, come il vuoto che sentivano nei loro cuori.
Nel frattempo, l’elfo cuoco stava ultimando gli ultimi preparativi, mettendo la salsa sopra i crostini di polenta.
Avevano deciso di tenere spenta la televisione in cucina, perché non gli interessava vendere niente e si divertivano di più a chiacchierare tra di loro.
Tutto a un tratto, il loro chiacchierare fu interrotto dal suono interrotto dei loro cellulari. In brevissimi istanti, si guardarono tutti quanti negli occhi. Non capivano che cosa stava succedendo, erano come imbambolati e dentro al loro cuore, speravano e allo stesse tempo, avevano paura che fosse successo qualcosa a Claus.
Non sapevano se i rapitori di Claus gli avessero fatto qualcosa, visto che loro non avevano esaudito le loro richieste.
Lentamente, tutti quanti infilarono le mani nelle tasche dei loro pantaloni, ma prima di prendere il telefono tra le mani, il suono del campanello interruppe la loro azione.
Alzarono lo sguardo verso l’alto e i loro occhi erano diretti verso la porta, poi, all’improvviso si guardarono tutti quanti in faccia.
Non sapevano cosa dirsi e nella penombra della cucina, incominciarono a sorridere, avevano capito. Certo, non potevano esserne certi, fino a quando non avrebbero aperto quella porta. Tra loro e la verità c’era solo una porta, eppure avevano davvero paura di aprirla. E se si fossero sbagliati e lì, dietro la porta, non ci fosse stato chi sperano che ci fosse, sarebbero rimasti delusi; allo stesso tempo, non vedevano l’ora di scoprire la verità.
Nell’indecisione di tutti quanti, Henry decise di avanzare lentamente verso la porta e appoggio la mano sulla maniglia, ma prima d’aprirla, si voltò verso la sua famiglia, quasi come per chiedergli il permesso.
Così, aprì la porta e un leggero spiraglio di luce incominciò a illuminare tutto l’ingresso. Più la porta s’apriva e più riuscivano a vedere chi c’era al di la del cancello. Nella penombra videro tre figure, non bene illuminate e per questo, non capivano chi fossero. Henry, accese la luce esterna, dall’interruttore che si trovava accanto alla porta.
All’improvviso, come un lampo, la luce illuminò le tre perone che stavano al di la del cancello. Tutta la famiglia s’avvicinò alla porta e non appena videro chi c’era al di la del cancello, incominciarono a correre per andargli in contro, nonostante fossero senza giacca e che fuori facesse un freddo cane. Gridavano forte, avrebbero potuto infastidire tutto il vicinato, ma in quel momento, non gliene importava niente.
Henry fu il primo ad arrivare al cancello e lo aprì per permettere a Claus di rientrare in casa sua.
Era sempre lo stesso Claus di sempre, nonostante si vendeva chiaramente che aveva sofferto. Era molto dimagrito, aveva meno pancia e le sue gote erano più infossate. Era strano, ma nonostante tutto sorrideva e sembrava felice di poter rivedere e riabbracciare la sua famiglia. Era tutto sporco, sia in faccia che nelle mani, i suoi vestiti erano tutti sporchi e strappati; ma nonostante tutto questo, non perdeva il suo fascino.
Quelle persone crudeli, nonostante l’abbiano privato della sua festa, non l’avevano privato però della sua voglia di lottare per un mondo migliore.
Henry gli andò più vicino e con un salto gli salì addosso e strinse le sue mani al suo collo e le sue gambe alle sua vita. Non gli importava se puzzava, aveva bisogno di sentirlo vicino a se. Lentamente, Claus aprì le sua braccia per stringerle sul corpicino delicato di Henry.
Lentamente, Henry cominciò a singhiozzare di gioia e qualche secondo dopo, anche Claus fece lo stesso; la loro era un emozione incontenibile.
Anche se Claus voleva bene a tutti quanti, non poteva negare a se stesso di volere molto più bene a Henry, per il legame che s’era instaurato tra di loro.
Tutti quanti avevano gli occhi lucidi e stavano piangendo dall’emozione.
Dopo qualche minuto, salutarono e ringraziarono i due poliziotti e poi, tutti insieme rientrarono in casa.
Finalmente Claus era ritornato a casa; gli era mancata veramente tanto. Claus si guardò attorno e notò la cucina addobbata e la tavola bella imbandita.
«Stavamo per festeggiare l’epifania». Gli spiegò Henry.
Claus gli sorrise.
«Mi aspettate, vorrei festeggiare anch’io con voi. Ma prima…. be!... dovrei farmi una bella doccia, puzzo da fare schifo. Devo anche radermi la barba». Disse Claus a tutti quanti.
«Metto un piatto in più». Disse l’elfo cuoco.
«Fai presto nonno!, prima mangeremo e prima apriremo le calze». Gli disse Henry con un sorriso.
«Certo». Gli disse Claus con un sorriso e dopo, s’abbassò per dargli un bacio sulla testa.
Così, Claus se ne andò e raggiunse il bagno per farsi una doccia rilassante. Gli erano mancate le piccole cose, come farsi un bagno, radersi, mangiare, parlare e stare con la sua famiglia. Si commosse dalla gioia, era libero; questo periodo della sua vita, per quanto brutto era riuscito a fargli apprezzare ancora di più la sua vita e la sua famiglia.
Non aveva perso tutto il periodo di natale, poteva ancora festeggiare il giorno dell’epifania con la sua famiglia e le amiche dei suoi nipoti. Era poco in confronto a tutto il periodo, ma s’accontentava.
Dopo essere uscito dalla doccia, si vestì e poi, si mise a radersi. Quando uscì dal bagno, si sentì rinato, il suo aspetto era davvero migliorato e quando tornò in cucina, ritrovò tutta la sua famiglia ad accoglierlo. L’atmosfera che si trovò davanti era davvero magica. Avevano spento tutte le luci della cucina e le uniche luci accese erano quelle delle candele, che avevano reso quell’ambiente davvero suggestivo. A volte, la fiamma della candela ondeggiava facendo cambiare l’illuminazione della stanza che diventava così tremolante.
Tutti quanti si misero a sedere al loro posto e finalmente il posto a capotavola, che era rimasto vuoto per moltissimo tempo, era di nuovo occupato da Claus.
L’elfo cuoco iniziò a portare gli antipasti e mentre mangiavano tutti quanti incominciarono a raccontargli del natale che avevano appena trascorso, rendendolo così partecipe delle loro avventure; in questo modo, gli sembrava quasi di aver vissuto il natale insieme a loro.
«Avrete tante domande sul mio rapimento e io vi risponderò». Disse Claus.
Poi si voltò e guardò negli occhi il padre di Henry.
«Soprattutto tu figliolo, avrai tante domande». Gli disse e il padre di Henry annuì con un gesto quasi impercettibile. Finalmente, avrebbe avuto delle risposte alle sue domande e si sarebbe potuto sentire figlio di Claus. Chiuse per qualche istante gli occhi e immaginò come sarebbe stato se fosse cresciuto con Claus; di certo gli sarebbe piaciuto molto, l’idea di avere un padre importate per molte persone. Allo stesso tempo, non rinnegava neanche i suoi genitori adottivi, li amava per come l’avevano cresciuto, per quello che gli avevano insegnato e per tutte le cose che gli avevano comprato.
Continuarono a mangiare le pizze squisite fatte in casa, che erano così buone che tutti quanti fecero il bis e finirono tutte quelle che l’elfo cuoco aveva preparato.
Infine, mangiarono qualche fetta di pandoro e di panettone. Claus s’alzò da tavola per prendere la bottiglia dello spumante.
«Vi voglio ringraziare per tutto quello che avete fatto per me. Per aver indagato e capito chi era il cattivo». Disse Claus.
Dopo, incominciò a togliere la carta, poi la gabbietta e quando arrivò al tappo di sughero, lo resse per non farlo partire. Si fermò per qualche istante a guardare la sua famiglia, li guardò uno per uno e si commosse al pensiero che fino a poche ore fa non sapeva se li avrebbe rivisti. Per un pelo aveva rischiato di non dire ai suoi nipoti di essere fiero di essere il loro nonno e al padre di Henry, di essere fiero di essere suo padre.
Si commosse e gli cadde qualche lacrima dagli occhi.
«Scusate». Disse Claus.
Tutti quanti annuirono in silenzio.
«Vi voglio bene a tutti quanti, famiglia, anche alle amiche dei miei nipoti». Quando pronunciò la parola “amiche” fece l’occhiolino a Daniel, che capì subito quello che suo nonno gli voleva dire.
Pochi istanti dopo, lasciò il tappo dello spumante, che come un razzo parti e finì la sua corsa folle contro il soffitto della cucina. Tutti quanti fecero un salto, perché non se l’aspettavano.
«Porta fortuna». Disse Claus a tutti quanti con un sorriso.
Dopo aver finito di mangiare, tutti quanti si misero a pulire la cucina. C’era chi sparecchiava e buttava via lo sporco che era rimasto nei piatti, chi lavava tutto quanto, chi asciugava, chi metteva apposto, chi puliva il tavolo e la cucina e chi spazzava per terra.

Dopo una mezzoretta finirono di mettere apposto la cucina, che addirittura brillava da quando si erano dati da fare.
Si spostarono tutti quanti in sala, perché i ragazzi non vedevano l’ora d’aprire le calze. Sulac, la Befana, Claus e i genitori si misero a sedere sul divano; mentre i ragazzi si misero a sedere per terra di fronte all’albero.
Ognuno di loro prese la propria calza, l’aprì frettolosamente per la curiosità di venire a conoscenza del contenuto, la capovolse e gettò tutto quanto sul tappeto.
Ognuno di loro incominciò a vedere che cosa aveva ricevuto e dopo, s’accorsero che c’erano i frutti e i dolci che gli piacevano di più.
«Addirittura avete fatto le calze seguendo i nostri gusti in fatto di dolci e di frutta». Disse Daniel sbalordito.
«Certo!, vi conosco, so che cosa vi piace e ve lo meritate». Gli rispose la Befana. Daniel fece un sorriso alla Befana e anche lei fece altrettanto.
«Grazie». Le disse Henry.
La Befana gli sorrise.
«Vi vogliamo bene e abbiamo deciso di mettervi nelle calze le cose che più vi piacciono». Gli ripose dopo qualche secondo.
Henry s’alzò, andò in contro a sua nonna per abbracciarla e anche lei lo strinse forte a se.
«Ti voglio bene nonna, anche a te nonno e anche a te bis zio molto giovane». Disse Henry mentre era ancora abbracciato alla Befana.
William guardò sotto l’albero e s’accorse che c’erano ancora dei regali.
«Ci sono ancora dei regali». Disse William a tutti quanti, che all’stante si misero a guardare sotto l’albero. William si allungò con la schiena e con il braccio e ne prese uno lesse il suo nome, dopo, ne prese un altro e lesse il nome di Daniel e glielo passò, poi, ne prese un altro e lesse il nome del suo fratellino Neal e glielo passò e infine prese l’ultimo e lesse il nome di Henry e glielo lanciò.
«Ma… non ce ne sono altri!». Sbuffo Clary e William le dette un bacio tenero sulla guancia. Clary era ancora più bella quando metteva il broncio.
«Per noi niente regali extra?». Chiese Gabriel ai suoi genitori. Anche la Befana non sapeva niente di quei regali ed era moto curiosa di sapere che cosa c’era dentro; anzi, tutti quanti erano curiosi.
«Non sapevo niente di questi regali». Disse la Befana che era sorpresa quanto loro. Gabriel e Clary, notarono che la loro madre era veramente sincera.
I genitori di Henry si stringevano le mani e non vedevano l’ora che i loro figli aprissero quei regali. Adesso, guardavano attentamente i loro figli.
Henry scosse il regalo, dopo esserselo portato all’orecchio e sentì un suono simile a un sonaglio.
«È un sonaglio?». Ipotizzò Henry incredulo. Non capiva il senso di quel regalo.
“Perché un sonaglio?”. Si chiese Henry nella sua testa.
Così, il resto dei suoi fratelli fece lo stesso, ma non capì che cosa c’era al di la della carta. Tastarono i regali: quello di William era molto morbido al tatto e si piegava, quello di Daniel, sembrava un tubo rigido, forse di vetro e quello di Neal sembrava molto piccolo, come le sue manine, morbido e gommoso.
Henry fu il primo a scartare il regalo e quando vide che cos’era rimase perplesso. Non riusciva a capire il motivo per il quale gli avessero regalo un sonaglio da neonati.
«Perché un sonaglio da neonati?». Chiese, ma nessuno gli rispose.
Incuriositi dal regalo che aveva ricevuto Henry, il resto dei suoi fratelli si mise a scartare i loro regali, in modo frenetico, per arrivare più in fretta al regalo.
William pensava di avere intuito il senso del regalo di Henry, ma non glielo disse. Voleva sperare che quello che aveva pensato fosse stato vero e in quel caso, sarebbe stato il regalo più bello degli ultimi anni.
Neal trovò un ciuccio, Daniel un biberon e William una tutina rosa da neonati. All’istante, fu tutto chiaro per William.
«Cosa sono questi regali?». Chiese ancora Henry, ma nessuno gli rispose. Non era ne triste, ne amareggiato per il regalo ricevuto, soltanto che non capiva il significato.
William s’alzò in piedi e guardò negli occhi i suoi genitori. Lentamente, in suoi occhi incominciarono a diventare sempre più lucidi. Non riuscì più a trattenersi e dai suoi occhi incominciarono a scendere delle lacrime che lentamente, gli rigarono la faccia.
Non appena Clary se ne accorse s’alzò in piedi e si mise di fronte a lui. Lo guardò per qualche istante e pensò che fosse triste. S’avvicinò a lui fino a far toccare i loro petti e gli gettò le braccia al collo.
«Sei triste?». Gli chiese preoccupata.
Lui avvolse lentamente le braccia intorno alla vita di Clary.
«No, tutt’altro». Le rispose William.
«Allora è vero…., di nuovo.…, che bello….». William disse delle frasi che per Neal e Henry erano incomprensibili.
Dagli occhi di William incominciarono a scendere sempre più lacrime, che lentamente incominciarono a bagnare la spalla di Clary.
«È vero?». Chiese a sua madre.
«Aspetti un bambino, aspettate un bambino, un nuovo fratellino». Chiese ancora a sua madre.
Gli sguardi che si lanciarono furono così intensi e pieni d’amore.
Tutti quanti erano in attesa di una sua risposta. La madre di Henry, si voltò verso il marito e poi gli sorrise.
«No….». Gli rispose e voleva continuare la sua risposta, ma fu interrotta da William.
«Peccato!». Disse dispiaciuto e in quell’istante, abbassò gli occhi verso la spalla di Clary.
«No, è una bambina. Avrete una sorellina». Gli rispose dopo qualche secondo. William preso dall’emozione incominciò a singhiozzare e a muovere le spalle in modo brusco; per questo Clary, lo strinse ancora più forte a se. Anche lei si commesse.
A ruota, incominciarono a commuoversi, stavano piangendo tutti quanti, se fine a qualche giorno fa piangevano per Claus, adesso piangevano per la felicità di una nuova bambina che si sarebbe aggiunta alla famiglia.
Henry aveva salvato il natale e in qualche modo, le persone avevano salvato il suo fratellino e come conseguenza, avevano salvato anche l’armonia della sua famiglia.
Nel frattempo, l’elfo cuoco andò in cucina e prese una bottiglia di spumante e i migliori flute di cristallo che avesse. Dopo, ritornò in sala e mise i bicchieri sul tavolino di fronte al divano. Tutti quanti presero i loro bicchieri, l’elfo aprì lo spumante facendo saltare il tappo in aria che stava quasi per colpire il lampadario e dopo, lo versò nei bicchieri.
Tutti quanti s’avvicinarono al centro della stanza e come i tre moschettieri, alzarono i bicchieri in alto. Erano tutti uniti e erano commossi.
«Alla nuova bambina». Gridarono tutti quanti.
Henry li guardò.
«A Claus libero». Gridò Henry.
«A Claus libero». Gridarono tutti quanti, ripetendo le parole di Henry.
Così, festeggiarono e incominciarono a brindare l’uno con l’altro. Si misero a ballare e cantare a squarciagola; insomma stavano festeggiando e si stavano divertendo come matti.
«Una nipotina, da veder cresce!, che bello. Mi dispiace di aver perso gran parte della vostra vita, nipoti miei, ma da ora in poi ci sarò sempre per voi». Disse Claus e dopo abbracciò stretto i suoi quattro nipoti.
«Ti faremo vedere le nostre foto e i nostri filmati quando verrai a casa nostra». Gli disse Daniel.
«Ci verrai a trovare?, nonno». Gli chiesero Henry e Neal.
«Certo». Gli rispose con un sorriso e dopo gli accarezzò dolcemente la testa.

Qualche ora più tardi si ritrovarono tutti quanti seduti al tavola della cucina. Claus aveva deciso di spiegargli quello che gli era successo quando era stato rapito. E spiegare anche al padre di Henry, perché non aveva saputo della sua esistenza.
«Quando ho ascoltato che Henry diceva a suo padre che era mio figlio, sono rimasto sorpreso, ma in maniera positiva. Ero molto contento di avere come nipoti questi bellissimi ragazzi e questa bambina». Claus smise di parlare e appoggiò la mano sulla pancia della madre di Henry e lei gli sorrise.
«Ero contento di essere tuo padre, non ero triste; ma allo stesso tempo, mi ha preso un po’ alla sprovvista e mi ha un po’ confuso. Per questo, avevo deciso di andare in montagna e vi ho lasciato io quel messaggio in cui vi dicevo che sarei andato in montagna per riflettere. Avevo bisogno di riflettere e di perdonarmi, perdonarmi per non aver capito che la mia ragazza dell’epoca aspettava un figlio da me». Claus fu interrotto da William.
«Allora la Befana non è la madre di mio padre, mia nonna?». Chiese William a Claus, voleva capirci di più in questa storia.
«No, non sono la vostra nonna biologica, ma mi sento lo stesso vostra nonna». Gli rispose.
«Possiamo chiamarti nonna?». Gli chiese Henry.
«Certo». Gli rispose e dopo gli sorrise.
Dopo qualche secondo Claus riprese a parlare.
«Ero arrabbiato con me, per non averti potuto crescere. Ero giovane quando ti avevo avuto, non avevo ancora un lavoro e non avevo ancora deciso di diventare babbo natale. Avrei fatto di tutto per te e avrei trovato un lavoro per farti crescere. Ti avrei cambiato il primo pannolino, ti avrei insegnato a camminare e ad andare in bicicletta. Avrei giocato con te, ti avrei accompagnato il primo giorno a scuola. Avrei fatto di tutto per te». Claus smise di parlare e dai suoi occhi da prima lucidi, incominciarono a scendere delle lacrime. Sentiva veramente quello che aveva detto. Dentro di lui gli resterà sempre il rimpianto di non aver capito che la sua ragazza di allora aspettava un figlio da lui. Dentro di se immaginava come sarebbe stata la sua vita se avesse potuto crescere il padre di Henry. Ma sognare non gli basta e non poteva nemmeno tornare indietro nel tempo. Doveva accettare la realtà, anche se era dura da mandare giù.
Anche il padre di Henry aveva gli occhi lucidi.
«Così, me ne sono andato a piedi fino alla montagna, anche se era buio, non avevo paura di sperdermi, perché conosco quella montagna come le mie tasche.
Così, dopo aver camminato per un po’, mi sono fermato a un tronco di un albero a guardare la luna. E in quell’istante, mi ricordo di aver trovato la pace interiore.
Mi stavo alzando per tornare a casa, quando, tutto a un tratto, delle persone da dietro di me, mi hanno appoggiato un fazzoletto con del cloroformio alla bocca.
Mi sono addormentato e quando mi sono risvegliato, mi sono ritrovato incatenato in una casa davvero elegante.
Ero sempre stanco e affamato, ma non mi arrendevo, non potevo mollare, dovevo ritornare da voi per dirvi che era felice di aver trovato un figlio e dei nipoti.
Mentre il mio rapitore parlava, ho capito il motivo per il quale mi avevano rapito.
Sono contento per il fatto che non avete ceduto alle loro richieste». Claus smise di parlare e guardò in faccia suo fratello.
«Sono contento che non hai rinunciato alle riforme che avevi fatto per me». Gli disse e dopo gli strinse la mano.
«Sono anche contento che non abbiate annullato il natale per me. Tutti quanti si meritano di ricevere un regalo il giorno di natale». Disse Claus. Si notava dal suo tono di voce che credeva in quello che diceva.
«Visto!, che vi avevo detto!». Disse Henry a tutti quanti, ricordandogli di quando aveva dovuto lottare per far si che non decidessero di cancellare in natale.
Dopo si voltò verso Claus, per parlare direttamente con lui.
«Lo sai che mi sono dovuto battere per far capire a tutti che te avresti portato avanti il natale». Gli disse Henry.
«Hai fatto bene». Esclamò Claus dopo qualche secondo. Smise di parlare per quale secondo e si mise a guardare la sua famiglia, uno per uno; una parte di lui, non credeva di essere riuscito a ritornare a casa.
«Ti ho sognato quando eri in quella casa bellissima e grazie al mio sogno che ti avevano quasi trovato». disse Henry a Claus.
«Però, i miei sequestratori, avevano capito che la polizia mi avrebbe trovato e per questo, avevano deciso di cambiare luogo.
È solo grazie a voi, che avete capito chi era il colpevole. Hanno trovato delle prove contro di lui e per questo, l’hanno interrogato, fino a quando non è crollato ed ha confessato tutto. Quando la polizia ha fatto irruzione in quella casa, non ci credevo, non credevo che fosse vero, avevo addirittura pensato che la mia mente mi tirasse un tiro veramente crudele. Quando ho capito che erano venuti lì per liberarmi, non ho capito più niente, fino a quando non ho capito che ero libero e che sarei potuto ritornare a casa dalla mia famiglia». Gli spiegò Claus e lentamente i suoi occhi si riempirono di lacrime di felicità.
«Mia madre che fine ha fatto?». Chiese il padre il Henry a Claus.
Claus alzò gli occhi verso suo figlio.
«Amavo tua madre, era il mio primo amore, fino a quando non ho travato mia moglie». Si fermò per qualche istante a precisare.
«Era bella, dio se era bella!. Me la ricordi tanto, hai preso tanti lineamenti da lei. Mi basta guardarti, per rivedere lei e questo mi rattrista. Amo molto mia moglie». Disse Claus e dopo si fermò per qualche istante a guardare sua moglie. Le prese una mano tra le sue, per trasmetterle tutto l’amore che provava per lei.
«Ma capiscimi, capitemi, era il mio primo amore e nonostante ami mia moglie alla pazzia, in una parte del mio cuore ci sarà sempre un pezzo di lei.
La amavo da impazzire, era la mia prima ragazza, avrei fatto di tutto per lei e per te, se avessi saputo. Tutto a un tratto e senza un motivo, se ne andò e anche se la polizia che si era data da fare a cercarla, non l’ha mai trovata.
Questa cosa ha lasciato un vuoto dentro di me, fino a quando mia moglie non è riuscita a curarlo». Disse infine Claus.
Quando lui smise di parlare, tutti quanti avevano le lacrime agli occhi, erano rimasti tristi dalla storia che gli aveva raccontato Claus.
S’alzarono dalle sedie e in silenzio raggiunsero le loro camere per andare a dormire. Fecero molta fatica ad addormentarsi, perché nella loro mente rivedevano e sentivano il dolore che aveva provato Claus nel raccontare quella storia.
Nonostante tutto, quella storia li aveva uniti ancora di più.

Questa sarebbe stata l’ultima notte che avrebbero trascorso nella casa del loro nonno. Gli sarebbe mancato terribilmente Claus, ma ora erano una famiglia e alla prima opportunità, avrebbero fatto di tutto per rincontrarsi.
La mattina dopo, quando si svegliarono tutta la famiglia di Henry si mise a preparare le valigie, perché da li a poche ore, avrebbero dovuto raggiungere l’aeroporto.
A colazione se ne stettero tutti quanti in silenzio: se da un punto di vista erano felici per aver salvato il natale e per riaver riavuto nuovamente Claus tra loro, dall’altro, erano tristi, perché da li a poche ore, si sarebbero detti addio. Questa volta sarebbe stato ancora più difficile dell’anno scorso, perché il legame che si era creato tra loro era ancora più intenso e profondo.
Tutti quanti raggiunsero con più macchine l’aeroporto e dopo, si abbracciarono stretti.
Claus abbracciò stretto i suoi nipoti.
«Vi voglio bene». Gli disse tra le lacrime.
«Ci verrai a trovare?, ti vogliamo far vedere dove abitiamo». Gli chiese Henry.
«Certo». Gli ripose Claus con un sorriso misto tra il triste e il sorridente.
Dopo, Claus abbracciò anche suo figlio, il padre di Henry.
«So che ormai sei grande e che non hai più bisogno di me, ma mi piacerebbe imparare a conoscerti, con il tempo. Mi piacerebbe creare con te il legame padre-figlio». Gli disse Claus.
«Ci proveremo, anch’io voglio conoscerti». Disse in padre di Henry, mentre lo stringeva ancora più forte a se. Non lo sapeva ancora, ma una parte di se gli voleva già un bene dell’anima.
Sulac, Claus, la Befana e gli elfi, li accompagnarono fin dentro l’aeroporto e aspettarono con loro il volo. Quando fu il momento di partire, si abbracciarono di nuovo e quando furono lontani si salutarono con le mani.
Così, finalmente salirono sull’aereo. Henry prima di mettersi a si mise a guardare quello che vedeva attraverso l’oblò. Gli sarebbe mancata terribilmente la Lapponia.
Doveva dire grazie a quella terra, quella terra che gli aveva ridato una vita, gli aveva ridato il suo fratellino, gli aveva tolto il senso di colpa per la scomparsa di Neal, gli aveva ridato l’armonia della sua famiglia, gli aveva ridato i suoi genitori felici innamorati e in attesa di un’altra figlia, gli aveva dato un nonno e una nonna fantastici, gli aveva dato un bis-zio che gli aveva insegnato a lottare in quello in cui credeva e gli aveva dato un qualcosa, che crescendo avrebbe sempre portato dentro di se.

RINGRAZIAMENTI

Sapete, mi piacerebbe tanto vedere questa storia pubblicata da un editore, ma per farlo ho bisogno del vostro aiuto e che condividiate da per tutto (facebook, google+, twitter) questa storia, per permettere ad altre persone di immergersi nella magia di questa storia.
Davvero!, se avete amato questa storia, aiutatemi a farla conoscere, condividete dappertutto e consigliatela anche ai vostri amici.

È stato un lavoro molto lungo scrivere questa seconda parte, con una storia a mio parere, per certi versi ancora più bella della prima parte. Ma io non mi posso giudicare, dovete essere voi a farlo.
E da luglio che lavoro a questa seconda parte e ora siamo a aprile, sono passati nove mesi, ma per me sono come volati, visto che mi sono divertita molto a scrivere questa storia.
Fatemi sapere che voto dareste da 1 a 5 a questo secondo libro.

Come sapete ho intenzione di una terza e ultima parte, ma non ho ancora buttato giù la trama. Se volete, potete darmi dei suggerimenti e io li potrei inserire in questa terza e ultima parte.

Prima di tutto voglio ringraziare tutti quei lettori, che mi hanno seguita fino a qui e che si sono appassionati a questa storia, settimana dopo settimana. Voglio anche ringraziare i lettori che hanno cominciato a seguire questa storia solo quest’anno. Ringrazio anche tutti quelli che leggeranno in futuro questa storia e che la condivideranno sui social.

Voglio ringraziare te che hai letto la mia storia, anche se a volte non riuscivo a essere puntuale con la pubblicazione dei capitoli. Mi scuso se a volte non riuscivo a essere puntuale, ma a volte mi capita di non riuscire a scrivere e prima di scrivere qualcosa che non mi convince preferisco, rimandare la scrittura e la pubblicazione.

È sempre  dura mettere la parola fine a una storia, perché a differenza di quando leggo un finale di un libro, sento più miei quei personaggi. Allo stesso tempo è bello portare a termine una storia, poi rileggerla e accorgermi d’aver scritto qualcosa che mi piace.

Era già da un po’ di tempo che avevo in mente questa storia e sono contenta di averla potuta condividere con voi. Trovo che sia una bella storia, piena di speranza, con un bel messaggio e con dei personaggi davvero ben caratterizzati.


Fatemi sapere nei commenti se volete un seguito?. Questa storia terminerà con la terza  e ultima parte, in modo da farla diventare una trilogia. Ho già diverse idee per come portare avanti questa storia, per concluderla. Naturalmente, il terzo capitolo di questa storia lo leggerete a dicembre.

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