DISCLAIMER:
È assolutamente vietato copiare il contenuto dei post incentrati sulle mie storie. Tuttavia potete copiare la sinossi e condividere sui vostri blog la data d'uscita dei capitoli successivi.
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"L'ultimo capitolo non farò in tempo a postarlo il 6 gennaio, perché l'ho appena comminato a scrivere.
A gennaio ho deciso di continuare l'altra storia ACROSS THE TIME, perché è davvero tanto tempo che non posto un nuovo capitolo. Adesso, so come portarla avanti, ed è una cosa davvero bella e originale.
SE TI E' PIACIUTA QUESTA STORIA, CONDIVIDILA, PER FARLA CONOSCERE ANCHE AI TUOI AMICI.
Fatemi sapere se vi piace questa storia, se avete da criticare, fatelo pure, perché le critiche sono costruttive. Mi piacerebbe ricevere un vostro giudizio. Grazie per aver letto questa storia. Non perdete il DECIMO CAPITOLO, A GENNAIO"
CAPITOLO 9: UNA VOCE
Avevano
finito di fare il giro del mondo, era stato faticoso entrare di casa in casa.
Ve lo immaginate quante case ci sono nel mondo?; tantissime, infinite e se le
contassi, rischieresti di sbagliare e di perdere il conto.
Era
già da tantissime ore che viaggiavano, il cielo era sempre stato bello, privo
di nuvoloni scuri e minacciosi, di pioggia o addirittura di temporale.
Durante
il viaggio, continuavano a darsi il cambio nella guida della slitta, perché, dopo
un po’ di tempo, non riuscivano a rimanere svegli e a capire quale era la
strada che dovevano percorrere.
Ora,
davanti a loro vedevano il sole che stava sorgendo. Erano forse le sette o le
otto, non sapevano nemmeno loro che ora era.
Henry
stava seduto e immaginava il sorriso dei bambini e di tutte quelle persone che
di li a poco, avrebbero aperto quei regali.
Anche
quest’anno aveva salvato il natale; doveva essere felice e in parte lo era.
Come
poteva essere felice nella situazione in cui si trovavano; nessuno al suo posto
sarebbe stato felice.
Da
lontano videro la casa di Claus, che era così piccola da sembrare un puntino.
Dopo
una decina di minuti, arrivarono vicino alla casa di Claus e cominciarono a
fare la manovra d’atterraggio. Non appena la slitta toccò il suolo,
continuarono ad andare avanti per qualche metro, lasciando dietro di loro delle
impronte sulla neve.
Quando
la slitta si fermò, s’accorsero che davanti a loro c’erano degli elfi che erano
pronti a prendere in consegna la slitta e le renne.
Scesero
dalla slitta e dopo aver aperto il cancello e la porta, si trovarono di fronte ai
loro genitori sorridenti. Erano seduti al tavolo a sorseggiare lentamente, la
loro tazza di caffè e latte.
Non
appena li videro entrare, poggiarono le tazze sopra il tavolo e gli sorrisero.
S’alzarono
dal tavolo e incominciarono ad abbracciarli uno per uno.
Nel
frattempo, gli elfi avevano portato la slitta nel giardino di Claus, facendola
spingere alle renne. Dopo, si misero a pulirla e infine, la portarono fino al
garage.
Altri
elfi, avevano preso le renne per le brighe che le tenevano unite e le avevano
condotte fino alla loro stalla.
Si
vedeva che erano molto stanche. Non appena arrivarono dentro la stalla, gli
elfi riempirono due ciotole, una con il loro cibo e l’altra con l’acqua fresca.
Si misero subito a mangiare e poi a bere. Si sdraiarono per terra e
s’addormentarono tra la paglia.
Gli
elfi lo capivano: anche le renne sentivano l’assenza di Claus; loro non
parlavano, ma si facevano capire nel loro linguaggio, con il suono dei loro
versi e quell’espressione cupa.
I
ragazzi si sedettero al tavolo, nell’attesa che l’elfo cuoco gli preparasse la
colazione. Nel frattempo, i ragazzi si misero a raccontare il viaggio che
avevano fatto la scorsa notte, ai loro genitori, alla Befana e a Sulac.
Gli
raccontarono tutte le emozioni che avevano provato, anche se in fondo un
emozione del genere è difficile da spiegare. Gli raccontarono di come era stato
bello visitare tutto il mondo in una sola notte.
Henry
se ne stava zitto e ascoltava in silenzio quella conversazione.
«È
stato bello, però allo stesso tempo, non è stato bello come l’anno scorso.
Mancava Claus e anche se, senza di lui, siamo riusciti a orientarci senza
perderci». Henry sorrise, poi guardò in faccia ognuno di loro.
«Mancava
Claus, il suo spirito. Non è stata la stessa cosa, c’era un posto vuoto in
quella slitta. E non intendo soltanto il posto a sedere. Mancava il collante
del natale e per quanto voi mi abbiate scelto per prendere il suo posto, io non
credo di essere stato all’altezza». Disse ancora Henry.
«Io,
invece credo che tu sia stato all’altezza. Saresti un ottimo Babbo natale in
futuro». Gli disse William con un sorriso.
«Davvero?».Gli
chiese Henry.
«Certo».
Gli rispose William.
L’elfo
gli portò le tazze piene di latte e dopo averci aggiunto un po’di zucchero, di
caffè e una manciata di cereali, incominciarono a fare colazione.
Dopo,
quando ebbero finito di fare colazione, salirono le scale, fino a raggiungere
le loro camere.
Avevano
così tanto sonno, che gli sarebbe bastato appoggiare la testa sopra il cuscino
per addormentarsi e sognare un natale diverso da quello che avrebbero festeggiato
all’ora di cena, una natale in cui ci
sarebbe stato anche Claus.
E
questa la magia del sogno, immaginare qualcosa che vorremmo e che nella realtà,
non potremmo mai avere.
Andarono
in bagno a lavarsi la faccia e i denti e quando ritornarono in camera, si
misero subito a letto e dopo pochi minuti, s’addormentarono.
Nel
pomeriggio tutti quanti si erano riposati, giocando a carte e aiutando l’elfo
cuoco a preparare la cena di natale. Dopo cena avrebbero scartato i regali.
Questa
volta Henry non sognò Claus, anche se avrebbe voluto vederlo per sapere come
stava.
Intorno
alle sette, i loro genitori li andarono a svegliare. Quando entrarono in camera
li videro ancora addormentati; erano così belli quando dormivano. Avrebbero
potuto guardarli per ore, ma li dovevano svegliare, perché era già pronta la
cena.
Così,
li svegliarono scuotendogli piano piano per le spalle. Non appena loro si svegliarono,
aprirono gli occhi, stirarono le braccia verso l’alto e incominciarono a
sbadigliare.
S’alzarono
dal letto e si vestirono.
La
Befana, invece, andò a svegliare le ragazze e poi Gabriel.
Si
ritrovarono tutti quanti in cucina, dove un profumino davvero delizioso gli
stava facendo venire l’acquolina in bocca.
L’elfo
cuoco aveva apparecchiato in un modo davvero elegante. Aveva messo una tovaglia
rossa che era ricoperta con pigne, vischio di colore dorato, che risaltavano
molto a contrasto con il rosso della tovaglia.
Aveva
messo tutti i piatti: quello steso per il secondo e sopra la scodella per il
primo. I piatti riprendevano il disegno della tovaglia.
Le
posate, le aveva messe seguendo l’ordine del galateo e davanti ai piatti
c’erano dei bicchieri.
Al
centro della tavola, c’era un candelabro con delle candele rosse e in torno una
ghirlanda fatta con pigne, agrifogli e vischi.
Quando
l’elfo cuoco li vide entrare, li salutò tutti quanti con un sorriso. Tutti
quanti si misero a sedere e l’elfo cuoco, spense la luce centrale, per lasciare
accese soltanto quelle che percorrevano il bancone della cucina. Dopo, accese
le candele che si trovavano al centro del tavolo; al buio, quelle candele
rendevano quell’ambiente davvero suggestivo.
L’elfo
cuoco portò in tavola l’antipasto di polenta fritta con sopra la salsa di funghi
e degli assaggi di prosciutti e formaggi.
Quando
finirono di mangiare l’antipasto, portò in tavola il primo di lasagne e
cannelloni con ricotta e spinaci.
E
come secondo, fece li per li, la carne alla brace, insalata mista e patate arrosto.
Infatti, uscì fuori di casa per preparare la carne alla brace.
C’era
un posto vuoto in quel tavolo, nessuno aveva voluto occupare il posto a
capotavola di Claus.
Mangiarono
anche il dolce che l’elfo cuoco aveva scaldato dentro al forno; era davvero buono
e si sentiva che era fatto in casa.
Stapparono
lo spumante e il tappo saltò per aria, dopo, lo misero dentro i bicchieri di
cristallo. Nel momento di fare il brindisi, si guardarono tutti quanti e anche
se non dissero il loro desiderio ad alta voce, sicuramente tutti quanti avevano
pensato che avrebbero rivoluto avere Claus lì con loro a festeggiare il natale.
Quando
finirono di mangiare, i ragazzi andarono in sala a guardare un film natalizio,
adoravano la saga di “Mamma ho perso
l’aereo”; ma chi non l’adora quel film.
L’elfo
cuoco, i suoi assistenti, i genitori di Henry, la Befana e Sulac rimasero a
pulire la cucina.
Dopo,
quando finirono di pulire e la cucina era ritornata bella e risplendente,
raggiunsero i ragazzi nella sala.
I
ragazzi avevano spento le luci, per fare in modo che le lucine che avevano
messo attorno all’albero di natale, rendessero quell’ambiente ancora più
suggestivo.
Si
misero a sedere sul divano e sulla poltrona, mentre i ragazzi si erano già messi
sopra il tappeto che si trovava di fronte all’albero di natale.
Così,
incominciarono a scartare i loro regali e mentre, ognuno di loro metteva in un
angolino quello che aveva ricevuto, dietro di loro si stavano formando delle
montagne di carte, che con il passare dei minuti, si stavano sempre più
accumulando.
In
parte erano felici e in parte non lo erano; quanto avrebbero voluto trovare
Claus sotto l’albero; già, ma Babbo Natale, non può fare i miracoli. Ci
speravano ancora, sapevano che Claus sarebbe ritornato a casa, l’avrebbero
riabbracciato, perché, alla fine di tutto, il bene trionfa sempre sul male.
La
mattina dopo, il ventisei dicembre, anche se era un giorno di festa, avrebbero
lavorato ugualmente; avevano il natale da portare a termine, non era finito,
con il venticinque, ma sarebbe proseguito e il sei gennaio avrebbero dovuto
consegnare le calze.
Così,
la mattina si svegliarono un po’ più tardi rispetto ai giorni precedenti. Henry
scese dal letto, si tolse il pigiama e guardò l’ora dal suo Iphone; erano le
dieci passate. Si vestì velocemente e s’accorse che i suoi fratelli stavano
ancora dormendo, così gli andò vicino e li svegliò uno per uno e dopo essersi
vestiti, uscirono dalla loro camera per andare a fare colazione.
L’elfo
cuoco non appena li vide comparire in cucina, gli sorrise.
«Avete
dormito tanto?». Gli chiese.
«Sì,
avevamo davvero tanto sonno». Gli rispose Henry.
«E
gli altri?». Gli chiese Daniel.
«Sono
tutti a preparare le calze». Gli rispose ancora l’elfo.
«Affamati?».
Gli chiese scherzando.
I
ragazzi si misero a sedere.
«Una
fame da lupo!». Gli rispose Neal.
Così,
l’elfo cuoco si diede subito da fare e preparò una colazione così buona da
leccarsi i baffi. Prese il latte e glielo incominciò a scaldare.
Dopo
pochi minuti, non appena incominciò a bollire, lo tolse dal fuoco e lo versò
nelle tazze e dopo, i ragazzi ci
aggiunsero a loro piacimento il caffè e lo zuccherò.
«Cereali
al cioccolato o briosce al cioccolato appena sfornate». Gli chiese.
I
ragazzi non seppero resistere all’acquolina che gli era venuta in bocca e per
questo, scelsero le briosce.
Quando
finirono di mangiare, l’attenzione di Neal fu catturata da un foglio piegato, che si trovava al centro del
tavolo.
Mentre
tutti i suoi fratelli parlavano con l’elfo cuoco, lui incuriosito prese quel foglio
e lo aprì.
E
quando vide quello che aveva davanti a se, gli incominciarono a tremare le mani
e se non avesse retto bene quel foglio, gli sarebbe potuto cadere per terra.
Guardò
ogni minimo particolare di quel disegno e dopo, passò le dita sul foglio, quasi
come se potesse realmente toccare quello che vedeva davanti ai suoi occhi e che
Henry aveva visto durante il suo sogno.
«Allora,
andate ad aiutare la Befana?». Gli chiese l’elfo cuoco.
«Certo».
Gli rispose Daniel
«Dovete
andare a piedi, non ci sono più elfi in casa, sono tutti a lavorare per la
Befana. Sapete, lei non è tanto in vena di lavorare; anche se non lo da a
vedere, gli manca terribilmente Claus.
Non
l’avete mai vista piangere, ma credetemi che dentro di se, è a pezzi. Per
questo, tutti quanti, perfino i vostri genitori, sono andati ad aiutarla. E
poi, non è rimasta nessuna macchina». Gli disse l’elfo cuoco.
«Nessun
problema, andiamo a piedi, tanto conosciamo la strada». Gli rispose Daniel.
Dopo,
tutti quanti smisero di parlare e finirono d’inzuppare l’ultimo pezzo di
briosce nel latte e poi, bevvero tutto quello che era rimasto nella tazza.
Così,
posarono le tazze sulla tavola e s’accorsero che Neal non aveva ancora finito
la sua colazione, metà della sua briosce era sempre vicina alla sua tazza.
Lo
guardarono attentamente e videro che aveva un espressione strana.
«Non
hai fame? o ti sei imbambolato a guardare il mio disegno?». Gli chiese Henry,
con un po’ d’ironia.
Neal
alzò la testa dal disegno, fino a incontrare gli occhi di Henry.
«Io…».
Disse Neal balbettando.
Posò
il disegno sul tavolo.
«Ho
fame». Disse dopo qualche secondo.
«Cos’è?».
Chiese Neal a Henry.
«È
il disegno del posto dove ho visto Claus rinchiuso». Gli rispose.
Così,
anche Neal finì di fare colazione. Mentre si portava la tazza alla bocca, ogni
tanto gli tremava la mano, rischiando così, di sporcarsi tutti i vestiti.
Dopo,
tutti si misero a osservarlo e s’accorsero che si stava comportando in un modo
strano; sembrava spaventato, ma non riuscivano a capire che cosa lo
preoccupasse.
Neal,
rivedeva nella sua mente il disegno che aveva fatto Henry; non riusciva
toglierselo dalla mente. Più provava a non pensarci e più vedeva quel disegno
davanti ai suoi occhi.
Quando
tutti quanti finirono di fare colazione, s’alzarono da tavola per andare a prendere
i loro giacchetti. Si dovevano coprire bene, perché fuori faceva molto freddo.
Presero
le loro scope e uscirono di casa, salutando con un sorriso l’elfo cuoco, che in
quel preciso istante, stava pulendo la cucina.
Così,
s’incamminarono a piedi fino alla casa della Befana, che era vicina a quella di
Claus. In alto, s’intravedeva il sole che veniva nascosto dalle nuvole e i
pochi raggi che riuscivano a passare, illuminavano tutto lo splendido panorama
dalla Lapponia, che vedevano davanti ai loro occhi.
Si
trovavano in fila indiana: Henry, Neal, Daniel e William.
In
quell’istante, non si parlavano, non avevano niente da dirsi, perché erano
immersi nella magia del panorama mozzafiato della Lapponia. Alberi tipici della
Lapponia, costeggiavano la strada che stavano percorrendo.
Quando
iniziarono a passeggiare su una strada troppo trafficata, Henry prese la mano
di suo fratello Neal; lui fece un salto, stava ancora pensando a quel disegno.
Non
avrebbe mai voluto vederlo, invece l’aveva visto e gli aveva riportato a galla
delle cose che avrebbe voluto dimenticare per sempre.
«Che
c’è?». Gli chiese Henry.
«Niente».
Gli rispose Neal e strinse ancora di più la mano di suo fratello. Il calore e
la stretta della mano di Henry, lo facevano stare molto meglio.
Così,
dopo una quindicina di minuti, arrivarono di fronte alla casa della Befana.
La
sua casa non era per niente addobbata, se non per la ghirlanda che aveva messo
fuori dalla porta. Nessuno poteva biasimarla, qualcuno aveva rapito suo marito.
Tutti quanti riuscivano a capirla e a farla sorridere, per tirarla su di morale.
Stava
portando avanti il suo lavoro, infatti, tutti quanti erano impegnanti a
confezionare le calze.
Dopo
essere entrati, si tolsero i giacchetti e andarono ad aiutare gli altri a confezionare
le calze.
«La
volete una tazza di tè caldo per riscaldarvi?, immagino che fuori faceva molto
freddo». Gli chiese l’elfo cuoco.
I
quattro ragazzi si misero a sedere e attesero di bere una bella tazza di tè
caldo per riscaldarsi.
Mentre
l’elfo cuoco stava aspettando che l’acqua bollisse per preparargli il te, li
guardò negli occhi uno per uno. Erano uno più bello dell’altro, non solo per
l’aspetto fisico, ma anche per quello che portavano dentro il loro cuore. Erano
i ragazzi più buoni che quell’elfo avesse mai incontrato.
«La
Befana è sempre più triste giorno dopo giorno. Per lei è davvero molto
difficile svolgere il suo ruolo quest’anno, ma sa che lo deve fare.
Proprio
come Claus, crede molto nel suo lavoro». Disse l’elfo.
«Lo
sappiamo». Disse Henry.
L’acqua
che aveva messo dentro al bollitore aveva cominciato a bollire e nell’aria si espanse una nube di vapore,
che lentamente, saliva sempre più in alto. Così, spense il fornello, aprì le
bustine del tè e le immerse per qualche minuto. L’acqua lentamente incominciò a
tingersi, fino a diventare sempre più scura e assumere il colore marrone.
Mentre
attendeva che il tè fosse pronto, si voltò verso i ragazzi, che stavano fermi
sulle sedie nell’attesa di bere il tè.
«L’hanno
trovato quel posto che hai disegnato, ne abbiamo parlato stamattina tutti
insieme, perché Sulac ha ricevuto una chiamata dalla polizia». Disse L’elfo
cuoco e poi, si voltò verso la cucina e
da uno sportello, prese quattro tazze e le portò sul tavolo.
Dopo,
si voltò nuovamente verso la cucina, prese il bollitore con una spugnetta e
versò il tè nelle loro tazze.
Neal
aveva cominciato a tremare, quando l’elfo cuoco aveva parlato di quel disegno.
Non se lo sapeva spiegare, ma quel disegno gli aveva messo una paura davvero
molto intensa; non capiva il motivo, perché lui non aveva mai visto quel luogo.
“Se sono sicuro di non aver mai
visto quel luogo, allora, come faccio ad avere paura?”.
Pensò Neal nella sua mente.
Aveva
così paura, che i suoi muscoli si erano messi a vibrare in un modo incontrollato.
Il suo sguardo era perso nel vuoto e i suoi occhi lentamente, cominciarono a
bagnarsi.
La
mattina del ventisette dicembre, Sulac si era alzato molto presto per andare a
raccontare al poliziotto, il sogno che aveva fatto Henry. Non era una cosa
facile da dire e da spiegare, perché un adulto non è più in grado di sognare e
di vedere le cose in modo irrazionale; accetta solo le cose che può vedere
davanti ai suoi occhi.
Anche
Sulac all’inizio, non credeva nelle capacità di Henry; ma con il tempo, era
riuscito a credergli e ad apprezzarlo.
Così,
dopo un abbondante colazione, si vestì e prese la macchina per raggiungere la stazione di polizia.
Non
aveva paura di raccontargli il sogno che aveva fatto Henry, perché nel caso in
cui non gli avesse creduto, non avrebbe avuto niente da perdere. Così, si sintonizzò
sulla sua stazione radio preferita; la musica era l’unica cosa in grado di
rilassarlo e di dargli un senso di pace interiore.
Non
pensava a niente e aveva la mente svuotata da ogni suo pensiero; dopo, nella
sua mente, incominciò a vedere suo fratello come lo aveva visto Henry nel suo
sogno. Gli mancava, gli mancava veramente tanto; quel senso di vuoto che
sentiva nel suo cuore, gli faceva molto male.
Parcheggiò
e s’avviò a piedi fino all’entrata dalla polizia. Tutti quanti, non appena aprì
la porta, lo trattarono come se fosse entrato un dio. Lui era famoso, era a
capo del mondo, ma non si sentiva così; era una persona come tutti gli altri,
che aveva avuto il privilegio di salvare il mondo. S’avvicinò alla porta del
poliziotto, che in quel preciso istante, stava lavorando al caso di Claus e
bussò per educazione.
«Avanti».
Disse il poliziotto.
Così,
Sulac aprì la porta per entrare dentro la stanza.
«Buon
giorno». Gli disse il poliziotto.
«Buon
giorno anche a lei». Gli rispose Sulac.
Il
poliziotto fece cenno a Sulac d’accomodarsi sulla sedia e così fece. Si
lanciarono una serie di sguardi e nessuno dei due sembrava intenzionato a
parlare.
Il
poliziotto giocava con la penna, facendola rimbalzare sopra il tavolo.
«Non
ci sono novità». Disse il poliziotto amareggiato.
«Mi
dispiace ma non ci sono novità». Disse ancora, con molto rammarico. Infatti, la
scomparsa di Claus aveva già fatto il giro del mondo e tutti i telegiornali, giornali
cartacei e siti web, stavano seguendo con molto interesse questo caso.
«Non
c’arrendiamo». Disse il poliziotto e dopo, preso da un attimo di grinta, tirò
un pugno sul tavolo, che si mise a vibrare insieme a tutto quello che c’era
sopra. A Sulac piaceva molto la determinazione di quel poliziotto, che non si
arrendeva e trovava ancora più forza, quando non riusciva a risolvere il caso.
«Ha
una mente aperta?». Chiese Sulac e attese in silenzio una risposta del
poliziotto. In quell’istante, ci fu uno scambio di sguardi intensi tra il
poliziotto e Sulac. Il poliziotto non riusciva a capire il senso della domanda
che gli aveva rivolto Sulac.
«Certo!».
Gli rispose il poliziotto, con un tono di voce deciso.
«Lo
sa che l’anno scorso Henry, il nipote di Claus, ha sognato che mio fratello e
grazie a questo, siamo riusciti a salvare il natale». Gli spiegò.
«Certo!,
me lo ricordo!, ne parlavano ovunque». L’anno scorso, Henry era apparso su qualsiasi
mezzo di condivisione: in televisione, su internet e sui giornali. Non si
faceva altro che parlare di lui, per la sua bontà, rispetto alla sua tenera età.
«Lui
ha disegnato questo». Gli disse e dopo si alzò leggermente dalla sedia, per
prendere il disegno che aveva messo nella tasca dietro dei pantaloni.
Lo
aprì e lo mise sopra il tavolo, per farlo vedere al poliziotto.
Il
poliziotto, lo prese tra le mani, l’osservò attentamente e notò quello che vedevano
tutti: Claus, legato, solo, ferito e stanco in uno sfondo che a nessuno
sembrava familiare.
«Cos’è?».
Chiese il poliziotto a Sulac, in quel momento stava tenendo la sua mente aperta
a tutte le possibilità.
«È
il disegno che ha fatto Henry. Può sembrare strano, ma Henry quando dorme è in
grado di mettersi in contatto con le persone e vedere che cosa stanno facendo
in quel preciso istante. È un sensitivo, credo». Gli spiegò Sulac.
Il
poliziotto prese in mano quel disegno e l’osservò ancora più attentamente;
probabilmente Claus si trova lì. L’avrebbero ritrovato e riportato a casa per
festeggiare l’epifania.
Sì,
c’è l’avrebbero messa tutta per trovarlo prima del sei gennaio e fargli
festeggiare l’ultimo giorno di natale insieme alla sua famiglia.
“Claus, rappresenta il simbolo del
natale e per questo, ha il diritto di festeggiarlo insieme alla sua famiglia e
chiunque glielo abbia impedito, la pagherà molto cara”.
Pensò il poliziotto nella sua mente.
«Ci
hanno minacciato, prima ci hanno detto di non portare i regali per riavere
Claus e quando si sono accorti che saremmo andati comunque avanti, mi hanno
minacciato, chiedendomi di annullare tutte le riforme che avevo fatto». Gli
spiegò Sulac.
Il poliziotto si mise a pensare.
«L’indirizzo
IP dei messaggi?». Gli chiese il poliziotto.
«È
stato nascosto, gli elfi tecnologici di mio fratello ci hanno lavorato per
tantissime ore, ma non c’è stato verso di sapere da dove provenissero quei
messaggi». Gli spiegò Sulac.
Qualche
giorno dopo, grazie al disegno di Henry, la polizia era riuscita a trovare il
posto in cui tenevano rinchiuso Claus.
Così,
non appena Sulac ricevette questa notizia, decise di andare insieme alla
polizia a recuperare suo fratello; finalmente, sarebbe finito tutto e avrebbero
smesso di soffrire.
Sulac
chiamò il poliziotto per sapere l’indirizzo. Era molto lontano dalla casa di
Claus, ma non gliene importava, per lui, sarebbe andato anche in capo al mondo.
Così,
abbandonò il suo lavoro e senza dire niente a nessuno, andò in cucina a
prendere alcune provviste e partì.
Mentre
viaggiava, ascoltava la musica e a volte, cantava. La musica lo faceva
rilassare; era teso e felice allo stesso tempo.
Non
vedeva l’ora di riabbracciare suo fratello, già pregustava e s’immaginava il
momento in cui si sarebbero rivisti.
Dopo
qualche ora, arrivò a destinazione e trovò vicino a quella casa, tante auto
della polizia, nascoste per non farsi vedere e non far scappare i rapitori.
Così,
dei poliziotti specializzati entrarono dentro quella casa, s’avvicinarono alla
porta e la spalancarono con un calcio. C’era molto buio, ma grazie alle luci
che avevano sopra le pistole, riuscivano a vedere dove mettevano i loro piedi.
Quei poliziotti erano ben protetti: avevano il casco in testa e il giubbotto
antiproiettile.
Così,
cominciarono a girare per quella casa, stanza dopo stanza, la controllarono
tutta; era identica a come l’aveva disegnata Henry.
Finalmente,
un poliziotto riuscì a trovare la stanza nella quale Henry aveva disegnato
Claus. Quella porta era chiusa, così ci tirò un calciò e s’aprì all’istante.
Prima d’aprirla, ci fu un particolare che lo mise in allarme, c’era troppo
silenzio e se una persona che viene rapita sente del rumore, si mette a gridare
per chiedere aiuto.
Velocemente,
la porta s’aprì, andando a sbattere, contro il muro. Il poliziotto puntò la
torcia in tutta quella stanza, ma s’accorse che era vuota, di Claus non c’era
traccia, ne in quella stanza ne in tutta la casa.
Non
c’era nessuno in quella casa, nemmeno i suoi rapitori.
Quel
poliziotto uscì dalla casa e quando vide gli occhi speranzosi di Sulac, abbassò
la testa verso il basso.
Lentamente,
quel poliziotto s’avvicinò verso Sulac e gli mise una mano sulla spalla per
consolarlo.
«Non
l’abbiamo trovato». Gli disse amareggiato.
«Non
c’era nessuno in quella casa, tuttavia, ci potrebbero essere degli indizi. Non
ci arrenderemo, ritroveremo Claus». Aggiunse dopo, per fargli capire che c’era
ancora speranza. Il poliziotto ci credeva davvero in quelle parole che gli
aveva appena pronunciato.
Così,
Sulac se ne andò un po’ triste, per non aver potuto riabbracciare suo fratello;
ma non per questo aveva perso le speranze.
Neal
cercò di controllarsi, non voleva piangere, non voleva avere più paura. Aveva
avuto paura per un anno intero, un anno in cui era stato distante dalla sua
famiglia.
Non
aveva mai parlato a nessuno di quello che gli era successo durante quell’anno
in cui era stato distante dalla sua famiglia.
Si
mise a sorseggiare il tè, dopo averlo zuccherato, si portò la tazza alle labbra
e lo bevve a piccoli sorsi. Era caldo e in quel preciso istante, aveva bisogno
di qualcosa di caldo.
Prima
o poi, quando si sarebbe sentito pronto, gli avrebbe parlato di quel disegno,
gli avrebbe spiegato come mai gli aveva messo così tanta paura.
S’alzarono
da tavola e andarono a confezionare le calze. Li trovarono tutti quanti a
lavorare. Lo sapevano già come si faceva.
Una
manciata di caramelle e cioccolate, uno o due frutti e carbone vero per chi si
era comportato veramente male.
Passarono
così tutta la mattinata, ognuno nel proprio banco a preparare le calze. Era un
lavoro noioso, ma la musica riusciva a fargli passare meglio il tempo, ogni
tanto chiacchieravano. L’unica che chiacchierava poco era la Befana, che lavorava
per inerzia e soltanto perché lo doveva fare. Il sei gennaio s’avvicinava
sempre più e loro avevano ancora molto da fare.
Avevano
ancora molte calze da confezionare. Una volta finite di confezionare le calze,
un elfo le prendeva e le metteva nei sacchi che i ragazzi avrebbero dovuto
portare in spalla. Passarono così tutta la giornata, fino a quando alla sera,
smisero di lavorare, mangiarono, si fecero una doccia e andarono subito a
dormire.
Il
giorno seguente, Henry si svegliò, non appena dal suo avvolgibile s’incominciarono
a intravedere dei fasci di luce, che lentamente, stavano invadendo sempre di
più quella stanza.
Aprì
gli occhi e si guardò in torno a se, c’era tanto silenzio. Sbadigliò, stiracchiò
le braccia, uscì dal letto e dopo si vestì, restando a sedere sul letto.
Non
appena si fu vestito, si vide comparire il suo fratellino Neal, ancora in
pigiama e con il suo pupazzo preferito tra le mani.
«Che
c’è?». Gli chiese Henry, non appena s’accorse che gli voleva dire qualcosa.
Neal,
guardò in faccia suo fratello, voleva parlargli, dirgli perché il questi giorni
era strano, ma non ci era riuscito e non ci riusciva nemmeno in quel preciso instante.
Sospirò
e aprì la bocca, per provargli a parlare, ma non gli uscivano le parole.
Così
Henry, capendolo, con un braccio lo fece avvicinare a se, lo strinse forte e
gli fece appoggiare la testa sulla sua spalla.
«Non
fa niente». Gli disse Henry, mentre gli accarezzava la spalla.
«Quando
vorrai parlarmi, sarò qui». Gli disse ancora Henry.
Rimasero
ancora abbracciati per qualche secondo e dopo, si sciolsero da quell’abbraccio
pieno d’amore.
Neal
guardò in faccia Henry e annuì.
Così,
insieme uscirono da quella camera e andarono in cucina per fare colazione. Neal
prese la mano del fratello e la strinse tra la sua; in quell’istante si sentiva
al sicuro.
Per
tutte le altre persone, sarebbe stato molto allegro e divertente festeggiare
l’avvento del nuovo anno, ma per Henry non sarebbe stato così. Allo scoccare
della mezzanotte, tutti quanti avrebbero fatto scoppiare i fuochi d’artificio e
avrebbero anche aperto milioni di bottiglie di spumante.
Quest’anno
non lo sentivano il natale e tutte le altre festività natalizie; queste feste,
senza l’allegria di suo nonno, non erano la stessa cosa.
Avrebbero
festeggiato ugualmente, ma non sarebbe stata la stessa cosa; la loro mente
avrebbe pensato al capodanno, ma il loro cuore, sarebbe stato fisso su Claus,
solo, nel giorno in cui sarebbe dovuto stare a festeggiare insieme alla sua
famiglia.
Henry,
si ricordava ancora come avevano
festeggiato lo scorso capodanno. Come poteva scordarselo, se quel giorno aveva
dato una svolta alla sua vita. Quel giorno era stato un punto d’inizio e un
modo per ricominciare a vivere la sua vita. Un anno fa, quando ripensava a
Neal, si sentiva in colpa per il suo rapimento; adesso, quando pensava a suo
fratello sorrideva ed era felice.
Come
poteva dimenticarsi il momento in cui Claus l’aveva spinto a raccontargli tutto
quello che teneva nascosto dentro di se; in quel momento, era come se fosse
rinato.
Fecero
colazione e dopo, andarono subito a casa della Befana per confezionare le
ultime calze e preparare tutti gli ultimi preparativi.
I
ragazzi si divertivano molto a confezionare le calze e ogni tanto, la Befana
gli faceva mangiare una caramella.
Anche
se la Befana non lo dava a vedere, ogni giorno che passava era sempre più
triste; ma doveva essere forte, doveva mandare avanti tutta la baracca, la sua
missione era importante come quella di Claus.
Ogni
tanto, smettevano di riempire le calze, per volare con le scope; quest’anno, lo
avrebbero fatto loro il giro del mondo e per questo, dovevano tenersi in
allenamento.
La
scomparsa di Claus, se da un lato era triste per i suoi amici e parenti, dall’altro,
era riuscita a riunire tutte le persone distanti tra loro, che grazie ai social
network, riuscivano a parlare di Claus.
In
tutto il mondo, le persone si riunivano la sera e facevano una fiaccolata in
onore di Claus, tante persone diverse per lingua e cultura, che volevano tutte
quante la stessa cosa: “Claus libero”.
Era
questa cosa che gridavano tutte le persone. Se su internet cercavi Claus,
venivano fuori tutte le immagini con scritto: “Claus libero”.
Era
molto bello pensare che al mondo esistesse una persona in grado di unire tante
persone, in nome della pace e dell’amore che provano verso di lui.
Così,
tra riempire le calze e volare per tenersi in allenamento, quella giornata era già
finita. Erano sereni e felici, avevano dato il massimo di loro stessi. Così, se
ne andarono dalla casa della Befana, un po’ prima, rispetto ai giorni passati.
Non
appena arrivarono a casa di Claus, tutti quanti andarono a farsi una doccia,
per togliersi il sudore e la stanchezza di tutto il giorno di duro lavoro.
Questo
era un giorno diverso da tutti gli altri, certo, era il trentuno dicembre, ma avrebbero
festeggiato, perché anche Claus, li avrebbe voluti vedere felici e sorridenti.
Così,
tutta la città della Lapponia aveva deciso di festeggiare; infatti, tutti i
cuochi della città si erano messi d’accordo per cucinare il cibo che tutte le
persone avrebbero mangiato, per festeggiare la notte di capodanno e l’avvento
del nuovo anno.
Alcuni
venditori di tavoli e sedie, li avevano
messi a disposizione, per la festa di capo d’anno.
Così,
nel primo pomeriggio, alcune persone con il furgone erano andate a prendere i
tavoli e le sedie.
Una
volta arrivati in piazza, che era così enorme da riuscire a contenere tutte le
persone della Lapponia, scesero tutte le cose che avevano sul loro furgone e incominciarono
a montare tutti i tavoli e le sedie.
Altre
persone si misero a ricoprire tutti quei tavoli con delle tovaglie di carta e
sopra ogni tavolo misero piatti, bicchieri, tovaglioli e posate di plastica.
Addobbarono
perfino qualche albero, con delle palline e luci colorate, per rendere quella
piazza ancora più natalizia. Le luci di natale si riflettevano sulla neve e
tutto ciò, rendeva l’ambiente ancora più suggestivo e magico.
Dopo
essersi asciugati, indossarono i loro vestiti migliori e si pettinarono, mettendosi
il gel tra i capelli, creando delle così delle acconciature davvero mozzafiato
e in grado di valorizzargli i tratti dei loro volti.
Il
loro look era davvero mozzafiato; avevano indossato dei pantaloni di jeans
tutti strappati, delle scarpe da tennis, una maglia a maniche lunghe bianca con
sopra una giacca nera.
Quando
finirono di prepararsi, uscirono dalla loro camera, s’avvicinarono alla porta e uscirono di casa.
Tutti
quanti, tranne Neal e Sulac, salirono in macchina, per raggiungere la piazza
dove si sarebbero radunati, per iniziare una fiaccolata per chiedere la
liberazione di Claus.
Nel
frattempo, Neal era voluto rimanere con Sulac a pulire la cucina, perché dopo
aver pranzato, tutti quanti, perfino tutti gli elfi di Claus, erano andati ad
aiutare la Befana a confezionare le calze.
La
befana era molto giù di corda, perché era molto preoccupata per il rapimento di
Claus e gli mancava terribilmente, tuttavia, aveva ancora speranza, l’avrebbero
ritrovato.
Così,
mentre Sulac aveva incominciato a riempire la buca dell’acquaio con dell’acqua
calda e a metterci del sapone, il piccolo Neal che a malapena arrivava al
tavolo della cucina, gli portava tutti i piatti, i bicchieri e le posate
sporche.
Quando
finì, prese una sedia e la portò sotto all’acquaio in modo da arrivare a sciacquare
tutto quello che gli passava Sulac e poi, lo poggiava sullo scolapiatti che si
trovava alla sua sinistra.
Mentre
rigovernavano, la televisione era accesa e gli faceva compagnia.
In
televisione stavano trasmettendo il telegiornale, una donna dalla voce molto
piacevole stava raccontando tutti i fatti di cronaca che erano accaduti durante
il giorno.
Neal
sciacquò l’ultimo piatto e poi, si voltò verso la tavola e s’accorse di aver
lasciato una teglia di vetro.
Così,
scese dalla sedia e s’avvicinò verso il tavolo; nel frattempo, al telegiornale,
stavano parlando di altre notizie.
Prese
in mano la teglia di vetro, quando tutto d’un tratto, fu catturato da una voce
che proveniva dalla televisione; in quel preciso istante, non riusciva a capire
per quale motivo ne era attratto, alzò la testa e si voltò verso la
televisione. Quando vide quella persona che parlava, capì.
«Ancora
lui!». Esclamò Sulac, mentre lavava un piatto.
«Certa
gente è così ostinata, da non capire che per sconfiggere questa crisi abbiamo
bisogno di cambiamenti radicali». Borbottò tra di se Sulac, mentre stava
sciacquando il piatto che aveva appena lavato.
Neal
rimase per qualche istante immobile a fissare quella persona che stava parlando
in televisione.
All’inizio,
nei primi istanti, non capì per quale motivo si sentiva attratto da quella voce
e dalla fisionomia di quella persona.
Poi
capì e in quel preciso istante, spalancò gli occhi e rivide le scene della sua
vita come se fosse un film che stava scorrendo velocemente e all’incontrario,
fino a fermarsi, a quando aveva già sentito e intravisto quella persona.
Finalmente
capì e il suo corpo incominciò a tremare. Fu immediatamente, colto da dei
brividi freddi. Le sue mani cominciarono a tremare sempre di più e la teglia di
vetro, cominciò a tremare insieme a lui e pochi secondi dopo, gli cadde di mano.
Velocemente, cadde per terra, si ruppe all’stante e i vetri si sparsero per
tutta la casa, come quando una goccia cade in una pozza d’acqua, creando così
tutte quelle increspature.
Non
appena Sulac sentì quel rumore, si voltò verso Neal e lo vide immobile a
fissare la televisione.
Sembrava
che avesse paura, infatti tremava come una foglia.
Gli
andò vicino e per essere alla sua altezza, s’abbassò sui suoi ginocchi. Lo
guardò intensamente negli occhi, che stavano diventando sempre più lucidi.
«Ché
c’è?, ti sei fatto male?». Gli chiese, era davvero molto preoccupato per lui.
Neal non gli rispondeva, era come paralizzato.
Allora,
Sulac gli prese le braccia e gli tirò su le maniche per vedere se si era
tagliato, dopo, fece la stessa cosa con le gambe.
Niente,
non c’erano tracce di ferite e di questo, ne fu sollevato.
Allora,
lo strinse forte a se, s’alzò in piedi, continuandolo ad abbracciare e ad
accarezzargli dolcemente la schiena. Neal si sentì protetto tra quelle braccia
e appoggiò la testolina sulla spalla di Sulac.
Neal
chiuse gli occhi e abbracciò Sulac con le sue braccine; in quel preciso
istante, non aveva più paura.
«Lui…».
Neal si decise a parlare, anche se la sua voce era molto tremolante, aveva
ancora molta paura, nonostante, si sentisse al sicuro.
Dopo,
alzò un braccio e puntò il dito contro il politico che stava parlando in televisione.
Sulac
si voltò e s’accorse che Neal stava puntando quel politico che era sempre stato
contrario alle sue idee per sconfiggere questa crisi.
«È
stato… è stato lui a…». Neal non riusciva a finire quella frase e Sulac, attese
in silenzio che lui finisse di parlare.
«Quando
un anno fa mi avevano rapito, ho sentito la sua voce, ne sono sicuro, non l’ho
mai visto bene, perché quando lo sentivo era sempre al buio, ma quando adesso,
l’ho sentito in televisione ho riconosciuto la sua voce e la sua fisionomia».
Gli disse Neal.
Sulac
smise d’abbracciarlo e spostò una sedia dal tavolo per farlo sedere, dopo, ne prese
un’altra e si mise a sedere di fronte a lui.
Questa
notizia aveva sconvolto anche Sulac; certo sapeva, che quel politico, era molto
ostile alle sue idee rivoluzionare, ma non lo avrebbe mai creduto, capace di
una crudeltà così grande.
«Racconta
un po’». Gli disse Sulac.
«Quella
persona non stava sempre nel posto dove mi avevano rapito, veniva ogni tanto,
perché erano altre le persone che si occupavano di me». Gli disse e dopo, lo
guardò negli occhi, per vedere se gli credeva.
Sulac
si mise a pensare, c’era qualcosa che gli sfuggiva in quel preciso momento;
dentro di se sentiva che questa cosa era molto importante.
«Allora,
non sono stati loro, quelli che abbiamo trovato nella casa dove ti avevano
rapito». Disse Sulac.
«Mi
metteva molto paura quando quel signore parlava, aveva un tono di voce così…
cattivo…. come i personaggi cattivi dei miei cartoni preferiti». Disse Neal.
«Allora
il tuo rapimento non è stato per soldi, ma cosa c’entra il tuo rapimento con
quel politico. Non ci capisco più niente». Disse Sulac.
Sulac
s’alzò dalla sedia e allungò un braccio per far capire a Neal di scendere dalla
sedia. Neal fece un salto e in pochi secondi si ritrovò per terra. Si mise in
piedi a guardare Sulac negli occhi: in quel preciso istante, non aveva più
paura. Qualunque cosa gli fosse successo, Neal non sarebbe stato solo, aveva
tutta la sua famiglia vicina.
Sulac
continuò a tenere per mano Neal.
«Andiamo
a divertirci, è capodanno». Disse Sulac.
«Certo
zio». Gli rispose Neal con un sorriso.
«Veramente,
bis zio. Sono un bis zio molto giovane». Disse Sulac vaneggiandosi di se
stesso.
«Qualunque
cosa sei, io ti voglio bene». Gli rispose Neal con un sorriso.
Così,
mano nella mano, uscirono dalla casa di Claus e raggiunsero gli altri che si
trovavano nella piazza.
Quando
gli altri li videro arrivare gli sorrisero. Tutte le persone si erano radunate
in quella piazza addobbata a festa, dove avrebbero festeggiato insieme l’arrivo
del nuovo anno.
Tutte
le persone presenti in quella piazza presero una candela e l’accesero, così,
lentamente, si formò una fila di tanti puntini luminosi. Incominciarono a
camminare, mentre una persona li riprendeva, per poi mettere il video sul
canale YouTube di Claus, per far sapere a chi l’aveva rapito che loro non si sarebbero
mai arresi e che Claus non l’avrebbero mai abbandonato.
Continuarono
a camminare per circa un oretta, seguendo un percorso che avevano già
prestabilito.
Dopo,
ritornarono alla piazza e si misero a ballare e a cantare le tipiche canzoni di
natale.
Pochi
minuti prima del nuovo anno, tutti quanti misero in un piattino i dolci tipici
natalizi. Allo scoccare della mezzanotte, alcune persone cominciarono a
stappare le bottiglie dello spumante. Brindarono e tutti quanti espressero il
desiderio di riabbracciare Claus.
Ancora
una volta, Henry e la sua famiglia, non espressero desideri futili, chiedevano
soltanto di riavere Claus. L’anno scorso avevano espresso il desiderio di
riavere Neal e si era avverato; forse c’era speranza anche per Claus.
Pochi
minuti dopo la mezzanotte, dei fuochi d’artificio s’incominciarono ad alzare
nel cielo, illuminandolo, così, di mille forme e colori, che rendevano il
panorama ancora più mozzafiato.
Continuarono
a festeggiare per tutta la notte.
Sulac,
si mise a sedere e ripensò a quello che gli aveva detto Neal, ma non riusciva a
trovare un collegamento; dopo, si mise a controllare la posta elettronica e
come un lampo di genio, in pochi secondi capì tutto; era tutto chiaro.
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