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venerdì 12 maggio 2017

VIVRÒ SOLO PER TE - CAPITOLO 6.1 - ANDARE AVANTI CON I SENSI DI COLPA


VIVRÒ SOLO PER TE


VIETATA LA RIPRODUZIONE ANCHE PARZIALE


TRAMA:
Harry frequenta le superiori, sta insieme alla sua ragazza Virginia da due anni. È innamorato di lei. Fin quando soccorre Crystal durante un incidente. Tra di loro (Harry e Crystal) è amore a prima vista. Harry è pronto a lasciare Virginia per Crystal, quando il destino decide per lui nel modo più crudele; la sua ragazza, Virginia fa un incidente con il motorino e dopo una lunga lotta perde la vita. Non vi dico che cosa gli succede, perché vi rovinerei la lettura, ma come da titolo "VIVRÒ PER TE", Crystal gli darà la forza per tornare a vivere e a non avere più paura della vita. Crystal diventerà la sua roccia a cui aggrapparsi.



Se ti sei perso/a il quinto capitolo te lo lascio qui:


Lasciarono l'obitorio e si incamminarono verso la stanza di suo padre. Nessuno si loro disse una parola, avevano bisogno di questo silenzio. Avevano bisogno di sentire solo le loro voci che rimbalzavano nelle loro menti. Avevano bisogno di cercare la pace, ma il quel preciso istante era impossibile trovarla. Erano come in una bolla, come se il tempo si fosse fermato.
Erano ormai le sette passate e l'ospedale era quasi deserto. Il loro dolore era immenso e difficile da descrivere con le parole. Lì, nel silenzio più assoluto, avevano lo sguardo perso nel vuoto. Si sentiva solo il rumore dei loro passi e dei loro sospiri. Erano forse alle ricerca di una ragione; la vera rabbia e che non esiste una ragione a una ragione; lo devi solo accettare.
"Perché Virginia se ne era andata?". La verità era che non esisteva una risposta sensata. Con il tempo avrebbero potuto farsene una ragione. Il tempo avrebbe lavato le ferite; come il mare bagna la spiaggia.
Harry accese il computer ed entrò nel suo account Facebook, ma anche lì non c'era pace; tutti i suoi amici stavano parlando di Virginia.
"Se solo conoscessi il cognome di Crystal potrei chiederle l'amicizia per parlare con lei. In questo momento ne avrei davvero bisogno. Ma lei poteva contattare me, perché le avevo detto che ero il figlio del primario. Avrebbe potuto farlo, ma non l'ha fatto; non so perché, forse non è interessata a me". Pensò Harry.

Dopo un po' di tempo uscì da Facebook e aspettò che suo padre terminasse il turno; non se la sentiva di tornare a casa da solo. Chiamò suo fratello maggiore per chiedergli se poteva portargli la moto a casa.
Mentre suo padre Roberto stava lavorando, non poteva non pensare a lei. Anche lui era affranto dal dolore. Era traumatico persino per lui, ma a differenza di Harry, non poteva piangere sul posto di lavoro. Stava male solo a pensare al dolore che stava provando Harry; di una cosa ne era certo, gli sarebbe stato vicino.
Harry stava immobile sulla sedia, non faceva niente. Passò molto tempo a osservare il soffitto. Tentava di non piangere, tentava di essere forte. Ma lui sapeva di essere molto forte e allo stesso tempo molto debole. Lì, d'assolo, poté esplodere in un pianto straziante e liberatorio al tempo stesso; in quel momento ne aveva bisogno.
Le lacrime gli uscivano da sole, aveva gli occhi e il naso arrossati e ogni tanto singhiozzava. Consumò un intero pacchetto di fazzoletti. Appena si calmò, si alzò per prendere un te caldo. Dopo aver bevuto il tè, rientrò nella stanza e si rimise a sedere; non pianse più anche perché ormai aveva consumato tutte le sue lacrime. Si fermò a riflettere, puntando lo sguardo nel vuoto.
Suo padre aveva appena finito il suo turno di lavoro e s'incamminò fino al suo studio per portare Harry a casa. Ma quando aprì la porta, il cigolio fece fare un salto a Harry.
«Andiamocene a casa. A mangiare un bel piatto caldo vedrai che la mamma ci ha preparato qualcosa di buono». Gli disse e poi gli fece un sorriso.
Harry non lo ascoltava. E nemmeno gli rispose. Era come bloccato in un mondo a parte.
Suo padre gli andò vicino e gli appoggiò un braccio sulle spalle.
«Lo so che fa male. Che ti sembra di morire. Ma passerà». Riuscì a capirlo solo osservandolo.
«Vorrei essere morto con lei». Disse veramente convinto. Quella frase fece ghiacciare il sangue a suo padre.
Lo guardò per qualche istante, come per capirlo e poi gli fece di no con la testa.
Si alzarono e si avviarono verso la macchina. In meno di mezzora arrivarono a casa.
Appena entrarono in casa, si andarono a togliere il cappotto. Harry fu abbracciato da tutta la sua famiglia. Da sua madre Alessandra, dal fratello Francesco, dalla sorella Martina e anche i piccoli gemellini Carlo e Andrea. Tutti quanti gli mostrarono il proprio affetto, ma forse, Harry avrebbe voluto starsene da solo, anche se accettava l'affetto sincero della sua famiglia.
«Grazie, vi voglio bene a tutti. Ma ho bisogno di stare da solo. Mi faccio una doccia e vado subito a letto». Guardò sua madre.
«Scusa mamma non ho fame. So che hai preparato una cena deliziosa, ma proprio...». Smise di parlare. Chiuse gli occhi per un istante per mantenere il controllo.
«Non c'è alcun problema». Gli disse sua madre con un sorriso gioioso. Lei non sapeva come comportarsi. Non sapeva come aiutarlo a superare questo brutto dolore, ma cercava di fare del suo meglio per farlo stare bene.
Harry andò incontro a sua madre, l'abbracciò e si rimise a piangere.
«Mamma ti voglio tanto bene». Disse con le lacrime agli occhi e la bava alla bocca.
«Lo so». Lei lo cullò nel suo petto come quando era piccolo.
«Sto soffrendo. Sto male». Disse tra le lacrime
«Shh». Gli disse per tentare di calmarlo. «Lo so. Ma passerà e noi ti staremo tutti quanti vicini».
Dopo essersi lavato Harry se ne andò immediatamente a letto. Suo padre gli consigliò di prendere dei sonniferi. Harry prese i sonniferi e si abbandonò in un sonno tranquillo.
Sua madre gli portò un'insalata e qualche fetta di prosciutto in camera e mise tutto quanto sulla scrivania; nel caso in cui gli fosse venuto fame durate la notte, avrebbe avuto qualcosa da mangiare.
La mattina seguente si svegliò ancora più frastornato della sera precedente. Il sonnifero che gli aveva dato suo padre la sera prima per farlo addormentare, aveva fatto effetto. Quella sera dormì tranquillamente. Si rilassò tutta la notte. Non pensò a niente. Nella sua testa c'era il vuoto. Era molto rilassato, ma era solamente un illusione. Un illusione che sarebbe svanita la mattina seguente.
Al mattino, quando si svegliò l'effetto della medicina era svanito. Ritornò nuovamente triste e depresso. In casa era solo. Si svegliò verso le otto. Sarebbe dovuto andare a scuola, ma suo padre gli consigliò di restare qualche giorno a casa. Accettò la proposta del padre, aveva bisogno di qualche giorno per riprendersi. Si stiracchiò nel letto. Non voleva alzarsi, perché voleva rimanere nel suo letto e dormire, per non pensare a niente e immergersi nel modo dei sogni. Nei sogni avrebbe potuto immaginarsi avventure fantastiche, oppure sognare Virginia e deprimersi anche durante il suo sogno.
Si vestì, si lavò e scese per fare colazione. Si scaldò il latte. Prese una tazza e si mise a bere il latte con i cereali. La casa era vuota e desolata; era triste per Harry rimanere solo, ma nessuno gli poteva tenere compagnia, se non con il pensiero e con il cuore. Si trovò in tavola un biglietto con tutti i saluti della famiglia. Suo padre e sua madre gli scrissero di chiamarli.
Penso tra se e se: "Ho una famiglia magnifica. Mi vogliono tutti bene e ieri sera hanno saputo consolarmi senza apprimermi. Mi sono stati accanto degnamente".
Trovò un altro messaggio scritto da suo fratello, da sua sorella e dai gemellini.
"Ti siamo vicini nel dolore. D'altronde siamo una famiglia unita e abbiamo imparato a volerci bene. Abbiamo cercato di essere dolci e comprensivi con te e se abbiamo sbagliato in qualche modo ci dispiace tanto. Ti siamo stati accanto finché non ti sei addormentato. Non sappiamo bene come comportarci con te. Scusaci. Ti abbiamo coccolato. Hai dormito quasi tranquillamente tutta la notte ma poi hai urlato e io sono venuto a dormire nel tuo letto per abbracciarti e da quel momento sei stato tranquillo.
Con affetto,
Francesco, Alessandra, Carlo e Andrea".
Ma Harry non voleva parlare con nessuno; in quel momento non se la sentiva. Voleva solamente rimanere solo, con il suo dolore; non per sempre, primo o poi sapeva che avrebbe avuto bisogno di parlare con qualcuno. Pianse per alcune ore. Piangere era l'unico modo per scrollarsi di dosso tutto il dolore e la rabbia che provava. Sì, provava la rabbia, perché si riteneva responsabile per quello che le era successo. Dopo qualche ora, riuscì a tranquillizzarsi. Ma non aveva ancora chiamato i suoi genitori. Era deciso a non chiamare nessuno e a non parlare con nessuno. Cosa doveva dirgli, che stava meglio?. La realtà era che era a pezzi, anche se faceva finta di stare meglio di fronte alla sua famiglia. Tutto a un tratto, sentì squillare il telefono e andò a rispondere.
«Pronto». Disse Harry con una voce spenta.
«Sono papà». Suo padre era molto preoccupato per suo figlio, doveva parlargli e fare attenzione alle parole che pronunciava. Una parola sbagliata o fuori posto, avrebbe potuto scatenare in suo figlio una crisi profonda. Suo padre non voleva farlo soffrire di più di quello che stava già soffrendo.
«Ciao». Dal tono di voce capì che suo figlio era ancora giù di morale.
«Come stai questa mattina?». Gli chiese per incominciare a instaurare un dialogo; così, tanto per iniziare a instaurare una conversazione neutrale e pacifica.
«Un po' meglio di ieri, ma sono molto giù. Papà voglio che finisca presto questo periodo, non c'è l'ha faccio più». Harry gli rispose, con un tono di voce strano, come se si sforzasse per mentire. Non era vero che stava meglio di ieri. Stava uguale a ieri, ma era un po' peggiorato.
Sospiro, chiuse gli occhi, si guardo dentro di se e capì di aver appena detto una grande falsità.
«Non è vero che sto bene. Sto malissimo. Sento un dolore fortissimo e tutto questo perché...». Non riuscì a terminare la frase.
Si mise a sedere sul divano, poi si sdraio e chiuse gli occhi.
«Figliolo, passerà. Sai, il tempo riesce a guarire tutte le ferite». Gli disse per tirarlo su di morale e per fargli capire che avrebbe sofferto per molto tempo e dopo, tutto d'un tratto, di sarebbe trovato in pace con se stesso, senza sapere come fosse arrivato a questo cambiamento.
«Spero che tu abbia ragione». Harry sperava con tutto se stesso di uscire da questo tunnel senza luce. Giocherellava con il filo del telefono, perché certe osservazioni del padre lo mettevano in agitazione.
«Papà io sto male. Mi sento in colpa. L'ho uccisa io. C'è l'ho mandata io in gelateria. E tutta colpa mia. Se le avessi chiesto di vederci a casa mia, oppure a casa sua, lei non sarebbe morta». Disse tutto d'un fiato per tentare di trattenere le lacrime, ma non ci riuscì. Incominciò a piangere e a singhiozzare. Si prese la testa fra le mani e lasciò cadere il telefono. Incominciò a piangere molto intensamente e le sue lacrime stavano incominciano a bagnare il tappeto di fronte al divano. Suo padre si spaventò quando senti i telefono cadere per terra.
«Harry, rispondi. Harry rispondi. Harry. Harry. Harry». Gridò, ripetendo il suo nome varie volte, ma non sentì alcuna risposta. Sentiva solamente il rumore dei suoi respiri affannati. Gli dette il tempo per sfogarsi e appena senti il suo respiro tonare regolare, cominciò a parlargli.
«No, non puoi dire così. Non puoi accollarti una colpa che non è tua. È stato il fato o chiamiamolo pure destino». Continuò aggiungendo dopo aver sentito un grido straziante da parte del figlio.
«Troverai una nuova ragazza, che ti farà dimenticare questa brutta cosa. Sono sicuro che la troverai. Lotta, lotta per Crystal. Non ti arrendere e non lasciare che quello che le è capitato ti condizioni la vita. Vivi, come lei avrebbe voluto. Anche se non l'ho mai vista, credo che sia la ragazza giusta per te. Lo sai, che quando parli di lei sorridi sempre e ti brillano gli occhi». Suo padre si rese conto di avergli detto qualcosa che lo avrebbe portato a non arrendersi. Credeva in tutte le parole che gli aveva detto.
Harry si mise a singhiozzare. Se esisteva il destino, fino a ora era stato ingiusto con la sua vita.
«Sicuramente troverò un'altra ragazza. Ma dentro di me avrò sempre paura di farle del male. Di ucciderla. Dio se mi piace Crystal, quella ragazza che conobbi tempo fa. Ti ricordi, te ne parlai tempo fa». Gli disse con una voce tremolante e addolorata. Questo era quello che pensava. Da un lato avrebbe voluto un nuovo amore, ma dall'altro, non avrebbe mai più voluto innamorarsi. Non sapeva bene nemmeno Harry cosa avrebbe voluto, ma di una cosa era sicuro, voleva vivere e superare questa brutta crisi, perché Virginia l'avrebbe voluto vedere sorridente.
«Sì, che mi ricordo che mi hai parlato di lei. Il tuo vecchio non è ancora del tutto rincoglionito». Disse suo padre per scherzare. Harry sorrise alle parole del padre.
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