DISCLAIMER:
È assolutamente vietato copiare il contenuto dei post incentrati sulle mie storie. Tuttavia potete copiare la sinossi e condividere sui vostri blog la data d'uscita dei capitoli successivi.
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Per leggere il settimo capitolo di It's christmas time parte 2, clicca qui.
"Non so se farò in tempo a scrivere l'ultimo capitolo di questa storia, molto probabilmente potrebbe slittare di qualche giorno.
A gennaio ho deciso di continuare l'altra storia ACROSS THE TIME, perché è davvero tanto tempo che non posto un nuovo capitolo. Adesso, so come portarla avanti, ed è una cosa davvero bella e originale.
Mi è venuto in mente un'idea per portare avanti questa storia e per fare questo, probabilmente, avrò bisogno di scrivere un prequel.
SE TI E' PIACIUTA QUESTA STORIA, CONDIVIDILA, PER FARLA CONOSCERE ANCHE AI TUOI AMICI.
Fatemi sapere se vi piace questa storia, se avete da criticare, fatelo pure, perché le critiche sono costruttive. Mi piacerebbe ricevere un vostro giudizio. Grazie per aver letto questa storia. Non perdete il NONO CAPITOLO, IL 31 DICEMBRE ORE 21:00"
CAPITOLO
8: IT’S CHRISTMAS TIME WHITOUT CLAUS
Stettero
in silenzio per qualche minuto, non sapevano cosa dirsi, nelle loro menti,
scorrevano le immagini di Claus, solo e impaurito.
Henry
se lo vedeva ancora davanti a se, come nel suo sogno e lui, più di tutti gli altri,
vedeva come stava realmente.
«Accidenti!».
Esclamò e gridò Henry.
Tutti
quanti si voltarono verso di lui, dopo che aveva pronunciato quella parola; non
era da lui, non aveva mai imprecato.
Dopo,
abbassò la testa verso il tavolo e quando la rialzò, l’espressione della sua
faccia aveva assunto una strana espressione, un misto tra il triste e l’incazzato.
«Maledizione!».
Imprecò ancora. Dopo tirò un pungo, contro il tavolo, facendo vibrare tutte le
cose che si trovavano sopra.
«Henry,
che c’è?». Gli chiese sua madre.
«Io…,
io… l’ho sognato, l’ho visto, ho visto come stava al buio, sporco e legato. Io ero lì con lui e non potevo fare
niente». Disse ancora Henry.
«Non
avercela con te». Gli disse Sulac.
Henry
s’alzò dalla sedia in un modo molto rumoroso, facendola strusciare sul
pavimento.
«Non
capisci!». Gridò e in quel preciso istante, non riuscì a trattenersi. La sua
anima era piena di dolore e di un senso d’impotenza.
«Non
capite!». Disse ancora e i suoi occhi, da prima lucidi di lacrime, iniziarono a
scendere, fino a rigargli la faccia.
«Lui
è lontano e io ho visto quella casa, ma non so dove si trova. Mi sento
inutile». Disse con il cuore in mano e dopo quelle parole, il suo pianto
diventò molto dirompente, arrivando perfino a singhiozzare.
Appoggiò
i palmi delle mani sul tavolo, abbassò la testa e le sue lacrime incominciarono
a cadere vicino alla sua tazza; lentamente, lacrima dopo lacrima, la chiazza
sul tavolo si stava ingrandendo sempre di più.
«Quello
che hai visto è una cosa utile e che aiuterà molto nelle indagini». Gli disse
Sulac.
Henry
alzò la testa, fino a incontrare gli occhi di Sulac, forse, in parte l’aveva
convinto. Detestava queste sue capacità, quando non lo portavano a niente.
Henry
si rimise a sedere e s’avvicinò al tavolo. Se da fuori dava l’impressione
d’essersi calmato, in realtà dentro di se, era pieno di rabbia, per non aver
capito subito, qualche mese fa, che Claus era in pericolo.
Avrebbe
tanto rivoluto sognarlo, per capire dove si trovava quella casa, per parlargli e fargli capire che non era
solo; ma queste cose non le poteva fare, non poteva parlare nei sogni e imporsi di sognare.
Tutti
quanti si guardavano, ma nessuno di loro aveva intenzione di parlare, anche se,
qualcuno prima o poi, l’avrebbe dovuto fare.
Quando
ti trovi di fronte a un bivio, sei sempre costretto a scegliere; ognuno di noi,
sceglierebbe la possibilità migliore.
Ma
qui non c’era una scelta migliore: se avessero scelto Claus, avrebbero perso il
natale e se, invece, avessero scelto il natale, avrebbero perso Claus.
In
questo caso, era molto difficile scegliere, qualunque scelta avessero fatto,
qualcosa c’avrebbe rimesso.
«Cosa
facciamo?». Chiese Henry. Tutti quanti lo guardavano, ma non sapevano dargli
una risposta.
«Salviamo,
mio padre». Disse Clary. Tutti quanti si voltarono verso di lei. Ognuno di loro
stava ragionando e pensando alla soluzione migliore.
Certo,
questa era una possibilità, ma in questo caso, nessuno avrebbe avuto il natale.
Forse, era questo che volevano i rapinatori di Claus, erano delle persone che
odiavano a tal punto il natale, da non volere che nessun’altro lo festeggiasse.
Se
fosse stato veramente così, queste persone sarebbero state veramente crudeli;
come si fa a togliere il natale alle persone?.
Chi
potrebbe mai poter volere una cosa del genere?. E per quale motivo?; si
chiesero tutti quanti in quel preciso istante, senza sapersi dare una risposta.
«In
questo modo, nessuno avrebbe il natale, nessuno la mattina del venticinque avrebbe
i regali da scartare. In questo modo, porteremo via la felicità a tutti.
Ho
lottato così tanto l’hanno scorso contro la crisi, che aveva quasi impedito a
tuo padre di consegnare tutti i regali.
Ho
lottato anche contro chi non credeva
nelle mie idee e mi credeva soltanto un po’ megalomane». Disse Henry guardando
dritta Clary.
I
genitori di Henry si presero per mano, dopo aver sentito le ultime parole di
Henry. Ci stavano ancora male, quando pensavano a quel periodo della loro vita,
senza Neal e per il modo in cui avevano trattato i loro figli; lentamente,
giorno dopo giorno, si buttavano quel passato dietro le spalle, ma non era per
niente facile.
«Ma
se non fermiamo il natale, rischiamo di perdere Claus». Disse ancora Clary e
dopo, William le prese una mano per stringergliela tra la sua.
«Ha
ragione!, Henry, ha ragione». Disse William a Henry.
«Ha
ragione». Dissero tutti quanti in coro.
Erano
tutti d’accordo con Clary, salvare Claus a discapito del natale di tutto il
mondo; in tutto questo pensare, non si erano fatti la domanda fondamentale,
che, invece, Henry s’e l’era fatta e aveva trovato anche la risposta. Sapeva
che cosa era giusto fare.
S’alzò
dalla sedia e si mise in piedi, di fronte a tutti loro. Lentamente, la sua espressione
facciale cambiò, da serena passò ad arrabbiata, in pochissimi secondi.
Batté un’altra volta il pugno sul tavolo.
«Te,
ti sei bevuto il cervello da quando stai con lei, accetti tutto quello che dice
lei, senza neanche ragionare». Disse Henry a William con un tono di voce molto
cattivo e per certi versi, arrogante e presuntuoso.
«Come
ti permetti, visto che ti ho sempre aiutato a….». Henry non gli diede nemmeno
il tempo di finire la frase. Se non fosse stato suo fratello, sicuramente non
si sarebbe fermato e forse, sarebbe arrivato perfino alle mani.
«Zitto!,
ma prima di chiedervi che cos’è giusto fare, vi siete mai chiesti che cosa
avrebbe voluto fare Claus.
Che
cosa avrebbe fatto Claus, se si fosse trovato nella nostra situazione.
Lui
che l’anno scorso ha lottato contro tutti e tutti, per salvare il natale.
Tra
lui e il natale, avrebbe sempre scelto il natale. Quando lo ritroveranno,
fategli questa domanda, sono sicuro al cento per cento, che vi dirà che avrebbe
voluto salvare il natale». Disse Henry.
Tutti
quanti rimasero ad ascoltare il discorso di quel bambino, che giorno dopo
giorno cresceva sempre di più e diventava un ragazzo, molto saggio e in grado
di vedere e capire delle cose che gli altri non riuscivano a comprendere.
Non
volle sentire la loro risposta, così decise d’andarsene nella sua camera. Gli
aveva detto come la pensava, senza peli sulla lingua.
Era
sicuro che se Claus fosse stato lì con loro, gli avrebbe dato la sua stessa risposta.
Non
aveva niente da fare, così, si sdraiò sul letto e andò a controllare la pagina
facebook di Claus.
Dopo,
andò anche a controllare la posta che gli era rrivavata; aveva davvero tanti
messaggi.
“Non vedo l’ora che arrivi!
“Non vedo l’ora di vederti scendere
per il camino”. Henry, sorrise quando lesse quella frase
e si ricordò di quando Claus, rimase incastrato nel camino, l’anno scorso,
quando avevano fatto il giro del mondo per consegnare i regali.
“Non vedo l’ora di scartare i
regali, sperando che siano quelli che ti ho chiesto”. Questo
qui doveva essere un bambino.
“Grazie per farmi felice e grazie a
tuo fratello per aver abbassato le tasse e quasi sconfitto la crisi”.Questo,
invece doveva essere un adulto.
Decise
d’aggiungere un nuovo post su facebook, per fare sapere a tutti che cos’era
successo a Claus. Tutto il mondo aveva il diritto di sapere la verità.
“Come sapete, Claus era sparito e
credevamo che si fosse allontanato in montagna, per delle notizie che aveva
ricevuto, invece, ora crediamo che sia stato rapito.
I rapitori ci hanno dato un
ultimatum: se non consegniamo regali, ci ridaranno Claus.
Vi confesso che io (henry), vorrei
consegnare i regali, perché sarebbe stato quello che avrebbe voluto Claus, ma
il resto della mia famiglia è contrario alla mia idea”. Scrisse,
lo rilesse e dopo averlo controllato, lo postò.
Dieci
minuti più tardi, cominciarono ad arrivare moltissimi commenti a quel post.
“Non lo vogliamo il natale, niente
regali quest’anno, ma salvate Claus, scegliete lui”.
“Salvate Claus”.
“Lui ha fatto tanto per noi, ora
siamo noi che per la sua salvezza, rinunciamo ai regali e al natale”.
Quei
commenti, erano scritti con parole e lingue diverse, ma dicevano tutti la
stessa cosa e facevano trasparire l’affetto che provavano per Claus.
Di
sotto, tutti quanti s’erano messi a discutere sul da farsi; incominciarono a
ragionare sulle parole pronunciate da Henry. C’era chi ragionando sulle sue
parole, aveva capito che era la scelta giusta da fare, per quanto potesse
essere rischiosa per la vita di Claus.
C’era
anche chi non era d’accordo con le parole di Henry, perché forse, non le aveva
capite e guardava la situazione dal punto di vista sbagliato.
Ognuno
diceva la propria opinione, ma nessuno di loro riusciva ad arrivare a una
conclusione.
Alla
fine dopo, molte ore, riuscirono a capire che la scelta di Henry era quella
giusta.
Continuarono,
come il giorno precedente, a organizzare il natale: c’era chi impacchettava e
metteva i regali nel sacco, chi li costruiva, chi li andava a comprare, chi
prendeva i regali che arrivavano tramite la posta e chi controllava la posta
elettronica.
I
ragazzi stavano impacchettando i regali.
«Scusa
William, per come ti ho trattato, ma dovevo farvi capire come la pensavo e voi,
vi eravate fossilizzati sulla scelta sbagliata». Gli disse Henry, sperando che
lo perdonasse.
«Non
c’è bisogno che ti scusi, non c’è l’ho con te. Hai fatto bene a comportarti in
quel modo, dovevi farci capire qual’era la scelta giusta.
Non mi sarebbe piaciuto fare una scelta
diversa dal pensiero di Claus». Gli rispose William e dopo gli sorrise.
I
giorni passavano e il natale s’avvicinava sempre di più; non avevano ancora
avuto notizie di Claus e questa cosa, li faceva rattristire molto.
Gli
elfi continuavano a lavorare per consegnare tutti i regali il giorno di natale,
confezionando i pacchi fino all’ultimo minuto.
Qualche
giorno prima di natale, i ragazzi andarono dai sarti, che come l’hanno scorso,
gli avrebbero preparato dei vestiti come quello di Claus.
Così
s’incamminarono fino alla stanza dei sarti, che si trovava all’ultimo piano
della casa. Dopo, svariate rampe di scale, arrivarono di fronte a quella porta.
William,
Daniel e Henry avevano in mano i vestiti che avevano utilizzato l’anno scorso.
Di
sicuro, non gli andavano più bene, perché nel corso di un anno erano cresciuti
molto, soprattutto il piccolo Henry.
«Quelli
che cosa sono?». Chiese Clary a William.
«Questo
è il vestito che ho usato l’anno scorso quando, insieme a tuo padre ho fatto il
giro del mondo». Le rispose con un sorriso.
Aprirono
la porta ed entrarono dentro e dopo, la richiusero.
In
quella stanza c’erano molte macchine da cucire, stoffe di ogni tipo, aghi, fili
e tutti gli altri oggetti che utilizzavano gli elfi sarti.
Quando
gli elfi sarti li videro entrare, gli sorrisero.
«Mamma!,
quanti siete». Disse un elfo, dopo averli guardati tutti quanti.
«Fate
tutti quanti il viaggio?». Gli chiese un altro elfo.
«Sì».
Risposero in coro.
Elfo
li contò per uno, spostando il dito della mano verso ogni ragazzo e ragazza.
«Uno…,
due,…, tre…, quattro…, cinque…, sei…, sette…, otto…». L’elfo finì di contarli,
erano otto.
«Mamma
mia quanti siete, dobbiamo fare otto vestiti». Disse l’elfo.
«No».
Disse William.
«Non
dirmi che siete di più». Chiese un elfo spaventato all’idea.
«No,
siamo di meno, io, Henry e Daniel, ci siamo ricordati di portare i nostri, ma
forse li devi allungare». Gli disse William.
«No,
problem». Gli rispose l’elfo.
Così,
ogni elfo sarti che si trovavano in quella stanza, avrebbe lavorato a due
vestiti; perché gli elfi sarti di Claus erano appunto quattro.
Gli
incominciarono a prendere le misure, così da fargli dei vestiti su misura e
perfetti.
Così
arrivò la mattina del ventiquattro dicembre. Tra poche ore sarebbero partiti.
Nei
giorni precedenti, avevano provato gli abiti creati dagli elfi sarti e gli
stavano veramente appennello.
Quel
natale sarebbe stato fantastico per il fatto che avevano scoperto che Claus era
il loro nonno e allo stesso tempo, era molto triste per il fatto che Claus era
lontano e rapito da qualcuno che lo teneva prigioniero.
Si
può essere felici e tristi allo stesso tempo,? perché era così che si sentiva
Henry.
Quella
mattina, Henry, si svegliò molto presto, non aveva sonno e non aveva voglia di
restare a girarsi nel letto, così decise di uscire.
Si
tolse il pigiama e si mise i jeans, le scarpe, la t-shirt e la felpa.
Si
voltò e vide che i suoi fratelli erano sempre a letto. Lasciò la camera e scese
le scale per arrivare in cucina, dove l’elfo cuoco era già in piedi a preparare
la colazione.
«Ma
non dormi mai?». Gli chiese Henry, mentre si metteva a sedere sulla sedia del
tavolo della cucina.
«Certo
che dormo, ma mi sveglio prima, per far si che voi possiate trovare la colazione
pronta e calda». Gli rispose e poi, si voltò verso la cucina.
«Sono
d’accordo con te, con la tua scelta, Claus avrebbe portato avanti il natale a qualunque costo». Gli disse dopo
qualche secondo. Henry alzò la testa fino a vedere l’elfo cuoco.
L’elfo
mise davanti a Henry una tazza e dopo, gli ci versò il latte caldo, il caffè,
due cucchiai di zucchero e una manciata di cereali al cioccolato.
«Sai…».
Gli disse e dopo, si voltò per mettere altro latte a scaldare e a pulire la
cucina.
Poi,
si voltò verso di Henry, che era rimasto a guardarlo nell’attesa che finisse la
sua frase.
«Claus,
a volte è troppo testardo, ma questa sua qualità lo rende una persona migliore.
Come l’anno scorso, quando ha lottato contro tutto e tutti, per portare il
natale a tutti quanti». Disse l’elfo.
Anche
Henry, la pensava esattamente come l’elfo cuoco. Quando finì di mangiare,
lasciò la cucina e vide i suoi fratelli che stavano scendendo le scale.
Andò
a cercare Sulac, aveva bisogno di chiedergli una cosa. Si mise a cercarlo per
tutta la casa e lo trovò nel magazzino, dove impacchettavano i regali.
«Ciao,
mattiniero». Gli disse Sulac con un sorriso e dopo, gli scompigliò i capelli.
Henry lo guardò male per qualche secondo e poi, si rimise i capelli apposto con
le mani.
«Mi
servono dei fogli, un lapis, una gomma e delle matite colorate». Gli disse
Henry.
Sulac
lo portò nella stanza dove gli elfi domestici, amministravano la posta di Claus
e tenevano anche tutta la cancelleria. Da un cassetto prese tutto quello che
gli aveva chiesto e glielo consegnò.
«Cosa
ci devi fare?». Gli chiese incuriosito.
Henry
non gli rispose, presto, dopo la loro partenza l’avrebbe scoperto.
Ritornò
nella sua camera, si mise a sedere davanti al computer e per prima cosa
controllò la posta di Claus. C’erano tantissime e-mail, ma in quel momento, non
poteva rispondere a nessuno.
Spostò
la tastiera e il mouse, per farci entrare un foglio, prese in mano la matita
per cominciare a disegnare.
Cominciò
a disegnare Claus, come lo aveva visto nel suo sogno, sperando che quel disegno
potesse portare a qualcosa; una speranza in più per ritrovarlo. Disegnare Claus,
non era facile, ma neanche difficile; ogni volta che vedeva nella sua mente
l’immagine di Claus prigioniero, provava un dolore immenso dentro di se.
Dopo,
disegnò anche altri particolari di quella casa, anche il più piccolo dettaglio
poteva essere fondamentale per ritrovare Claus.
Infine,
dopo aver disegnato, incominciò a colorarli.
Quando
finì, fece una specie di busta con un foglio di carta e ci mise dentro tutti i
disegni che aveva fatto, scrivendoci sopra “X
Sulac”.
L’elfo
cuoco e i suoi aiutanti, andarono al supermercato per comprare tutto il cibo
che gli sarebbe servito per cucinare la cena di natale.
Quest’anno
sarebbe stato un natale diverso, un natale senza Claus. Alcuni potrebbero
pensare che festeggiare senza Claus possa essere una cosa crudele, ma l’elfo
cuoco sapeva che Claus avrebbe voluto che tutti quanti, nonostante la sua
assenza, fossero felici.
“È straordinario il modo in cui
Henry, a differenza degli altri, riesce a capire così profondamente Claus”.
Pensò l’elfo cuoco.
Così,
prese la sua macchina e s’avviò fino al supermercato. Sapeva già che cosa comprare,
perché nei giorni precedenti, aveva buttato giù un menù davvero speciale, da
leccarsi i baffi.
Come
antipasto avrebbe fatto la polenta fritta con salsa con di funghi e degli
assaggi di prosciutti e formaggi; come primo, le lasagne e cannelloni con
ricotta e spinaci; come secondo, la carne alla brace, insalata mista e patate
arrosto e come dolci, quelli tipici del natale, pandoro e panettone fatti in
casa.
Non
appena tornò a casa, si mise subito a preparare i dolci, perché ci sarebbe
voluto davvero tanto per la cottura; nel frattempo, preparò la pasta fresca
fatta in casa, per le lasagne e i cannelloni, visto che riusciva a mantenersi
per un giorno.
Quel
giorno, il tempo sembrava non passare mai. Finalmente era arrivato il giorno di
natale; l’unico giorno dell’anno in cui i cuori di grandi e piccini battevano per lo stesso desiderio:
Claus.
Henry
si svegliò non appena il suo iphone incominciò a suonare; erano le sette in
punto. Si alzò e si mise a sedere sul letto, mentre aveva ancora le coperte
sulle gambe.
Il
sole cominciava a sorgere e a entrare dalle stecche dell’avvolgibile.
Scese
dal letto e si tolse il pigiama, per indossare i suoi vestiti. Guardò i suoi
fratelli, stavano ancora dormendo.
S’avvicinò
alla finestra e attraverso le stecche dell’avvolgibile, si mise a guardare
fuori e s’accorse che era ancora un po’ buio, infatti, il sole stava
cominciando a fare capolino dall’orizzonte; durante la notte aveva nevicato,
rendendo così il panorama ancora più mozzafiato.
Era
arrivato il ventiquattro dicembre e anche loro tra qualche ora avrebbero
scartato i loro regali. Era natale, eppure Henry, quest’ anno non lo sentiva.
Non poteva essere natale, senza Claus, suo nonno, eppure lo era.
Prese
il suo cellulare tra le mani, per controllare la sua posta elettronica, non aveva
ricevuto nessun messaggio.
Così,
decise di uscire dalla sua camera, per raggiungere la cucina e fare colazione.
Scese
le scale e dopo pochi passi, raggiunse la cucina. Lì, trovò tutti quanti a
sedere a fare colazione.
Parlavano
e discutevano delle ultime cose da fare; sì, c’erano ancora piccole cose da
fare.
C’erano
i suoi genitori che sorseggiavano il caffè, Clary e Gabriel che stavano
mettendo i cereali nella tazza del latte e caffè e Sulac e la Befana stavano
inzuppando i biscotti nel latte.
Li
osservò per qualche istante, era la stessa scena che aveva visto l’hanno
scorso, tuttavia, ad Henry sembrava diversa, poteva negarlo verso gli altri, ma
l’assenza di Claus si sentiva.
Claus
era il leader, non perché comandasse tutti a bacchetta; no, lui era lo spirito
del natale e il collante che teneva tutti quanti uniti.
Ad
Henry gli bastava chiudere gli occhi per vedere l’immagine di Claus sorridente
e questa cosa, riusciva a mandarlo avanti e a farlo lottare contro le
ingiustizie del mondo.
A
volte si chiedeva: “Come l’uomo poteva
essere così crudele con i suoi simili, quando gli animali dimostravano delle
capacità che l’uomo sembrava aver perduto?”, ma in quel preciso istante, non
si sapeva dare una risposta.
«Buon
giorno». Disse Henry, non appena entrò dentro la cucina.
Tutti
quanti lo guardarono e si misero a sorridergli.
«Buon
giorno». Gli disse sua madre.
«Pronto?».
Gli chiese Sulac.
Henry
lo guardò negli occhi e dopo, si mise a sedere.
«Certo…».
Disse sospirando.
«Anche
se…». Sospirò ancora Henry, gli era difficile spiegare agli altri quanto
soffriva per la mancanza di suo nonno Claus; ma il suo sguardo e i suoi occhi
parlavano per lui.
«Ti
capisco… ti capiamo…». Gli disse la Befana.
Si
mise a fare colazione con latte e cereali.
Dopo
una mezz’oretta, anche i suoi fratelli si svegliarono e fecero colazione.
Tutti
i ragazzi aiutavano gli elfi a mettere gli ultimi regali nei sacchi. C’erano
ancora gli ultimi pacchi da mettere li dentro.
I
loro genitori erano inpeganti a scrivere il nome, cognome e l’indirizzo del
destinatario di ogni pacco. Sulac e la
Befana erano impegnati a impacchettare gli ultimi regali.
Non
stavano più costruendo i regali, perché avevano già finito con qualche giorno
d’anticipo, rispetto al previsto e non arrivavano nemmeno più i regali donati
dalle persone. Quelli non erano regali riciclati, ma non utilizzati, che poi, avrebbero
ripreso vita nelle mani di altre persone.
Neal
prese un pacco e lo mise nel sacco, ma questa volta, per puro caso, lo osservò
e mentre cadeva, s’accorse che diventava sempre più piccolo fino ad assumere la
forma di un puntino.
Dopo,
Neal si voltò verso Henry, con un espressione sbalordita.
«Ma
che è successo al pacco?». Gli chiese e Henry si voltò a guardarlo e dopo, gli
sorrise.
«Anch’io
ero curioso un anno fa. È diventato piccolo, come nella borsa di Mary Poppins». Gli rispose, mentre
continuava il suo lavoro.
Ricominciarono
a mettere i pacchi nel sacco.
«E
il tempo, come facciamo a consegnare tutti questi regali in una sola notte e a
fare il giro del mondo?». Gli chiese ancora Neal.
«Di
notte il tempo si ferma e le persone dormono di più e non si accorgono di
questa cosa. Il tempo rallenta piano piano, fino a quando, dolcemente, si ferma
e quando abbiamo consegnato l’ultimo regalo, ricomincia a ripartire molto
lentamente». Gli spiegò Henry.
Il
piccolo Neal sembrava soddisfatto e affascinato da quelle spiegazioni.
«Però,
non ci ha mai detto come fa a volare la slitta». Ammise William.
Clary
si voltò verso di lui.
«Non
te l’ha mai detto, che cattivo che è stato mio padre. Come può non avervi detto
una cosa così bella, per il significato che ha in se».
«Sappiamo
che c’è una polvere magica». Le rispose Henry.
Clary
scosse la testa sconcertata e s’incamminò verso l’entrata della casa.
Tutti
quanti rimasero, lì, vicino al sacco. Quando s’accorse che nessuno la stava
seguendo, si voltò a guardarli.
«Venite!,
vi voglio dire come fa a volare la slitta, ma è più bello se mentre ve lo
spiego, ve lo faccio vedere con i vostri occhi». Gridò per farsi sentire.
Tutti
quanti la raggiunsero, dopo pochi secondi. Aprì la porta di casa ed entrarono dentro.
La seguirono, pensando che dopo la cucina avrebbero dovuto salire le scale, per
raggiungere i piani superiori. Invece, proseguirono lungo il corridoio e
s’avvicinarono a una porta che si confondeva con il muro, infatti, non se ne
erano mai accorti.
Clary
l’aprì e dopo aver sceso una rampa di scale molto ripida, si ritrovarono in una
stanza sotterranea, con tutte le parti ricoperte di un legno scuro.
Non
riuscivano a vedere bene che cosa ci fosse di tanto speciale in quella stanza,
ma quando Clary accese la luce, tutto l’ambiente s’illuminò, mostrando tutta la
sua bellezza, nascosta dall’oscurità.
Quella
stanza era molto grande, perché percorreva tutta la superficie della casa.
Clary
si spostò al centro di quella stanza e s’avvicinò a dei grossi contenitori di
vetro.
«Vedete,
questo contenitore contiene la polvere che ci permetterà di volare stasera».
Gli disse e poi, gliela indicò con un dito.
Henry
si guardò attorno e s’accorse che accanto a quel contenitore di vetro che
conteneva la polvere per volare, c’è n’era un altro, ma lì, la polvere era nera
e in quello indicato da Clary era un bianco che riusciva a cangiare tutti i
colori.
«Quell’accanto,
perché ha la polvere nera?». Gli chiese Henry.
«Questo…».
Disse e appoggiò un dito sul contenitore.
«Questa
è la polvere che non farà mai volare la slitta». Gli disse e Henry e i suoi
fratelli la guardarono in un modo perplesso.
«Vedete,
la polvere magica, questa bianca, nasce dalla bontà e dai desideri delle
persone. Se una persona fa una cosa buona si crea la polvere bianca, ma se poi
fa una cosa cattiva, la polvere che si viene a creare, passa da quel tubo che
collega i due contenitori e diventa nera.
La
polvere nera, non può essere trasformata in bianca». Gli disse.
Tutti
quanti rimasero affascinati dalla spiegazione di Clary, sapevano una cosa che
il resto del mondo, non avrebbero mai saputo e per questo, si sentivano
fortunati e privilegiati. Loro erano parte della famiglia di Claus e per questo,
Clary glielo aveva detto e Claus l’anno scorso era stato molto vago.
A
un’ora dalla partenza si vestirono; erano pronti e niente e nessuno gli avrebbe
fermati. Sembravano dei piccoli Claus.
Erano
tutti vestiti di rosso, con il cappello in testa.
Montarono
sulla slitta, ci stavano a malapena, ma per assistere a questa avventura
mozzafiato, erano disposti a stringersi. Dietro di loro c’era il sacco ben
legato e fissato alla slitta.
Un
elfo incominciò a cospargere la slitta con quella polvere, era la bontà delle
persone a farla volare.
Incominciarono
ad alzarsi da terra e quando inizziarono a volare, la slitta lasciò dietro di
se una scia bianca e scintillante.
Henry
era il capo di questa grande impresa, infatti, guidava le renne attraverso la
briglia alla quale erano legate le renne.
Lentamente,
il tempo si fermò e per questo, i movimenti della luna si fermarono.
Passarono
di casa in casa, lasciavano i regali e a turno, mangiavano quelle cose che gli
lasciano le persone.
Tutte
le volte che Henry vedeva un camino gli veniva in mente quando Claus ci era
rimasto incastrato. La verità era che gli mancava Claus, gli mancava come
l’aria che respirava; ora che aveva scopeto che era suo nonno, l’avrebbe voluto
conosce meglio.
Avrebbe
rivisto Claus, questa era una cosa che sentiva dentro di se; il bene trionfa
sempre sul male; questo non poteva essere la fine, ma l’inizio di una rapporto
tra nonno e nipote.
Stavano
facendo il giro di tutto il mondo e anche se queste persone avevano delle
culture diverse, per quel giorno, i loro cuori battevano per Claus. Non c’erano
differenze tra le persone, anche se nella vita di tutti i giorni erano diverse.
Henry
preso dalla stanchezza, s’addormentò a metà del viaggio, così Gabriel lo prese
in braccio e lo sdraiò sulla poltroncina della slitta, facendogli appoggiare la
testa sulle sue gambe e William prese il suo posto e continuarono così a fare
il giro del mondo.
Lentamente,
Henry entrò nel mondo dei sogni, un mondo tutto suo, in cui, i suoi desideri potevano
diventare realtà.
Dopo
qualche minuto, vide Claus; non sapeva se si trovava sempre nella stessa casa,
c’era qualcosa di diverso, ma la stanza era troppo al buio per poter esserne
certo.
Poi,
lo vide, era lì sdraiato e con le mani incatenate. I suoi vestiti erano ancora
più sporchi e la sua barba era cresciuta molto rispetto all’ultima volta.
Teneva gli occhi socchiusi e sotto aveva delle occhiaie da far paura. Faceva
fatica a tenere gli occhi aperti e anche quando riusciva a tenerli aperti,
erano molto tristi; no, quelli non erano
i suoi occhi.
Si
vedeva che era dimagrito, perché la sua faccia era infossata e si vedevano
quasi gli ossi della mandibola.
Aveva
i polsi tutti feriti, con il sangue secco attaccato alla maglia e alla pelle,
evidentemente si strattonava per liberarsi.
Quello
che vedeva davanti a se non era Claus, se qualcuno l’avesse visto per la
strada, non lo avrebbe mai riconosciuto.
Stava
rannicchiato con le ginocchia portate al petto, dormiva, perché russava. Non
era un sonno tranquillo, come quello che faceva nel suo letto.
Incominciò
a parlare nel sonno, proprio come faceva il padre di Henry; evidentemente,
questa cosa era un difetto di famiglia.
“No, Henry… Henry, sono tuo nonno,
voglio conoscerti meglio, voglio vederti crescere, non può finire così, no…,
non può.
Sono Claus, sono Babbo Natale, ho
sempre fatto del bene, il mio karma lo sa. Il bene che ho fatto per gli altri,
mi salverà, qualcuno mi salverà”.
Henry
si svegliò e insieme a tutti quanti continuò il giro del mondo visitando
l’Europa, l’Asia, l’africa, l’Oceania e l’America.
Lentamente, il tempo smise di essere bloccato e ancora
più lentamente, ricominciò a scorrere. Stavano viaggiando con la luna in alto
nel cielo e lentamente, con il passare del tempo, avrebbero raggiunto il sole
che sorge nelle prime ore del mattino.
Lì,
nella casa di Claus, il tempo non si era fermato, perché era protetta dalla
polvere magica. Gli elfi di Claus si stavano rilassando, visto che non avevano
più niente da fare, invece quelli della Befana, anche in sua assenza, stavano
confezionando le calze.
Così
alla sera, dopo cena, si ritrovarono tutti quanti intorno al tavolo.
Le
indagini sulla scomparsa di Claus non stavano portando a niente, ormai sapevano
che non si era perso in montagna, non erano nemmeno riusciti a trovare quella
casa descritta da Henry. Non si sarebbero dati per vinti, l’avrebbero cercato
in lungo e in largo, non si sarebbero mai arresi, no, non lo avrebbero mai
fatto.
«C’è
qualcosa che non mi torna». Disse Sulac a tutti quanti.
Seduti
al tavolo c’erano i genitori di Henry, la Befana, l’elfo contabile e quello tecnologico.
«Che
cosa?». Gli chiese la Befana.
«La
scomparsa di Claus e la richiesta dei rapitori del fermare la consegna dei
regali in cambio del rilascio di Claus, Perché?, per quale motivo?. Non riesco
a trovare un filo logico, questa cosa non ha senso. Chi potrebbe essere stato
un fanatico che odia il natale, fino al punto di chiedere una cosa del genere».
Disse Sulac.
«Può
essere». Gli rispose l’elfo tecnologico.
«Un
fanatico sarebbe stato un dilettante, avrebbe fatto errori, errori che ci
avrebbero fatto scoprire dove si trova Claus.
Non
credo che sia un fanatico, ma sia qualcuno molto ben organizzato. Credo che il
fatto di averci chiesto di fermare il natale, sia stato soltanto un diversivo,
forse per vedere se accettavamo le sue richieste». Disse ancora Sulac e dopo, smise
di parlare, non sapeva più cosa dire.
«Mi
dai il tuo cellulare?». Chiese l’elfo tecnologico a Sulac.
Sulac
prese il suo cellulare dalla tasca dei pantaloni e glielo consegnò.
L’elfo
tecnologico lo prese in mano.
«Vediamo
se riesco a capire da dove è partita questa e-mail». Gli disse. Così, s’alzò da
tavolo per raggiungere la sala computer, dove avrebbe potuto sapere da dove era
partita quella e-mail.
Si
mise a trafficare al suo computer per scoprire l’indirizzo IP di quella e-mail.
Non era una cosa semplice da fare, ma per lui era un gioco da ragazzi.
Nel
frattempo, tutti quanti erano rimasti in cucina, discutevano per trovare una
spiegazione, ma non riuscivano a capirci niente.
Gli
sembrava di essere vicini alla soluzione, eppure, allo stesso tempo, erano
molto lontani.
Un
foglio piegato al centro del tavolo catturò l’attenzione di Sulac, allora,
mentre gli altri discutevano, lo prese in mano e lo aprì.
Davanti
ai suoi occhi si ritrovò di fronte al disegno di Henry. Magari quel disegno
avrebbe potuto aiutare le ricerche di Claus.
Lo
osservò bene, ma non riconobbe quella stanza. La sua attenzione ricadde su suo
fratello e il modo in cui l’aveva disegnato Henry, sofferente, triste e solo.
Gli
mancava molto suo fratello, anche se dall’esterno non lo dava a vedere. Gli
mancava come l’aria che respirava. Non poteva fare niente e questa cosa lo
faceva imbestialire.
Era
venuto in Lapponia per passare tutto il tempo con suo fratello, invece, non
l’aveva fatto. L’avevano rapito ed era chissà dove, al freddo, solo e senza
l’amore e l’affetto della sua famiglia.
Non
si era mai immaginato un Claus sofferente, perché una parte di se non lo voleva
ammettere, fino a quando non aveva visto quel disegno di Henry.
Dopo
un po’ di tempo, tornò l’elfo tecnologico con il cellulare di Sulac tra le mani
e lo sguardo verso il basso.
«Mi
dispiace». Disse e s’avvicinò fino alla sua sedia.
«Non
riesco a trovare l’indirizzo IP è stato secretato». Gli disse.
«Ci
riproverò, ma non so se ci riuscirò». Disse ancora l’elfo tecnologico.
«Questo
vuol dire che ha rapirlo è stato un informatico?». Chiese il padre di Henry a
Sulac.
Sulac
si portò la mano all’altezza della mandibola e si mise a pensare, per dargli
una risposta.
Di
getto gli avrebbe detto di sì, ma a un occhio più attento e ragionandoci per
qualche secondo, aveva capito che la risposta poteva essere anche no.
«No,
non è detto. Per esempio il rapitore, avrà sicuramente dei complici. A questo
punto, sono sicuro che siano più di uno, ci sarà un capo». Disse Sulac.
«Dobbiamo
portare questo disegno alla polizia, magari li può aiutare». Disse la Befana.
Sulac
portò la schiena indietro verso il pavimento e poi, mise le mani dietro la
testa fino a incrociare i diti.
«La
cosa strana e che sono io quello che è stato minacciato e hanno rapito mio
fratello». Disse Sulac, mentre era sovrappensiero. Quando si rese conto di
quello che aveva appena detto, capì che forse non erano state due cose così
scollegate.
In
quell’istante si sentì osservato, tutti quanti lo stavano osservando con uno
sguardo stralunato.
«Che
cosa?». Gli chiese l’elfo contabile.
«Sono
stato minacciato alla fine dell’estate, ma non ci ho dato peso, perché quando
tentavo di entrare in politica e avevo queste mie idee che avrebbero stravolto
il mondo, avevo un nuovo modo di vedere la politica e per questo, venivo
minacciato.
Non
avevo paura che mi facessero del male, ma che lo facessero a voi. A tutti voi:
ai miei familiari, la famiglia di Henry e voi elfi».
Tutti
quanti smisero di parlare.
L’elfo
tecnologico prese il cellulare di Sulac per controllare l’e-mail che aveva
ricevuto alla fine dell’estate, quella nella quale era stato minacciato per il
suo lavoro.
Così,
s’alzò dal tavolo e andò nuovamente nella stanza in cui teneva i computer e si
rimise a cercare da dove era stata spedita quell’e-mail. Aveva paura di fallire
anche questa volta; lui non aveva paura delle sfide, anzi, in questi casi dava
sempre il meglio di se. Questa volta era diverso, aveva capito che chi spediva
quell’e-mail era molto più bravo di lui.
All’improvviso,
dagli occhi di Sulac incominciarono a scendere delle lacrime. Aveva capito, aveva
capito tutto. Si sentiva in colpa, molto probabilmente, avevano rapito Claus
per colpa sua. Se solo avesse preso in considerazione quell’e-mail in cui
veniva minacciato.
Perché avevano rapito Claus?,
si chiedevano tutti quanti in quel preciso istante; tranne Sulac che aveva
capito tutto; davanti ai suoi occhi non vedeva quello che aveva davanti a se, i
genitori di Henry, la Befana e l’elfo contabile, ma suo fratello, come nel
disegno di Henry.
«È
stata tutta colpa mia!, hanno rapito mio fratello, perché sono stato troppo
ostinato, sono troppo cocciuto e quando credo nelle cose, le porto avanti senza
guardare in faccia nessuno…». Disse Sulac e dopo, si prese una pausa e smise di
parlare.
Qualche
secondo dopo, l’elfo tecnologico gridò nella stanza dove c’erano i computer e
tutti quanti, s’alzarono e lasciarono la cucina per raggiungerlo.
Quell’urlo
era stato disumano, erano preoccupati per lui; ma non sapevano quello che gli sarebbe
atteso, una volta entrati in quella stanza.
Tra
pochi secondi, avrebbero scoperto tutto.
Quando
arrivarono nella stanza dei computer, trovarono l’elfo con il cellulare in mano
e gli occhi puntati sullo schermo. Non fiatava, stava con la testa china e non
si era nemmeno accorto della loro presenza.
Dopo
qualche istante, l’elfo tecnologico alzò la testa e li vide lì, allo stipite
della porta.
«Che
è successo?». Gli chiese la Befana.
L’elfo
tecnologico li guardò uno per uno e poi, si fermò a lungo su Sulac. In quel
istante, anche se non capiva bene che cosa fosse successo, Sulac aveva capito
che quella cosa riguardava lui.
«È
arrivato un messaggio sul tuo cellulare». Disse l’elfo tecnologico a Sulac.
Dopo, s’alzò dalla sedia, lo raggiunse vicino alla porta e allungò la mano per
dargli il cellulare.
Sulac
lo prese tra le sue mani e prima di leggerlo agli altri, se lo lesse per conto
suo. Se non avesse avuto il cellulare ben saldo gli sarebbe caduto di mano.
«”Abroga tutte le leggi che hai fatto,
altrimenti non rivedrai più tuo fratello”». Lesse Sulac.
In
quell’istante, non ci voleva credere, non poteva essere vero, doveva essere uno
scherzo; invece era la verità. Ora, era messo di fronte a una scelta difficile:
la vita di Claus, contro i suoi ideali politici.
S’inginocchiò
per terra e si mise a piangere, in un modo veramente straziante. Tutti quanti
s’avvicinarono a lui, si misero per terra e lo abbracciarono.
In
quell’istante capì una cosa molto importante e che lo fece risollevare; non era
solo, non era solo a lottare, aveva una famiglia e degli amici fantastici.
Era
ferito e triste, ma alla fine di tutto, avrebbe alzato la testa, affrontando i
nemici.
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