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"Sto ancora lavorando agli ultimi due capitoli di questa storia e non so se farò in tempo a postarli nelle date che vi avevo promesso. Comunque c'è la metterò tutta e nel caso in cui non c'è la facessi, vi avvertirò. SE TI E' PIACIUTA QUESTA STORIA, CONDIVIDILA, PER FARLA CONOSCERE ANCHE AI TUOI AMICI.
Fatemi sapere se vi piace questa storia, se avete da criticare, fatelo pure, perché le critiche sono costruttive. Mi piacerebbe ricevere un vostro giudizio. Grazie per aver letto questa storia. Non perdete il TERZO CAPITOLO, IL 10 DICEMBRE ORE 21:00"
CAPITOLO 2: NUOVE
MANOVRE
L’inverno,
quel freddo periodo in cui tutto quanto sembra congelato e che aspetti di
sciogliersi, era quasi alle porte. Ogni stagione, ha quel suo particolare che
la rende unica. I colori dell’autunno, il manto bianco dell’inverno, la natura
che si risveglia in primavera e il mare in estate.
I
giorni passavano e l’inverno era finito e già da un po’ di tempo era arrivata
la primavera.
La
famiglia di Henry si era ritrovata sempre di più ed era ancora più unita di
prima. Solo con il passare del tempo, giorno dopo giorno, avevano ritrovato
tutte quelle piccole cose e gesti che avevano perso nel tempo. Piano piano e
con il passare del tempo, avevano riassaporato il sapore della vita.
La
primavera stava sbocciando e togliendo tutta quell’aria cupa e tenebra che si
percepiva nella casa di Henry.
Non
perdevano neanche un attimo di quella nuova vita che il destino gli aveva
riconcesso. Non erano più stati tristi, la vita era fatta di pura gioia.
Quando
perdi la gioia, il mondo ti sembra come una gabbia che imprigiona, una parte di
te. Era questo il mondo di Henry prima del ritrovamento di Neal.
Non
perdevano occasione per stare insieme e festeggiare anche le piccole cose, come
i bei voti che i loro figli prendevano a scuola.
Ogni
weekend, quando potevano e i loro figli non avevano impegni, partivano per un
piccolo viaggetto alla scoperta del mondo, anche se il più delle volte andavano
a sciare.
Il
video dell’intervista era già in rete a poche ore dalla fine della trasmissione
alla quale avevano partecipato e veniva visualizzato e condiviso in continuazione.
A
scuola veniva elogiato dai suoi amici di classe e anche da tutte le altre
persone, grandi e piccine, che non conosceva.
A
differenza di altre persone, che nella sua stessa situazione si sarebbero
esaltati fino a montarsi la testa, credendosi quasi come uno di quei personaggi
che quando stanno in televisione, indossano una
maschera; lui era rimasto se stesso, era sempre quel bambino che aveva
voglia di aiutare gli altri e combattere, nel suo piccolo, le ingiustizie della
vita.
Non
era lo stesso Henry di prima, questa esperienza l’aveva fatto cambiare, nel suo
io più profondo; era un bambino diverso, un bambino che aveva imparato ancor di
più ad apprezzare i veri valori della vita e della famiglia. Era un bambino
libero e che non aveva più sulla coscienza quel peso che gli opprimeva il cuore
in una morsa mozzafiato; non era stato solo il perdono di Neal a farlo sentire
più leggero, ma era lui stesso che era riuscito a perdonarsi con il passare dei
giorni.
Era
ancora piccolo e non sapeva come sarebbe stata la sua vita, ma sicuramente, gli
sarebbe piaciuto fare un lavoro nel quale avrebbe potuto aiutare gli altri.
Ogni
tanto, Henry si sentiva con Claus tramite il computer. Gli piaceva parlare con
lui, anche se gli sarebbe piaciuto di più vederlo di persona, ma, purtroppo,
vivevano troppo lontani l’uno dall’altro.
Questo
era il loro unico modo di parlarsi e tenersi in contatto.
Non
era solo Henry a parlare con Claus, ma anche la sua famiglia lo faceva di tanto
in tanto.
Ogni
tanto parlavano anche con Sulac, ma con lui non potevano parlare a lungo,
perché era sempre impegnato nel suo lavoro; aveva giusto il tempo di dormire e
mangiare.
Oramai
era diventata un abitudine fissa, quasi tutti i sabati, Henry si metteva a
parlare con Claus. Era una cosa molto bella e il loro rapporto d’amicizia
cresceva sempre di più; giorno dopo giorno, diventava sempre più profondo.
L’ultimo
sabato di marzo, dopo aver mangiato una bella pizza, si collegò al computer,
come era sua abitudine fare, per mettersi in contatto con Claus.
Si
mise le cuffie e collegò il microfono che teneva dietro alla tastiera e dopo,
collegò anche la web-cam.
Inoltrò
la chiamata a Claus e attese in silenzio che lui gli rispondesse.
All’improvviso, sullo schermo del PC comparve l’immagine di Claus. Un Claus
davvero sorridente e vestito in modo casual, ma allo stesso tempo molto
elegante. Dalla faccia sembrava leggermente dimagrito, perché aveva le guancie
più infossate.
«Ciao».
Disse Claus, con un sorriso. Si vedeva che era felice.
«Ciao».
Disse Henry, ma dal suo tono di voce, Claus, percepì che c’era qualcosa che non
andava; ormai capiva quel ragazzo come un libro aperto. Non voleva essere
indiscreto e per questo, decise di non chiedergli niente.
«Tutto
bene?». Gli chiese Claus, quando s’accorse che il ragazzo era stato in
silenzio per troppi secondi, come se la
sua mente fosse stata immersa in dei pensieri che lo stavano turbando. Si
vedeva benissimo, perché i suoi occhi erano persi nel vuoto.
«Certo,
tutto bene. Prendo sempre bei voti a scuola». Gli rispose Henry.
«E
a te?». Gli chiese dopo alcuni secondi.
«Benissimo,
mi godo la vacanza visto che da dopo l’estate rinizio a lavorare». Gli rispose.
Continuarono
a parlare del più e del meno.
«Vorrei
essere li con te, mi manchi…». Gli disse Henry e all’improvviso smise di
parlare, chiuse gli occhi e quando li riaprì, erano velati dalle lacrime.
«Parliamo
sempre ma tra me e te c’è uno schermo, invece…». A Henry cadde una lacrima
dagli occhi e tirò su con il naso.
«Vorrei
parlarti a quattrocchi, mi mancano i tuoi abbracci. Non siamo parenti, eppure,
mi sento legato a te. Non so il motivo, forse per quello che abbiamo
condiviso». Disse ancora Henry, mentre Claus lo stava ascoltando in silenzio.
Claus,
abbassò la testa non voleva piangere davanti al bambino, ma nel suo cuore,
provava le stesse cose, anche lui si sentiva legato a Henry.
«Mi
manchi anche te, ma purtroppo viviamo distanti». Disse Claus, anche a lui
mancava Henry; ma essendo più grande, capiva e accettava, che al fatto che
abitassero distanti, non c’era una soluzione, anche se, questa cosa lo faceva
soffrire
Henry
sorrise, tuttavia era un sorriso amaro.
«Ti
do una bella notizia, se vuoi possiamo venire da te la settimana di pasqua?».
Gli comunicò.
«Certo,
che bello!, non vedo l’ora». Esclamò, Claus e dopo dalle sue labbra partì un
sorriso di pura gioia.
Claus
gli avrebbe voluto chiedere che cos’era che lo turbava, ma non voleva
rattristarlo ora che sembrava essere più felice. Gli avrebbe parlato di persona,
non appena avrebbe avuto l’occasione.
Erano
passati i mesi e Sulac era sempre alle prese con le sue manovre politiche per
far ripartire l’economia; non era solo, aveva dei validi consiglieri e le
persone che avevano le sue stesse idee politiche.
Nel
suo partito, c’erano delle persone più anziane, che, però avevano una mentalità
aperta a queste sue idee innovative.
Lui
non era il leader del suo partito, perché in mezzo a loro si sentiva allo
stesso livello; infatti, gli piaceva ascoltare le idee degli altri.
Nonostante
tutto questo, si sentiva solo a combattere con dei politici di vecchio stampo.
Si
sentiva solo a combattere contro chi considerava che fare il politico, fosse un
lavoro; no, non era così, era una missione, una missione di vita e un impegno per
rendere migliore la vita delle persone.
Era
sempre più stanco, aveva tutti i capelli in disordine e la frangia gli cadeva
sugli occhi, la sua barba era molto trascurata e sotto gli occhi, aveva delle
occhiaie da far paura.
Aiutato
dai suoi assistenti e dal suo partito, riuscì a stilare un programma per rimettere
in piedi l’economia mondiale.
Già
da un settimana, stava scrivendo il discorso che avrebbe dovuto fare di fronte
al parlamento. Questa volta, era ancora più importante dell’altra; doveva
convincere tutti quelli che la pensavano in modo diverso da lui, che le sue
idee erano giuste.
Così
passò tutta quella settimana a scrivere un discorso. Scriveva, cancellava e
buttava via fogli per ricominciare da capo.
Era
stanco, a volte avrebbe preferito mollare tutto per tornare a una vita di pace,
tranquillità e serenità.
C’era
una cosa dentro di lui che glielo impediva: la sua coscienza, lo spingeva a
continuare la sua missione; un po’come il piccolo Henry non si era arreso il
natale scorso.
Finì
di scrivere il discorso, preparò da mangiare e infine, si fece una doccia.
Stava
per andare a letto, ma sapeva che non sarebbe riuscito ad addormentarsi; era
troppo teso, aveva bisogno di svagarsi e di rilassare la sua mente.
Era
una sera a metà della settimana, quando Henry si sentì arrivare una chiamata al
computer. Decise di accettarla e si vide comparire Sulac.
Il
volto di Sulac era sorridente, seppur, molto stanco. I suoi occhi erano gonfi e
molto rossi. Sulac continuò a sorridere al piccolo Henry.
«Come
stai?». Gli chiese Henry.
«Ti
vedo molto stanco». Aggiunse dopo qualche secondo.
Sulac
sbadigliò e si portò subito una mano alla bocca, per la buona educazione.
«Molto
stanco, ma felice di lottare per qualcosa di giusto. Mi puoi capire?, vero?».
Gli chiese.
Henry
sorrise.
«Chi
meglio di me ti può capire, nella vita bisogna sempre lottare per quello in cui
riteniamo giusto. Bisogna sempre lottare contro le ingiustizie di questo mondo
crudele». Disse Henry e in quel momento sembrava fiero di se, fiero per quello
che era riuscito a fare.
Sorrise,
però era un sorriso, non finto, no, però era strano. Si vedeva che era felice
per le parole che aveva appena pronunciato, ma Sulac s’accorse che in lui, c’era
qualcosa di strano.
«Sei
sicuro che vada tutto bene?, ti vedo… strano, un po’ triste». Gli chiese ancora.
Anche lui, come Claus, s’era accorto che c’era qualcosa che non andava in
Henry.
«Tutto
bene». Gli rispose Henry. Rispose troppo in fretta, mangiandosi le parole, come
se volesse chiudere quel discorso. Sulac, capì questa cosa e non gli chiese
spiegazioni.
«Domani
è il grande giorno, il giorno in cui presenterai il tuo programma?. In tv, ne
parlano in continuazione». Gli chiese Henry.
«Già,
non vedo l’ora di rimettere tutto in sesto». Disse e dopo, smise di parlare.
«Sai,
quello che hai fatto, salvare il natale. Oltre che fare un bel gesto, hai fatto
capire a me e a molte persone, che tutto è possibile, basta volerlo. E nelle
situazioni più difficili, non bisogna arrendersi, ma rimboccarci le mani e non
smettere mai di lottare».
«La
settimana di pasqua andremo a trovare tuo fratello». Gli comunicò.
«Anche’io
interrompo per una settimana e ci vedremo la, da mio fratello».
Spense
il portatile, si mise sotto le coperte e quando appoggiò la testa sul cuscino,
i suoi occhi si chiusero.
Al
mattino si svegliò e si preparò, facendo la doccia e poi una bella colazione.
Non
aveva più paura di affrontare chi la pensava diversamente da lui. Nella sua
testa risuonavano le parole che aveva detto a Henry, “tutto è possibile, basta volerlo. E nelle situazioni più difficili,
non bisogna arrendersi, ma rimboccarci le mani e non smettere mai di lottare”.
Prese
la macchina per andare al parlamento. Arrivò dieci minuti prima rispetto
all’orario previsto. Per questo, decise di non andare nel suo studio, ma di
aspettare tutti i politici, nella stanza in cui avrebbe dovuto parlare.
Lentamente,
quella stanza si riempì di facce amiche, che la pensavano come lui e di facce
nemiche, che non la pensavano come lui.
Quando
tutti quanti si misero a sedere, lui accese il microfono e iniziò a parlare.
«Buongiorno,
oggi sono qui per illustrarvi le mie proposte per cambiare questo mondo.
Sono
qui a parlare a tutti e soprattutto a chi non la pensa come me. Sì, parlo proprio
a voi». Sentì dei fischi provenire da quei politici che detestavano le sue idee
rivoluzionarie.
Si
voltò a guardarli e si sentì disgustato dal loro comportamento.
«Quello
che state facendo, non è molto educato, ». Urlò, lui che era sempre stato un
tipo calmo.
Dopo,
per rilassarsi, sospirò e chiuse gli occhi; aveva bisogno di ritrovare la sua
calma interiore.
«Per
troppi anni, la politica è stata troppo austera.
Tasse,
tasse e tasse. Tasse su tasse su tasse. È l’ora di dire basta a questo sistema,
a questo sistema malato.
Questo
sistema, ha portato a questo disastro, ha rovinato il mondo e la vita di molte
persone.
Ve
lo siete mai chiesti che cosa sono le tasse?. Soldi in più che entrano nelle
tasche del governo, che poi spartiamo nelle risorse.
Ve
lo siete mai chiesto che cosa sono le tasse per le persone?. No, di sicuro no,
perché molti di voi vivono in un mondo a parte.
Loro
pagano la tasse a noi e così, non spendono i soldi in altre cose.
Vi
faccio un esempio.
Se
potessero andare a mangiare al ristorante, ci sarebbero più ristoranti, più
camerieri, più cuochi, più produttori che fanno utensili da cucina e cibo.
Questo
è solo un esempio, che però, può essere applicato in altri settori lavorativi.
Se
la gente spende, crea lavoro e a noi c’arrivano lo stesso le tasse.
In
un modo diverso, ma c’arrivano.
La
mia idea è quella di arrivare ad abbassare le tasse del cinquanta per cento; ma
non da subito, per gradi.
Proviamo
a diminuire le tasse del cinque per cento, per vedere cosa succede e come ne
risentirà l’economia, per poi, se fosse una cosa positiva, diminuire sempre le
tasse.
Dobbiamo
puntare di più sui giovani, loro sono la nostra risorsa per il futuro.
Investire
su le energie rinnovabili, per avere un mondo più pulito».
Il
weekend prima di pasqua decisero di partire, per andare a trovare Claus.
Sarebbero potuti andare in vacanza da qualche altra parte, a sciare in qualche
posto dove rimaneva un po’ di neve o una città d’arte; ma l’unica cosa che
volevano fare era andare da Claus, perché mancava a tutti quanti.
Quel
posto era speciale, non solo per il panorama mozzafiato, ma perché era proprio
li che si erano ritrovati come famiglia.
Così,
il giorno prima di partire, prepararono le valigie, mettendoci tutto quello che
gli sarebbe servito per una settimana.
Henry
era davvero felice, contava i giorni e le ore che lo separavano dal rivedere
Claus.
Il
loro padre aveva già prenotato dei biglietti aerei di prima classe. Il loro
volo atterrò in orario e in men che non si dica, erano già arrivati in
Lapponia.
Scesero
dall’aereo, presero i loro bagagli e s’incamminarono a piedi, fino alla fermata
dell’autobus, dove c’è n’era già uno fermo.
Questa
volta non c’era la folla inferocita che voleva elogiare Henry, ma era giusto
così, lui non era un divo, era un semplice bambino.
Qualche
persona lo riconobbe, ma niente in confronto all’ultima volta in cui erano
stati lì.
Il
clima era cambiato, non era più quel freddo pungente, che arriva a congelarti
fin dentro le ossa. Non era freddo, ma non era nemmeno caldo. Mentre Henry era
sul pullman, poteva vedere l’erba dei campi, che lentamente stava riacquistando
il suo colore verde brillante. In mezzo ai campi c’erano ancora delle chiazze
di neve.
Alle
case c’erano ancora le stalattiti di ghiaccio che con il calore si scioglievano
e facevano cadere l’acqua a piccole goccioline.
Henry
stava in silenzio e si perdeva nell’incanto della melodia della musica che
ascoltava dal suo Iphone. La musica più il panorama mozzafiato, rendeva quel’ambiente che vedeva dal
finestrino, ancora più suggestionante.
Era
felice, a minuti avrebbe rivisto Claus e Sulac, eppure qualcosa nelle ultime
settimane lo aveva turbato, facendo oscurare di tenebre, una piccola parte del
suo cuore.
Sia
Claus che Sulac, avevano capito benissimo che dentro di Henry c’era qualcosa
che non andava, qualcosa che lo turbava; ma in quegli istanti, mentre paravano,
non avevano voluto chiedergli spiegazioni.
Era
sempre stato un bambino che preferiva tenersi tutto dentro, mostrarsi forte
agli occhi del mondo, per puoi soffrire nel suo io più profondo, in quella
parte di se, che non avrebbe mai voluto rivelare a nessuno.
Mentre
lui pensava, la sua famiglia parlava allegramente di tutto quello che gli
passava per la mente.
Finalmente,
scesero dall’autobus e a piedi s’avviarono fino alla casa di Claus.
Quando
arrivarono di fronte a casa di Claus, fu Henry a suonare il campanello e a
parlare al citofono.
«Siamo
noi». Esclamò Henry.
«Che
bello!, entrate». Disse Claus in un modo allegro.
Il
cancello s’aprì e loro poterono così entrare dentro. Non appena Henry
oltrepassò il cancello, sorrise e subito fu investito dall’odore della casa di Claus.
Fuori
dalla casa di Claus, s’incominciava a vedere la natura che prendeva il
sopravvento sul freddo inverno. C’era sempre un po’ di neve, nei punti in cui
il sole aveva difficoltà ad arrivare.
S’aprì
la porta e videro Claus. Henry lasciò la sua valigia, montò le scale di corsa e
poi fece un salto fino a salire in collo a Claus e lo strinse forte,
mettendogli le braccia intorno al collo e anche lui lo strinse a se, mettendo
le sue mani intorno alla schiena di Henry.
«Mi
sei mancato». Disse Henry con le lacrime agli occhi.
«Anche
a me». Gli rispose e in quell’instante tutti e due chiusero gli occhi, per
rendere ancora più magico quel momento.
Era
un abbraccio pieno d’amore e in quell’istante, si sentivano rilassati e in pace
con se stessi.
Henry
fece un salto fino ad arrivare a terra e smise, così d’abbracciarlo, tornò a
prendere la sua valigia ed entrò in casa, insieme alla sua famiglia.
Fecero
come se fossero a casa loro, perché si sentivano davvero così. Uscirono dalla
cucina, fino ad arrivare all’ingresso davanti alle scale. Una volta salite le
scale, arrivarono nelle loro camere.
I
loro genitori in una camera matrimoniale e i quattro ragazzi nella camera con i
letti a castelli, dove erano già stati a natale.
Non
era cambiato niente di quella stanza, era sempre uguale, bella e accogliente.
Dopo
aver disfatto le valigie e messo negli appositi cassetti tutti i loro indumenti,
scesero in cucina dove trovarono Claus e due ragazzi che avevano poco più di
vent’anni.
Avevano
entrambi i capelli di un biondo molto chiaro, gli occhi celesti come il mare e
sotto gli occhi e vicino al naso avevano delle lentiggini che rendevano molto
particolari i loro visi. Avevano i classici tratti delle persone della
Lapponia.
«Immagino
che questi siano i tuoi figli?». Chiese Henry a Claus.
«Sì».
Gli rispose Claus.
All’improvviso
si spalancò la porta ed entrò Sulac.
«Il
mio aereo ha ritardato, ma ci siete tutti». Disse Sulac.
Abbracciò
e salutò tutti quanti e poi, se ne andò con Claus.
I
ragazzi si misero a sedere sulle sedie del tavolo da pranzo.
«Mi
sembra di conoscervi, Claus mi ha parlato tanto di voi». Disse Henry con un
sorriso, la sua allegria aveva già
contagiato quei due ragazzi, che a loro volta, gli stavano sorridendo.
«Io
sono Henry; questo è Neal, il più piccolino; Daniel, ha sedici anni ed è il
tecnologico di casa ed infine, c’è William, il più grande e il più riflessivo».
Disse Henry.
«Noi
siamo Gabriel e Clary». Tutti i ragazzi gli andarono vicino, l’abbracciarono e
gli strinsero la mano.
Incominciarono
a parlare del più e del meno e in quell’istante si conobbero, erano già
diventati amici. Erano dei ragazzi davvero simpatici, assomigliavano molto a
Claus, per la dolcezza e il modo d’interagire con le persone.
«Così,
non sapete se prenderete il posto di Claus?». Chiese Henry, incuriosito.
«Non
lo so, cioè…, in fondo ci piacerebbe continuare diciamo, quest’attività di
famiglia». Disse Clary.
«Ma
vogliamo sperimentare il mondo al di la di questa casa e della vita di nostro
padre. Stiamo studiando per far si che i nostri desideri s’avverino. E solo
quando capiremo che cosa vogliamo fare della nostra vita, prenderemo una
decisione; ma quella decisione sarà definitiva ed è per questo, che prima
vogliamo vivere le nostre vite». Gli spiego Gabriel.
«Che
cosa studiate?». Gli chiese William.
«Io,
studio informatica». Disse Gabriel.
«Davvero!,
allora io e te avremmo molto di cui parlare». Disse Daniel con un sorriso.
«Certo».
Disse Gabriel e anche lui gli sorrise.
«Io,
lettere». Disse Clary.
«Lei
è sempre stata quella più sensibile». Disse Gabriel.
«Allora
andrai d’accordo con mio fratello William, anche lui è molto sensibile. Siete
anche coetanei, lui ha appena compiuto diciannove anni». Disse Henry.
«Sì,
anche’io io ne ho appena compiti diciannove».
Disse Clary. William osservò Clary e rimase incantato, dal tono della sua voce,
dal modo in cui quella labbra s’incurvavano a ogni suo sorriso, dai suoi
splendidi occhi e dalla sua bellezza pura e innocente.
William
allungò una mano e lei, la prese tra la sua. Mano nella mano, uscirono di casa
per andare parlare sotto il portico, che si trovava fuori, prima dell’ingresso
principale.
Erano
ormai passati diversi giorni, si divertivano a passare del tempo lì, in
Lapponia.
Il
tempo era sempre stato bello, non aveva mai piovuto, non c’era mai stato un
alito di vento e il leggero sole primaverile, riusciva a mantenere un clima
mite e temperato.
Erano
diventati molto amici con i figli di Claus. Mano a mano che passavano giorni,
capivano sempre di più che erano dei ragazzi straordinari.
La
mattina non appena svegli, facevano colazione e dopo essersi vestiti, andavano
tutti insieme a fare delle escursioni in montagna. Era bello passeggiare tra
quei sentieri immersi completamente nella natura.
Era
bello vedere tutti quei colori della natura: il marrone dei tronchi degli
alberi, il verde delle foglie e i mille colori dei fiori.
Il
profumo che percepivano nel bosco, era qualcosa di magico. Respirare in
quell’aria, soprattutto se bagnata dalla pioggia, era ancora più magico.
Era
anche fantastico il rumore del bosco: il fruscio del gli alberi, i rumore degli
animali che correvano liberi e il suono dell’acqua che scendeva dal ruscello.
Claus,
Sulac, l’elfo contabile, Henry, Neal, Daniel, William, Gabriel e Clary, si
ritrovarono nella stanza dell’elfo contabile.
Era
ormai passata mezza settimana e tra pochi giorni avrebbero festeggiato pasqua e
pasquetta.
L’elfo
contabile era dietro la sua scrivania, con il computer acceso e un bloc-notes,
sul quale aveva cominciato a fare dei calcoli; dentro al cestino aveva
arrotolato tutte le carte che aveva buttato via.
«Perché
ci hai fatto chiamare?». Gli chiese Henry.
«Ti
deve spiegare una cosa per il prossimo natale, ormai voi fate parte del nostro
staff?». Gli chiese.
«Certo,
verremmo ad aiutarvi anche il prossimo natale». Gli rispose William.
«La
crisi è quasi passata, ma non del tutto. Sulac è riuscito ad abbassare le
tasse, ma non come ci sarebbero volute per fare un natale senza problemi. Non è
colpa sua, non poteva abbassare di colpo le tasse. Ci saranno ancora problemi
economici e visto che sei bravo, ti chiedo una soluzione». Disse l’elfo
contabile.
Tutti
quanti stavano aspettando in silenzio una sua risposta e Henry aveva tutti gli
occhi puntati su di se. Chiuse gli occhi e si mise a pensare a una soluzione.
«Non
c’è l’ho». Disse Henry con un po’ di
rammarico.
«Potremmo
fare come l’anno scorso: voi costruite i regali e ci facciamo spedire le cose
che non usano più». Disse Henry.
«Certo,
lo possiamo rifare». Gli rispose Claus.
Henry
si mise a camminare in su e in giù per tutta la stanza; sembrava un’anima
inquieta.
«No,
non va bene, datemi tempo di pensare». Disse Henry.
Mentre
tutti gli altri stavano alla scrivania per pensare a un’idea che avrebbe potuto
risolvere questa situazione, Henry si mise a sedere sul divano a sentire la
musica dal suo ipod. Si doveva rilassare per trovare una soluzione.
Henry
s’ra addormentato e dopo un’oretta, si svegliò all’improvviso, quasi di
soprassalto.
«Ci
sono!». Gridò così forte, quasi da spaccare i timpani.
S’alzò
di scatto dal divano e corse verso di loro.
«Donazioni!».
Gridò, preso dall’euforia e tutti quanti lo guardarono.
«Tutti
quelli che su i siti mettono il tasto donazione».
L’elfo
contabile con l’aiuto di Sulac e dei ragazzi si mise a mettere sul sito di
Claus il tasto donazioni, che era collegato al loro conto bancario.
Condivise
questa cosa sulla pagina Facebook di Claus, per far sapere questa cosa alla
maggior parte delle persone.
Già
a fine serata, erano arrivate alcune donazioni.
Claus
fece cenno a Henry di seguirlo. Andarono in cucina e lo invitò a sedersi. Prese
due tazze, le riempì d’acqua, le mise sul fuoco e attese che iniziassero a
bollire.
«Tè
o camomilla?». Gli chiese Claus.
«Tè,con
limone e zucchero». Gli rispose.
Claus
si voltò per prendere tutti gli ingredienti e li mise sul tavolo.
Quando
l’acqua bollì, c’infilò le bustine del tè, uno spicchio di limone strizzato e
qualche cucchiaino di zucchero. Girò lo zucchero e dopo, dette la tazza a
Henry.
«Allora,
come mai eri strano l’altro giorno?». Gli chiese Claus, solamente perché lo
voleva aiutare.
«Un
mese fa è iniziato il processo per il rapimento di Neal e ogni volta che ne
sento parlare o che devo parlare in aula o al nostro avvocato, mi sembra di
rivivere quei giorni, è un inferno è come rivivere quei giorni anche se non li
rivivo veramente. È difficile da spiegare.
Neal
mi ha perdonato e poi sono riuscito a perdonarmi, in qualche modo mi sono lasciato
il passato alle spalle.
Voglio
giustizia, voglio che chi ci ha fatto del male paghi. Però ricordare fa male».
Disse e dopo dai suoi occhi cominciarono a scendere delle lacrime. Claus gli
andò incontro, lo prese da sotto le ascelle, per prenderlo in braccio e poi,
con una mano lo reggeva all’altezza del sedere e con l’altra gli fece
appoggiare dolcemente la testa sulla sua spalla. Henry gli mise le mani intorno
al collo e quando sentì la mano di Claus che gli accarezzava dolcemente la
testa, all’inizio, continuò a piangere ma poi, si calmò, placato da un senso di
pace interiore.
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