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"Ecco il quarto capitolo, mi piace molto questo capitolo, non vi dico il motivo, per lasciarvelo scoprire, finalmente scoprirete la verità!. Ho quasi finito di editare il capitolo 9 e in settima dovrei iniziare a scrivere l'ultimo capitolo.
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Fatemi sapere se vi piace questa storia, se avete da criticare, fatelo pure, perché le critiche sono costruttive. Mi piacerebbe ricevere un vostro giudizio. Grazie per aver letto questa storia. Non perdete il QUINTO CAPITOLO, IL 16 DICEMBRE ORE 21:00"
CAPITOLO 4: RACCONTARE LA VERITÀ
CAPITOLO 4: RACCONTARE LA VERITÀ
Era
passato molto tempo da quando erano ritornati dalla vacanza al mare. Era stata
davvero una bella vacanza, che era stata in grado di rigenerargli il corpo e lo
spirito.
Tutti
quanti erano ritornati più felici e avevano ritrovato la felicità.
William
si era fidanzato con Clary. Il piccolo Henry ricordava ancora quella scena.
Tutti
quanti stavano a sedere e a mangiare la cena squisita che aveva preparato il
loro padre. Tutto a un tratto, William s’alzò in piedi e tutti quanti lo
osservarono in un modo strano, visto che nella loro famiglia nessuno s’alzava
se poi sapevano che alla fine, ci sarebbe stato anche il dolce.
William
diventava sempre più rosso nel volto.
«Che
c’è?». Gli chiese sua madre.
«Io…,
io…». Disse e cominciò a balbettare, il che era strano, perché lui non lo
faceva mai.
Allora
Clary, s’alzò e s’avvicinò ancora di più a lui, fino a essere spalla a spalla.
Lei gli prese la mano, soltanto a causa del buio della notte, nessuno di loro
vide quel gesto.
«Io…,
cioè noi sti… stia…». Disse Clary alla madre di William.
«State…».
Disse la loro madre, ma William non le diede il tempo di parlare.
«Stiamo
insieme». Le disse e dopo, alzò la mano per farle vedere che la teneva
intrecciata con quella di Clary.
La
loro madre e il loro padre sorrisero, quasi per incoraggiargli e fargli capire
che erano felici.
«Lo
sapevo, lo sapevo da tanto tempo che ti piaceva». Gli disse sua madre.
«Come
facevi a saperlo, se non lo sapevo nemmeno io?». Le chiese William.
«Intuito
di mamma». Gli rispose con un sorriso.
Henry
era uscito devastato da quella vacanza. Non era triste come quando si era
sentito in colpa per la scomparsa di Neal, ma si sentiva lo stesso deluso da
suo padre, quel padre che gli aveva mentito su una cosa così importante. Non
c’era giorno che non pensava a quella frase che aveva detto suo padre; questa
cosa lo tormentava.
Non
sapeva se era vera, ma se lo fosse stato, avrebbe voluto sapere chi erano i
veri genitori di suo padre.
Non
sapeva come fare, lui era solo un bambino che cresceva giorno dopo giorno; non
aveva alcun potere.
Così,
senza nemmeno accorgersene, l’estate era passata, troppo in fretta. È proprio vero che quando ci si diverte il
tempo vola.
Era
già autunno, quella stagione fantastica in cui tutta la natura assume tutte le
gradazioni che vanno dal rosso al marrone.
Il
clima era cambiato, diventando, con il passare dei giorni, sempre più freddo.
La
loro vita era ritornata alla normalità: la scuola, lo sport e la vita di un
normale teenager. I vestiti corti e leggeri avevano fatto posto a quelli lunghi
e pesanti.
Era
un venerdì sera di novembre, tutta la famiglia di Henry stava davanti al camino
acceso a guardare un film. Era un abitudine di famiglia passare qualche serata
insieme. Erano tutti felici e sorridevano sempre, soprattutto quando guardavano
i film che facevano ridere.
Così,
subito dopo cena si misero davanti alla televisione ad aspettare che iniziasse
il film.
Henry
non ne aveva voglia, era troppo stanco per i troppi compiti che gli davano a
scuola.
Scese
in cucina e decise di prepararsi una cioccolata calda.
Quando
passò nell’ingresso, si fermò a osservarli e sorrise per la loro felicità. Li
sentiva parlare del film che stavano per vedere.
«Il
film finisce…». Disse William e dopo incominciò a sorridere.
Daniel
gli saltò addosso per farlo smettere di parlare.
«Non
lo dire». Lo minacciò Daniel.
Dopo
suonò il cellulare di William.
«Ciao,
Clary». Le disse, sulle sua faccia comparve un sorriso da ebete e subito dopo,
le sue labbra s’incurvarono.
«Volevo
darti la buonanotte». Gli disse.
«Buona
notte anche a te». Le disse.
Neal
lo guardava in un modo strano e non capiva la sdolcineria del fratello.
D’altronde Neal era ancora piccolo e vivendo nel suo mondo infantile, fatto di
giochi e cartoni animati, non riusciva capire cosa voleva dire essere
innamorati di una persona.
«A
domani, ti amo». Gli disse.
«Blee!
Che smancerie». Disse Neal.
Quando
Clary sentì le parole del fratellino di William, si mise a ridere, per la
tenerezza di Neal.
«È
mio fratello, anch’io ti amo». Le disse e chiuse la chiamata.
William
s’avvicinò verso Neal e gli scompigliò i capelli.
«Un
giorno, fratellino, anche tu sarai così sdolcinato». Gli disse.
«Non
credo». Gli rispose.
Andò
in cucina, prese una tazza, il latte dal frigo e la bustina per fare la
cioccolata calda.
Mise
il latte nella ciottola e non appena incominciò a bollire, ci buttò la polvere.
Non appena fu pronta, prese la sua tazza, uscì dalla cucina e montò le scale
per arrivare in camera sua.
Si
mise davanti al computer e attese che Claus si collegasse al programma
attraverso il quale avrebbe potuto parlargli.
Si
mise ad attenderlo, ma non sapeva se si sarebbe collegato, perché il loro
appuntamento fisso avveniva sempre di sabato.
Nel
frattempo, si mise ad ascoltare la musica e a navigare sulla rete. Dopo un po’
di tempo, si cominciò ad annoiare perché Claus non si era connesso; così,
decise di uscire dal programma per fare le video chiamate.
Continuando
a sentire la musica, aprì la cartella che conteneva tutte le foto del natale scorso
e del viaggio di pasqua.
Mentre
correva quelle immagini, a volte sorrideva, al ricordo degli attimi in cui
erano state scattate quelle foto. Si mise anche a guardare qualche video.
Stava
scorrendo velocemente le immagini, quando, tutto a un tratto, notò qualcosa di
strano su una foto in particolare.
Tornò
indietro molto lentamente, fino a incontrare l’immagine incriminata. Si fermò
su quella e dopo averla osservata, decise di aprirla con un programma di editing
fotografico.
Non
appena, si aprì il programma, aprì anche la foto e la ingrandì aumentando il
rapporto di scala.
La
foto raffigurava suo padre e Claus abbracciati, erano felici e sorridenti e
ognuno teneva una mano sulla spalla dell’altro. La cosa che colpì Henry fu la
loro altezza, era identica, poi notò un neo, sulla guancia, identico per forma
e dimensione, la forma del naso e della bocca erano identiche.
Andò
a cercare due foto di Claus: una di quando era bambino e l’altra di quando era
adolescente. Dopo una lunga ricerca, le trovò e anche quelle immagini gli
confermarono che avevano lo stesso colore dei capelli e la stessa attaccatura
dei capelli sulla fronte.
Per
qualche minuto, rimase senza fiato, fissava quelle immagini e le confrontò più
volte, per essere sicuro di aver visto quelle somiglianze e di non essersi
sbagliato.
Non
aveva dubbi, adesso era sicuro che c’erano quelle somiglianze.
Forse
Claus, era il padre di suo padre, ovvero suo nonno; questa cosa spiegava anche
il motivo per il quale, ogni volta che si trovava vicino a Claus si sentiva
legato a lui.
Adesso,
credeva di avere una spiegazione, ma non poteva esserne certo al cento per
cento; tutte quelle somiglianze potevano essere una coincidenza.
Sapeva
che cosa doveva fare per cercare le risposte; una cosa che non avrebbe dovuto fare e nel caso in cui
suo padre l’avesse scoperto, si sarebbe arrabbiato.
Così,
mentre tutti erano a guardare il film, Henry s’era già messo il pigiama per
andare a letto; prima d’addormentarsi ripensò al suo piano. Doveva essere
perfetto nei minimi dettagli, un solo errore avrebbe potuto compromettere tutto
quanto.
La
mattina tutti quanti si svegliarono molto presto, alle prime luci dell’alba.
Mentre tutti quanti s’incominciavano a svegliare e fare casino, Henry stava
sotto le coperte. Sentiva il rumore dei loro passi, le porte che s’aprivano e
chiudevano e i rumori provenienti dalla cucina.
Questo
faceva parte del suo piano, stava per fare una cosa che non aveva mai fatto in
tutta la sua vita; perché riteneva sbagliato mentire, ma questa volta, sarebbe
stato diverso, sarebbe stato per scoprire la verità.
Tutta
la sua famiglia sarebbe andata in campeggio in montagna, per l’intero weekend.
Tutto
d’un tratto, sentì i passi di qualcuno che stava salendo le scale, dopo,
qualcuno aprì la porta. Sua madre s’avvicinò al letto di Henry e lo scosse
leggermente toccandolo sulla spalla.
Henry
si girò verso la madre, si stirò allungando le braccia e sbadigliò. Fece finta
di svegliarsi.
«Alzati».
Gli disse.
«No,
non vengo». Le rispose.
«Su!,
non fare lo scemo». Esclamò sua madre.
Henry
si rigirò, dando le spalle a sua madre.
«Dai!».
Esclamò e poi lo scosse. Sua madre si mise a sedere sul suo letto.
Henry
si rigirò verso la madre e la guardò negli occhi, nel frattempo, senza farsi
vedere si era messo della crema al mentolo sotto gli occhi, per farli diventare
lucidi.
«Non
sto bene». Le disse e dopo, tossì per finta.
«Devo
avere la febbre». Le disse, dopo qualche secondo.
Sua
madre gli toccò la fronte, per vedere se era caldo. Henry s’era messo una maglia
di lana sotto al pigiama e aveva messo due coperte in più dentro al letto, per
farsi alzare la temperatura e fingere di essere sudato.
«Sei
un po’ caldo». Gli disse.
Sua
madre si alzò dal letto, per andare a prendere il termometro, che teneva nella sua
camera da letto.
Gli
diede il termometro e lui se lo mise sotto al braccio. Dopo, sua madre uscì dalla
sua camera e lui ne approfittò per attuare il trucchetto che aveva imparato su
internet.
Prese
il termometro e incominciò, delicatamente e senza romperlo a strusciare la
punta sulla lana, fino a quando non raggiunse la temperatura di circa trentotto
gradi.
«Mamma!».
Gridò e dopo pochi minuti la vide apparire nella sua camera. Lei s’avvicinò a
Henry con un espressione del volto davvero preoccupata. Henry allungò il
braccio per darle il termometro. Tossì ancora e dal comodino prese un
fazzoletto per soffiarsi il naso; era tutta scena, era un attore nato.
«Trestasette
e otto». Disse preoccupata.
Lui
la guardò in silenzio.
«Non
possiamo partire». Gli disse.
«No,
dovete partire». Le rispose, per convincerla a partire. Dovevano partire;
doveva essere solo per fare quello che aveva in mente. Avrebbe avuto due giorni
per capire se suo padre era stato adottato.
Doveva
convincerla a partire, non poteva sprecare un occasione come questa.
«Non
è tanto alta la febbre, se stai male, puoi chiamare i nonni». Gli disse, cercando
di capire attraverso lo sguardo quanto stesse veramente male.
La
parola “nonni”, risuonò nella mente
di Henry; adesso aveva un significato diverso per lui. Non aveva niente in
comune con quelle persone, se non il fatto che l’avevano cresciuto.
Gli
voleva bene, ma non c’era un legame di sangue con i suoi nonni.
In
quell’istante, si rattristì e la sua espressione del volto s’incupì. Chiuse gli
occhi, per cercare di non piangere, fu una lotta contro se stesso, fu una lotta
contro i suoi sentimenti. Quando li riaprì, non gli cadde nessuna lacrima, ma
erano diventati lucidi.
Sua
madre guardò gli occhi di Henry e scambiò il fatto che fossero diventati lucidi
con la febbre. Non sapeva, non sapeva che Henry era a pezzi da quando aveva
sentito pronunciare quelle parole.
«Certo».
Le rispose.
Sua madre gli sorrise e gli dette un bacio
sulla fronte.
«Invita
June, per farti compagnia». Gli consigliò.
«Certo,
la chiamerò e se potrà la inviterò a farmi compagnia». Le disse.
Sua
madre lasciò la camera e dopo, si voltò a guardarlo. Una parte di lei, si sentiva in colpa; ma allo stesso tempo,
capiva che il suo bambino era diventato grande. Questa cosa l’aveva capito da
quando era scappato di casa per salvare il natale.
Sebbene
fosse ancora piccolo, si era sempre comportato in modo più maturo rispetto ai
ragazzi della sua età.
Henry
rimase sotto le coperte, facendo finta di essere malato, fino a quando non li
sentì partire con la macchina.
A
quel punto, smise di fingere e s’alzò dal letto, si spogliò, togliendosi la maglia
di lana che s’era messo sotto al pigiama, si rimise la maglia del pigiama e
andò a fare colazione.
Era
lì, solo, davanti alla tazza di latte fumante e una scatola di cereali. Non
aveva paura di stare da solo in casa, era in grado di badare a se stesso, farsi
da mangiare e fare tutte quelle cose che ogni persona fa quotidianamente.
Si
sentiva in colpa per averle mentito.
Dopo
un oretta, era quasi sicuro che non sarebbero tornati indietro; da qui in
avanti avrebbe attuato il suo piano, ma prima di questo, si fece una doccia
bella rinfrescante.
Quando
fu pronto, si vestì e andò in soffitta. Lui era sempre stato un ragazzo curioso
e gli piaceva stare in soffitta a curiosare tra le cose vecchie della famiglia.
Una
volta, per sbaglio aveva trovato una scatola in cui c’era scritto il nome di
suo padre; la cosa strana di questa scatola era che era nascosta, come se non
dovesse essere trovata.
All’epoca
era molto più piccolo e non l’aprì, ma questa volta l’avrebbe aperta e avrebbe
scoperto la verità. Aveva paura di scoprire la verità, ma voleva saperla; non
si può vivere nel dubbio.
Dopo
aver fatto una rampa di scale, arrivò in soffitta e il suo cuore incominciò a
battere all’impazzata.
Una
volta arrivato chiuse la porta e incominciò a cercare quella scatola. Si guardò
un po’ intorno e poi, si ricordò il posto in cui l’aveva vista l’ultima volta.
S’avvicinò all’angolo, dove sapeva esserci quella scatola, quando, tutto a un
tratto, gli suonò il cellulare. S’accorse che era sua madre.
«Pronto».
Disse tappandosi il naso con le dita, per far sembrare la sua voce come quella
di una persona influenzata.
«Tutto
bene?». Gli chiese.
«Sì». Gli rispose.
«Prendi
le medicine, quelle che ti ho lasciato sul tavolo». Gli disse con tanta
premura.
«Certo».
Gli rispose e dopo, chiuse la chiamata.
Dopo
aver tolto varie cianfrusaglie, trovò quella scatola. La prese in mano e
s’accorse che era davvero pesante e per questo, la posò subito in terra.
La
guardava come se fosse un tesoro, per un ultimo istante si chiese se fosse
giusto invadere la privacy di suo padre.
No,
non era giusto, questo lo sapeva bene; ma arrivato a questo punto doveva
capire. Si mise a sedere per terra e dalla tasca dei suoi pantaloni tirò fuori
delle forbici, le aprì e cominciò a passare la punta sullo scotch. Fece tutto
il giro della scatola e alla fine, il coperchio si staccò dallo scotch.
Mise
le mani sul coperchio, chiuse gli occhi e sopirò per farsi coraggio e poi, lo
alzò e lo mise di fianco a se.
Incominciò
a votare quella scatola gigante. Cominciò a togliere le prime cose, vecchi
giocattoli di suo padre. Si fermò a guardarli uno a uno, nonostante fossero
d’epoca, erano davvero carini.
Cominciò
a togliere altre cose, quando arrivò a una cartella, l’aprì e l’appoggiò per
terra, dopo, s’accorse che conteneva dei fogli. Incominciò a guardareli uno ad
uno. Trovò pagelle, esami medici e altri fogli che non sapeva che cosa fossero.
Alla
fine, arrivò a un foglio in cui c’era scritto che era stato adottato dai
suoi nonni; allora era tutto vero. In
quell’istante, si mise il cuore in pace; ora sapeva la verità e che quello che
aveva sentito da suo padre era la verità.
Continuò
a cercare altri fogli, nella speranza di sapere chi erano o chi sono i suoi
genitori naturali; ma oltre a quel foglio, non c’era altro.
Ora
sapeva che suo padre era stato adottato, ma non poteva esserne certo al cento
per cento che Claus fosse suo nonno.
Preso
dalla curiosità, continuò a curiosare dentro quella scatola, tanto, non aveva
nient’altro da fare.
Trovò
il diario di suo padre, lo aprì, anche se sapeva che non l’avrebbe dovuto
leggere, per non invadere la sua privacy.
“Sono piccolo..., sono piccolo in
mezzo a un mondo di grandi. Mi credono un bambino, sono un bambino, ma sono più
grande della mia età, capisco cose che i miei coetanei, non le capirebbero mai.
Li ho sentiti…”.
Henry
guardò quelle pagine ingiallite dal tempo e l’inchiostro che era stato sbavato
da delle lacrime, che erano cadute sulla pagina.
“Li ho sentiti, quella notte
maledetta…
Io volevo soltanto un bicchiere
d’acqua, avevo solo sete…
Erano li sul divano davanti alla
televisione e parlavano credendomi a letto; no, io non ero a letto ero lì,
dietro quella parete.
La verità mi è venuta in faccia,
come un treno in corsa e io…
Io non la volevo sapere, adesso a
dieci anni e in quel modo…
Di quella sera ricordo tante cose,
ma quella che mi è rimasta impressa ancora oggi, sono le lacrime silenziose e
strazianti.
Mi sono sempre chiesto perché ero
diverso, i miei lineamenti erano diversi.
Perché ero biondo chiaro, con occhi
azzurri chiari, la pelle chiara e le lentiggini sul naso, quando il resto della
famiglia aveva i capelli marroni scuri, gli occhi verdi o marroni e la pelle
più scura della mia.
Quando gli chiedevo perché ero
diverso, mi rispondevano che ero un dono, ero speciale.
Ero speciale, ero un dono, perché
mi avevano scelto.
Non gliel’ho mai detto che l’avevo
scoperto e quando sono cresciuto, me l’hanno detto e ho dovuto far finta di
essere sorpreso.
Mi porto questa cosa dentro di me
da sempre e a volte vorrei… vorrei solo gridare… e buttare fuori il dolore, far sentire a qualcuno come mi ha fatto a
pezzi e raccontare che lo avevo già scoperto in tenera età”.
Queste
erano le parole di suo padre, quando aveva all’incirca la sua età; non appena
finì di leggere, Henry si mise a piangere in un modo straziante, per tutto quel
dolore che aveva letto in quelle pagine. Quando si calmò, continuò a leggere
quel diario fino alla fine.
Non
appena avesse rivisto suo padre, gli avrebbe detto quanto fosse speciale per
lui.
In
quell’istante, si pentì di essere solo in casa, aveva bisogno di essere
consolato e una spalla su cui piangere. Lasciò la soffitta e andò in cucina per
chiamare la sua amica June.
Non
appena sentì suonare alla porta, andò ad aprirle.
Non
appena arrivò lui la fece entrare, nel frattempo per distrarsi aveva preparato
una pasta per pranzo.
«Ciao».
Gli disse.
«Ciao».
Le rispose Henry.
Lei
lo guardò e capì, con un solo sguardo che c’era qualcosa che non andava.
«Che
c’è?». Gli chiese, ma poi si ricordò di una cosa che gli aveva detto giorni
prima.
«Ma
te non dovevi essere in campeggio?». Gli chiese ancora.
Gli
spiegò tutto quello che aveva fatto per non andare in campeggio, senza però
spiegarle il motivo.
«Sai
mantenere il segreto?». Le chiese.
«Certo».
Gli rispose.
Allora
lui si mise a piangere, piangere per buttare fuori tutto quel dolore che
provava nel suo cuore. Lei gli s’avvicinò per abbracciarlo e lui continuò a
piangere con la testa appoggiata sulla sua spalla.
Dopo,
si sentì sollevato, mangiarono e giocarono per il resto della giornata.
Il
clima in Lapponia era diventato molto rigido già da un po’ di tempo; era già da
molto tempo che Claus e i suoi collaboratori avevano riposto i vestiti più
leggeri per passare a quelli più pesanti.
La
città dove abitava Claus, diventava sempre più bianca giorno dopo giorno. I
tetti e tutte le piante venivano ricoperte da un manto bianco. La neve spazzava
via i colori, per creare qualcosa di ancora più magico e suggestivo.
Era
così arrivato novembre e mancavano due mesi a natale. Per la strada non c’era
ancora un addobbo, ma era giusto così.
Infatti,
a Claus non gli piaceva quando le persone e i negozianti addobbavano prima del
tempo, non gli piaceva neanche chi vendeva i dolci natalizi prima del tempo,
rendendo questa festa bellissima, soltanto una commercialata.
Era
dall’inizio di settembre che lavorava al natale 2014, ma ora, a novembre, la
sua intensità lavorativa era aumentata a dismisura.
Lavorava
dal mattino alla sera e aveva solo tempo per dormire; ma gli stava bene così,
la cosa bella nel suo lavoro, se si può chiamare così, è il donare agli altri
senza avere niente in cambio.
Per
rilassarsi dal duro lavoro della giornata, si mise a sorseggiare una cioccolata
calda davanti al camino.
In
questo periodo, gli incominciavano ad arrivare le prime lettere da tutte quelle
persone che gli chiedevano i regali.
Il
suo amico postino, aveva incominciato a portargli tutti quei sacchi pieni di
lettere.
Ne
prese un paio e le aprì.
“Ciao Claus sono Gianni,
ti voglio ringraziare te e tutti i
tuoi aiutanti, per averci potuto far passare un natale felice a me, mia moglie
e i miei figli.
Ringrazia Henry e tuo fratello per
aver abbassato le tasse”.
“Ciao Claus sono Christian,
sono solo un bambino, so che c’è
sempre la crisi. Non ti chiedo un regalo in particolare, portami quelle che
puoi.
P.S. adoro la musica”.
Ne
leggeva tantissime di lettere come queste, in cui lo ringraziavano per quello
che avevano fatto lo scorso natale e volte, lo facevano perfino commuovere o
ridere, per la semplicità, la complessità e le storie delle persone.
Dopo
un po’ di tempo, si trasferì davanti al computer e insieme ai sui elfi
tecnologici incominciò ad annotare tutti i regali che gli chiedevano le persone.
Era un lavoro molto noioso, perché ci voleva molta concentrazione, non potevano
sbagliare; altrimenti si sarebbero ritrovati con più regali da comprare e i
soldi erano contati.
Per
questo motivo, ogni tanto, gli elfi tecnologici e Claus, s’alzavano dal
computer per bere del tè o della cioccolata calda.
L’elfo
contabile, era già da diversi giorni che aveva incominciato a fare una lista
delle materie prime da comprare. Aveva stabilito anche un budget da spendere e
non lo potevano superare.
Un
elfo incominciò a mettere le catene al furgone, perché fuori, c’era già tanta
neve.
Claus,
l’elfo contabile e altri elfi, si vestirono per uscire fuori, con giacca,
cappello, sciarpa e guanti.
Dopo,
salirono a bordo e Claus si mise alla guida; gli piaceva davvero guidare,
perché in quel momento, si rilassava. Pochi minuti dopo, accese la radio e non
appena partì la musica, incominciò a fischiettare allegramente.
«Sei
felice?». Gli chiese l’elfo contabile.
«Sì».
Ammise Claus con un sorriso.
Non
appena arrivarono, presero dei carrelli ed entrarono dentro il negozio
grandissimo, che se non stavano attenti, si sarebbero potuti perdere.
Comprarono
tutto quello che gli serviva e poi tornarono a casa, con il furgone, pieno di
materie prime.
«Pensi
che prima o poi riusciremo a costruire da noi tutti regali?». Chiese Claus
all’elfo contabile.
«No,
ci saranno sempre delle persone che chiedono qualcosa di specifico». Gli
rispose.
Claus
si voltò verso di lui e gli sorrise.
«Va
bene!, ma costruire i regali è diventata la nostra filosofia di vita». Gli
disse Claus.
«Sì».
Gli rispose l’elfo contabile.
Claus
era appena tornato a casa, dopo aver acquistato le materie prime per costruire
i regali. Si tolse il giacchetto e per rilassarsi, decise di mettersi al
computer per parlare con Henry.
Era
quasi l’ora d cena, tra pochi minuti sarebbe andato a mangiare, ma gli andava
comunque di sentire la voce di Henry.
Inoltrò
la chiamata e Henry gli rispose dopo pochi secondi.
«Ciao».
Gli disse Claus.
«Ciao».
Gli rispose, in un modo veramente spento e privo di emozioni. Henry si mise a
sedere e si posizionò di fronte alla sua webcam.
«Era
davvero tanto che non ci si sentiva?». Gli chiese e dopo, si mise a sorseggiare
un’altra tazza di cioccolato caldo.
«Già».
Gli disse Henry con un sorriso, ma Claus aveva capito che era finto e che c’era
qualcosa che lo preoccupava. Claus era l’unico che riusciva a capire se Henry
era triste.
«Sei
contento che Clary e mio fratello William si sono messi insieme?». Gli chiese
Henry.
«Certo,
William è davvero un bravo ragazzo. Come tutti voi». Gli rispose.
«Anch’io
sono contento che si siano messi insieme». Gli disse Henry.
A
Claus venne in mente che sua figlia Clary gli aveva detto che William e la sua
famiglia sarebbero andati in campeggio.
«Non
siete partiti?». Gli chiese Claus incuriosito.
«Sì,
loro sono partiti e io no…». Disse e poco dopo, abbassò la testa.
«Come
mai?». Gli chiese Claus.
Henry
alzò il volto fino a incontrare gli occhi di Claus.
«È
una storia troppo lunga da spiegare». Non gli voleva dare nessuna spiegazione.
Claus stava per salutarlo, quando lo sentì parlare.
«Ho
scoperto una cosa per caso e questa cosa mi ha fatto diventare triste. Volevo
verificare se questa cosa fosse vera, ma prima di farlo, ho scoperto un’altra
cosa molto bella, ma anche questa cosa, non so se sia vera.
Poi,
per scoprire se la prima cosa era vera, ho dovuto fare una cosa che non avrei
mai dovuto fare». Gli spiegò Henry.
«Non
ho capito niente». Gli disse.
«Va
bene così, non voglio che tu capisca. Ti dovrò fare una domanda, ma non te la
posso fare in questo modo, te la dovrò fare di persona».
«Va
bene». Gli rispose Claus.
La
domenica in tarda serata ritornò tutta la sua famiglia. Non appena ritornò la
sua famiglia, Henry si mise a recitare la parte del finto malato; era un attore
nato.
Così,
si mise il pigiama per far finta di essere malaticcio e scese le scale per
andargli ad aprire la porta. Vide per prima sua madre.
«Stai
meglio?». Gli chiese.
«Sì».
Gli rispose Henry, con un sorriso.
Dopo
vide il resto della sua famiglia e li salutò tutti quanti con baci e abbracci.
«Vi
siete divertiti?». Gli chiese Henry.
«Certo,
ma ci sei mancato ». Gli rispose Neal.
Il
loro padre si mise a svuotare tutta la macchina; portò in casa tutte le cose
che avevano messo nel bagagliaio e dopo, le mise apposto.
Sua
madre andò in cucina e sentì un buon profumino.
«Hai
cucinato per noi, patate e wurstel al forno». Gli disse, mentre annusava il
buon profumo che sentiva nell’aria e dopo, gli venne l’acquolina in bocca.
Henry
alzò le spalle e le sorrise.
«Non
avevo niente da fare, mi annoiavo e poi mi sentivo meglio». Le disse.
Cenarono
e i ragazzi passarono il resto della serata a sistemare la cucina.
Sparecchiarono, lavarono i piatti e dopo li misero apposto.
«Venite
qua, avvicinatevi». Disse Henry ai suoi fratelli.
I
suoi fratelli s’avvicinarono a lui e lo guardarono dritto negli occhi.
«Quando
i nostri genitori vanno a letto, dopo una mezz’oretta, mi raggiungerete in
mansarda vi devo parlare di una cosa che ho scoperto». Continuò a parlare a
bassa voce e tutti i suoi fratelli annuirono.
Dopo
aver finito le pulizie, andarono a vedersi il film. Dopo un’ora e mezzo il film
finì e tutti quanti andarono a letto. I ragazzi andarono nelle loro camere e
indossarono il pigiama, si misero a letto e spensero la luce grande al centro
della stanza e accesero quella sul comodino per rimanere svegli.
Nel
frattempo Henry s’era incamminato in punta di piedi e cercando di fare meno
silenzio possibile, fino alla soffitta.
Si
mise ad aspettare i suoi fratelli e nel frattempo cercò di trovare le parole
giuste da dirgli. S’avvicinò nuovamente a quella scatola e l’apri per prendere quello che gli sarebbe
servito.
Mezzora
dopo, sentì qualcuno montare le scale e quando s’aprì la porta, vide i suoi
fratelli entrare nella soffitta.
Si
misero a sedere intorno a lui, in mezzo a loro c’era una lampada che a malapena
riusciva a illuminarli.
«C’è
una cosa che ho scoperto, quest’estate, mentre eravamo al campeggio. Papà nel
sonno ha detto, che i nostri nonni non sono i suoi genitori.
Poi
ho scoperto…». Disse Henry.
Tutti
lo guardavano con gli occhi spalancati, non riuscivano a credergli.
«Che
dici?, come fai a dire una cosa del genere». Disse William.
«Ne
ho le prove». Gli rispose Henry e gli passò il certificato di adozione che
aveva trovato.
Tutti
i suoi fratelli si misero a leggere quel foglio e incominciarono a credere alle
parole del fratello.
Lo
guardarono con occhi stralunati.
«Allora,
è vero». Disse William.
«Non
ci posso credere». Disse Daniel.
Henry
li osservava in silenzio, per capire le loro reazioni.
«Non
è finita qui». Disse Henry.
«Allora,
non sei venuto in campeggio per cercare delle prove e scoprire se quello che aveva
detto nostro padre era la verità. Hai ingannato nostra madre. Due giorni per
cercare, senza nessuno in casa, geniale». Gli disse Neal.
Henry
guardò suo fratello, certo che era geniale, ma quale delle sue idee non lo era.
«Guardate».
Disse Henry e gli passò una foto di Claus e loro padre.
«Notate
qualcosa?». Gli chiese.
I
suoi fratelli presero la lampada e l’avvicinarono alla foto e si misero ad osservarla; sembrava uno di quei giochi “indovina
le differenze”.
«No».
Dissero in coro.
«S’assomigliano
come due gocce d’acqua; la loro altezza è identica, il neo
sulla guancia è identico per forma e dimensione, la forma del naso e della
bocca sono identiche ed hanno lo stesso colore di capelli». Gli fece notare
Henry e allora, loro guardarono meglio la foto e non potevano non essere
d’accordo con lui.
«Lui
potrebbe essere nostro nonno». Disse Henry.
«Che
bello!». Esclamò Neal, preso da un momento di euforia.
William
s’alzò in piedi.
«Stai
scherzando!, vero!, se Claus è nostro nonno, lui è anche il padre di nostro
padre, Clary è la sorella di nostro padre, lei è mia zia e io sono suo nipote».
Disse con gli occhi stralunati.
«Che
casino!, sembra di essere dentro una soap-opera. Ma io la amo Clary e ora
scopro che lei è mia zia e io suo nipote». Si passò una mano sui capelli.
«Puoi
continuarla ad amare». Gli disse Henry.
«Siamo
parenti, non potremo più stare insieme». Gli disse, sembrava davvero disperato.
«Fregatene!».
Gli disse infine Henry e forse, riuscì perfino a convincerlo. Decise di non
fargli leggere quelle pagine del diario, non sarebbero servite a niente, se non
a farli sentire tristi per quello che aveva dovuto passare il loro padre.
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