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domenica 14 dicembre 2014

IT'S CHRISTMAS TIME PARTE 2: RACCONTARE LA VERITÀ #4

DISCLAIMER:
È assolutamente vietato copiare il contenuto dei post incentrati sulle mie storie. Tuttavia potete copiare la sinossi e condividere sui vostri blog la data d'uscita dei capitoli successivi.

Per leggere i capitoli della prima parte, clicca qui.

Per leggere il terzo capitolo di It's christmas time parte 2, clicca qui.

"Ecco il quarto capitolo, mi piace molto questo capitolo, non vi dico il motivo, per lasciarvelo scoprire, finalmente scoprirete la verità!. Ho quasi finito di editare il capitolo 9 e in settima dovrei iniziare a scrivere l'ultimo capitolo. 
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Fatemi sapere se vi piace questa storia, se avete da criticare, fatelo pure, perché le critiche sono costruttive. Mi piacerebbe ricevere un vostro giudizio. Grazie per aver letto questa storia. Non perdete il QUINTO CAPITOLO, IL 16 DICEMBRE ORE 21:00"

CAPITOLO 4: RACCONTARE LA VERITÀ

Era passato molto tempo da quando erano ritornati dalla vacanza al mare. Era stata davvero una bella vacanza, che era stata in grado di rigenerargli il corpo e lo spirito.
Tutti quanti erano ritornati più felici e avevano ritrovato la felicità.
William si era fidanzato con Clary. Il piccolo Henry ricordava ancora quella scena.
Tutti quanti stavano a sedere e a mangiare la cena squisita che aveva preparato il loro padre. Tutto a un tratto, William s’alzò in piedi e tutti quanti lo osservarono in un modo strano, visto che nella loro famiglia nessuno s’alzava se poi sapevano che alla fine, ci sarebbe stato anche il dolce.
William diventava sempre più rosso nel volto.
«Che c’è?». Gli chiese sua madre.
«Io…, io…». Disse e cominciò a balbettare, il che era strano, perché lui non lo faceva mai.
Allora Clary, s’alzò e s’avvicinò ancora di più a lui, fino a essere spalla a spalla. Lei gli prese la mano, soltanto a causa del buio della notte, nessuno di loro vide quel gesto.
«Io…, cioè noi sti… stia…». Disse Clary alla madre di William.
«State…». Disse la loro madre, ma William non le diede il tempo di parlare.
«Stiamo insieme». Le disse e dopo, alzò la mano per farle vedere che la teneva intrecciata con quella di Clary.
La loro madre e il loro padre sorrisero, quasi per incoraggiargli e fargli capire che erano felici.
«Lo sapevo, lo sapevo da tanto tempo che ti piaceva». Gli disse sua madre.
«Come facevi a saperlo, se non lo sapevo nemmeno io?». Le chiese William.
«Intuito di mamma». Gli rispose con un sorriso. 

Henry era uscito devastato da quella vacanza. Non era triste come quando si era sentito in colpa per la scomparsa di Neal, ma si sentiva lo stesso deluso da suo padre, quel padre che gli aveva mentito su una cosa così importante. Non c’era giorno che non pensava a quella frase che aveva detto suo padre; questa cosa lo tormentava.
Non sapeva se era vera, ma se lo fosse stato, avrebbe voluto sapere chi erano i veri genitori di suo padre.
Non sapeva come fare, lui era solo un bambino che cresceva giorno dopo giorno; non aveva alcun potere.

Così, senza nemmeno accorgersene, l’estate era passata, troppo in fretta.  È proprio vero che quando ci si diverte il tempo vola.
Era già autunno, quella stagione fantastica in cui tutta la natura assume tutte le gradazioni che vanno dal rosso al marrone.
Il clima era cambiato, diventando, con il passare dei giorni, sempre più freddo.
La loro vita era ritornata alla normalità: la scuola, lo sport e la vita di un normale teenager. I vestiti corti e leggeri avevano fatto posto a quelli lunghi e pesanti.

Era un venerdì sera di novembre, tutta la famiglia di Henry stava davanti al camino acceso a guardare un film. Era un abitudine di famiglia passare qualche serata insieme. Erano tutti felici e sorridevano sempre, soprattutto quando guardavano i film che facevano ridere.
Così, subito dopo cena si misero davanti alla televisione ad aspettare che iniziasse il film.
Henry non ne aveva voglia, era troppo stanco per i troppi compiti che gli davano a scuola.
Scese in cucina e decise di prepararsi una cioccolata calda.
Quando passò nell’ingresso, si fermò a osservarli e sorrise per la loro felicità. Li sentiva parlare del film che stavano per vedere.
«Il film finisce…». Disse William e dopo incominciò a sorridere.
Daniel gli saltò addosso per farlo smettere di parlare.
«Non lo dire». Lo minacciò Daniel.
Dopo suonò il cellulare di William.
«Ciao, Clary». Le disse, sulle sua faccia comparve un sorriso da ebete e subito dopo, le sue labbra s’incurvarono.
«Volevo darti la buonanotte». Gli disse.
«Buona notte anche a te». Le disse.
Neal lo guardava in un modo strano e non capiva la sdolcineria del fratello. D’altronde Neal era ancora piccolo e vivendo nel suo mondo infantile, fatto di giochi e cartoni animati, non riusciva capire cosa voleva dire essere innamorati di una persona.
«A domani, ti amo». Gli disse.
«Blee! Che smancerie». Disse Neal.
Quando Clary sentì le parole del fratellino di William, si mise a ridere, per la tenerezza di Neal.
«È mio fratello, anch’io ti amo». Le disse e chiuse la chiamata.
William s’avvicinò verso Neal e gli scompigliò i capelli.
«Un giorno, fratellino, anche tu sarai così sdolcinato». Gli disse.
«Non credo». Gli rispose.

Andò in cucina, prese una tazza, il latte dal frigo e la bustina per fare la cioccolata calda.
Mise il latte nella ciottola e non appena incominciò a bollire, ci buttò la polvere. Non appena fu pronta, prese la sua tazza, uscì dalla cucina e montò le scale per arrivare in camera sua.
Si mise davanti al computer e attese che Claus si collegasse al programma attraverso il quale avrebbe potuto parlargli.
Si mise ad attenderlo, ma non sapeva se si sarebbe collegato, perché il loro appuntamento fisso avveniva sempre di sabato.
Nel frattempo, si mise ad ascoltare la musica e a navigare sulla rete. Dopo un po’ di tempo, si cominciò ad annoiare perché Claus non si era connesso; così, decise di uscire dal programma per fare le video chiamate.
Continuando a sentire la musica, aprì la cartella che conteneva tutte le foto del natale scorso e del viaggio di pasqua.
Mentre correva quelle immagini, a volte sorrideva, al ricordo degli attimi in cui erano state scattate quelle foto. Si mise anche a guardare qualche video.
Stava scorrendo velocemente le immagini, quando, tutto a un tratto, notò qualcosa di strano su una foto in particolare.
Tornò indietro molto lentamente, fino a incontrare l’immagine incriminata. Si fermò su quella e dopo averla osservata, decise di aprirla con un programma di editing fotografico.
Non appena, si aprì il programma, aprì anche la foto e la ingrandì aumentando il rapporto di scala.
La foto raffigurava suo padre e Claus abbracciati, erano felici e sorridenti e ognuno teneva una mano sulla spalla dell’altro. La cosa che colpì Henry fu la loro altezza, era identica, poi notò un neo, sulla guancia, identico per forma e dimensione, la forma del naso e della bocca erano identiche.
Andò a cercare due foto di Claus: una di quando era bambino e l’altra di quando era adolescente. Dopo una lunga ricerca, le trovò e anche quelle immagini gli confermarono che avevano lo stesso colore dei capelli e la stessa attaccatura dei capelli sulla fronte.
Per qualche minuto, rimase senza fiato, fissava quelle immagini e le confrontò più volte, per essere sicuro di aver visto quelle somiglianze e di non essersi sbagliato.
Non aveva dubbi, adesso era sicuro che c’erano quelle somiglianze.
Forse Claus, era il padre di suo padre, ovvero suo nonno; questa cosa spiegava anche il motivo per il quale, ogni volta che si trovava vicino a Claus si sentiva legato a lui.
Adesso, credeva di avere una spiegazione, ma non poteva esserne certo al cento per cento; tutte quelle somiglianze potevano essere una coincidenza.
Sapeva che cosa doveva fare per cercare le risposte; una cosa  che non avrebbe dovuto fare e nel caso in cui suo padre l’avesse scoperto, si sarebbe arrabbiato.
Così, mentre tutti erano a guardare il film, Henry s’era già messo il pigiama per andare a letto; prima d’addormentarsi ripensò al suo piano. Doveva essere perfetto nei minimi dettagli, un solo errore avrebbe potuto compromettere tutto quanto.

La mattina tutti quanti si svegliarono molto presto, alle prime luci dell’alba. Mentre tutti quanti s’incominciavano a svegliare e fare casino, Henry stava sotto le coperte. Sentiva il rumore dei loro passi, le porte che s’aprivano e chiudevano e i rumori provenienti dalla cucina.
Questo faceva parte del suo piano, stava per fare una cosa che non aveva mai fatto in tutta la sua vita; perché riteneva sbagliato mentire, ma questa volta, sarebbe stato diverso, sarebbe stato per scoprire la verità.
Tutta la sua famiglia sarebbe andata in campeggio in montagna, per l’intero weekend.
Tutto d’un tratto, sentì i passi di qualcuno che stava salendo le scale, dopo, qualcuno aprì la porta. Sua madre s’avvicinò al letto di Henry e lo scosse leggermente toccandolo sulla spalla.
Henry si girò verso la madre, si stirò allungando le braccia e sbadigliò. Fece finta di svegliarsi.
«Alzati». Gli disse.
«No, non vengo». Le rispose.
«Su!, non fare lo scemo». Esclamò sua madre.
Henry si rigirò, dando le spalle a sua madre.
«Dai!». Esclamò e poi lo scosse. Sua madre si mise a sedere sul suo letto.
Henry si rigirò verso la madre e la guardò negli occhi, nel frattempo, senza farsi vedere si era messo della crema al mentolo sotto gli occhi, per farli diventare lucidi.
«Non sto bene». Le disse e dopo, tossì per finta.
«Devo avere la febbre». Le disse, dopo qualche secondo.
Sua madre gli toccò la fronte, per vedere se era caldo. Henry s’era messo una maglia di lana sotto al pigiama e aveva messo due coperte in più dentro al letto, per farsi alzare la temperatura e fingere di essere sudato.
«Sei un po’ caldo». Gli disse.
Sua madre si alzò dal letto, per andare a prendere il termometro, che teneva nella sua camera da letto.
Gli diede il termometro e lui se lo mise sotto al braccio. Dopo, sua madre uscì dalla sua camera e lui ne approfittò per attuare il trucchetto che aveva imparato su internet.
Prese il termometro e incominciò, delicatamente e senza romperlo a strusciare la punta sulla lana, fino a quando non raggiunse la temperatura di circa trentotto gradi.
«Mamma!». Gridò e dopo pochi minuti la vide apparire nella sua camera. Lei s’avvicinò a Henry con un espressione del volto davvero preoccupata. Henry allungò il braccio per darle il termometro. Tossì ancora e dal comodino prese un fazzoletto per soffiarsi il naso; era tutta scena, era un attore nato.
«Trestasette e otto». Disse preoccupata.
Lui la guardò in silenzio.
«Non possiamo partire». Gli disse.
«No, dovete partire». Le rispose, per convincerla a partire. Dovevano partire; doveva essere solo per fare quello che aveva in mente. Avrebbe avuto due giorni per capire se suo padre era stato adottato.
Doveva convincerla a partire, non poteva sprecare un occasione come questa.
«Non è tanto alta la febbre, se stai male, puoi chiamare i nonni». Gli disse, cercando di capire attraverso lo sguardo quanto stesse veramente male.
La parola “nonni”, risuonò nella mente di Henry; adesso aveva un significato diverso per lui. Non aveva niente in comune con quelle persone, se non il fatto che l’avevano cresciuto.
Gli voleva bene, ma non c’era un legame di sangue con i suoi nonni.
In quell’istante, si rattristì e la sua espressione del volto s’incupì. Chiuse gli occhi, per cercare di non piangere, fu una lotta contro se stesso, fu una lotta contro i suoi sentimenti. Quando li riaprì, non gli cadde nessuna lacrima, ma erano diventati lucidi.
Sua madre guardò gli occhi di Henry e scambiò il fatto che fossero diventati lucidi con la febbre. Non sapeva, non sapeva che Henry era a pezzi da quando aveva sentito pronunciare quelle parole.
«Certo». Le rispose.
 Sua madre gli sorrise e gli dette un bacio sulla fronte.
«Invita June, per farti compagnia». Gli consigliò.
«Certo, la chiamerò e se potrà la inviterò a farmi compagnia». Le disse.
Sua madre lasciò la camera e dopo, si voltò a guardarlo. Una parte di lei,  si sentiva in colpa; ma allo stesso tempo, capiva che il suo bambino era diventato grande. Questa cosa l’aveva capito da quando era scappato di casa per salvare il natale.
Sebbene fosse ancora piccolo, si era sempre comportato in modo più maturo rispetto ai ragazzi della sua età.
Henry rimase sotto le coperte, facendo finta di essere malato, fino a quando non li sentì partire con la macchina.
A quel punto, smise di fingere e s’alzò dal letto, si spogliò, togliendosi la maglia di lana che s’era messo sotto al pigiama, si rimise la maglia del pigiama e andò a fare colazione.
Era lì, solo, davanti alla tazza di latte fumante e una scatola di cereali. Non aveva paura di stare da solo in casa, era in grado di badare a se stesso, farsi da mangiare e fare tutte quelle cose che ogni persona fa quotidianamente.
Si sentiva in colpa per averle mentito.
Dopo un oretta, era quasi sicuro che non sarebbero tornati indietro; da qui in avanti avrebbe attuato il suo piano, ma prima di questo, si fece una doccia bella rinfrescante.
Quando fu pronto, si vestì e andò in soffitta. Lui era sempre stato un ragazzo curioso e gli piaceva stare in soffitta a curiosare tra le cose vecchie della famiglia.
Una volta, per sbaglio aveva trovato una scatola in cui c’era scritto il nome di suo padre; la cosa strana di questa scatola era che era nascosta, come se non dovesse essere trovata.
All’epoca era molto più piccolo e non l’aprì, ma questa volta l’avrebbe aperta e avrebbe scoperto la verità. Aveva paura di scoprire la verità, ma voleva saperla; non si può vivere nel dubbio.
Dopo aver fatto una rampa di scale, arrivò in soffitta e il suo cuore incominciò a battere all’impazzata.
Una volta arrivato chiuse la porta e incominciò a cercare quella scatola. Si guardò un po’ intorno e poi, si ricordò il posto in cui l’aveva vista l’ultima volta. S’avvicinò all’angolo, dove sapeva esserci quella scatola, quando, tutto a un tratto, gli suonò il cellulare. S’accorse che era sua madre.
«Pronto». Disse tappandosi il naso con le dita, per far sembrare la sua voce come quella di una persona influenzata.
«Tutto bene?». Gli chiese.
 «Sì». Gli rispose.
«Prendi le medicine, quelle che ti ho lasciato sul tavolo». Gli disse con tanta premura.
«Certo». Gli rispose e dopo, chiuse la chiamata.
Dopo aver tolto varie cianfrusaglie, trovò quella scatola. La prese in mano e s’accorse che era davvero pesante e per questo, la posò subito in terra.
La guardava come se fosse un tesoro, per un ultimo istante si chiese se fosse giusto invadere la privacy di suo padre.
No, non era giusto, questo lo sapeva bene; ma arrivato a questo punto doveva capire. Si mise a sedere per terra e dalla tasca dei suoi pantaloni tirò fuori delle forbici, le aprì e cominciò a passare la punta sullo scotch. Fece tutto il giro della scatola e alla fine, il coperchio si staccò dallo scotch.
Mise le mani sul coperchio, chiuse gli occhi e sopirò per farsi coraggio e poi, lo alzò e lo mise di fianco a se.
Incominciò a votare quella scatola gigante. Cominciò a togliere le prime cose, vecchi giocattoli di suo padre. Si fermò a guardarli uno a uno, nonostante fossero d’epoca, erano davvero carini.
Cominciò a togliere altre cose, quando arrivò a una cartella, l’aprì e l’appoggiò per terra, dopo, s’accorse che conteneva dei fogli. Incominciò a guardareli uno ad uno. Trovò pagelle, esami medici e altri fogli che non sapeva che cosa fossero.
Alla fine, arrivò a un foglio in cui c’era scritto che era stato adottato dai suoi  nonni; allora era tutto vero. In quell’istante, si mise il cuore in pace; ora sapeva la verità e che quello che aveva sentito da suo padre era la verità.
Continuò a cercare altri fogli, nella speranza di sapere chi erano o chi sono i suoi genitori naturali; ma oltre a quel foglio, non c’era altro.
Ora sapeva che suo padre era stato adottato, ma non poteva esserne certo al cento per cento che Claus fosse suo nonno.
Preso dalla curiosità, continuò a curiosare dentro quella scatola, tanto, non aveva nient’altro da fare.
Trovò il diario di suo padre, lo aprì, anche se sapeva che non l’avrebbe dovuto leggere, per non invadere la sua privacy.

“Sono piccolo..., sono piccolo in mezzo a un mondo di grandi. Mi credono un bambino, sono un bambino, ma sono più grande della mia età, capisco cose che i miei coetanei, non le capirebbero mai.
Li ho sentiti…”.

Henry guardò quelle pagine ingiallite dal tempo e l’inchiostro che era stato sbavato da delle lacrime, che erano cadute sulla pagina.

“Li ho sentiti, quella notte maledetta…
Io volevo soltanto un bicchiere d’acqua, avevo solo sete…
Erano li sul divano davanti alla televisione e parlavano credendomi a letto; no, io non ero a letto ero lì, dietro quella parete.
La verità mi è venuta in faccia, come un treno in corsa e io…
Io non la volevo sapere, adesso a dieci anni e in quel modo…
Di quella sera ricordo tante cose, ma quella che mi è rimasta impressa ancora oggi, sono le lacrime silenziose e strazianti.
Mi sono sempre chiesto perché ero diverso, i miei lineamenti erano diversi.
Perché ero biondo chiaro, con occhi azzurri chiari, la pelle chiara e le lentiggini sul naso, quando il resto della famiglia aveva i capelli marroni scuri, gli occhi verdi o marroni e la pelle più scura della mia.
Quando gli chiedevo perché ero diverso, mi rispondevano che ero un dono, ero speciale.
Ero speciale, ero un dono, perché mi avevano scelto.
Non gliel’ho mai detto che l’avevo scoperto e quando sono cresciuto, me l’hanno detto e ho dovuto far finta di essere sorpreso.
Mi porto questa cosa dentro di me da sempre e a volte vorrei… vorrei solo gridare… e buttare fuori il dolore,  far sentire a qualcuno come mi ha fatto a pezzi e raccontare che lo avevo già scoperto in tenera età”.

Queste erano le parole di suo padre, quando aveva all’incirca la sua età; non appena finì di leggere, Henry si mise a piangere in un modo straziante, per tutto quel dolore che aveva letto in quelle pagine. Quando si calmò, continuò a leggere quel diario fino alla fine.
Non appena avesse rivisto suo padre, gli avrebbe detto quanto fosse speciale per lui.
In quell’istante, si pentì di essere solo in casa, aveva bisogno di essere consolato e una spalla su cui piangere. Lasciò la soffitta e andò in cucina per chiamare la sua amica June.
Non appena sentì suonare alla porta, andò ad aprirle.
Non appena arrivò lui la fece entrare, nel frattempo per distrarsi aveva preparato una pasta per pranzo.
«Ciao». Gli disse.
«Ciao». Le rispose Henry.
Lei lo guardò e capì, con un solo sguardo che c’era qualcosa che non andava.
«Che c’è?». Gli chiese, ma poi si ricordò di una cosa che gli aveva detto giorni prima.
«Ma te non dovevi essere in campeggio?». Gli chiese ancora.
Gli spiegò tutto quello che aveva fatto per non andare in campeggio, senza però spiegarle il motivo.
«Sai mantenere il segreto?». Le chiese.
«Certo». Gli rispose.
Allora lui si mise a piangere, piangere per buttare fuori tutto quel dolore che provava nel suo cuore. Lei gli s’avvicinò per abbracciarlo e lui continuò a piangere con la testa appoggiata sulla sua spalla.
Dopo, si sentì sollevato, mangiarono e giocarono per il resto della giornata.

Il clima in Lapponia era diventato molto rigido già da un po’ di tempo; era già da molto tempo che Claus e i suoi collaboratori avevano riposto i vestiti più leggeri per passare a quelli più pesanti.
La città dove abitava Claus, diventava sempre più bianca giorno dopo giorno. I tetti e tutte le piante venivano ricoperte da un manto bianco. La neve spazzava via i colori, per creare qualcosa di ancora più magico e suggestivo.
Era così arrivato novembre e mancavano due mesi a natale. Per la strada non c’era ancora un addobbo, ma era giusto così.
Infatti, a Claus non gli piaceva quando le persone e i negozianti addobbavano prima del tempo, non gli piaceva neanche chi vendeva i dolci natalizi prima del tempo, rendendo questa festa bellissima, soltanto una commercialata.
Era dall’inizio di settembre che lavorava al natale 2014, ma ora, a novembre, la sua intensità lavorativa era aumentata a dismisura.
Lavorava dal mattino alla sera e aveva solo tempo per dormire; ma gli stava bene così, la cosa bella nel suo lavoro, se si può chiamare così, è il donare agli altri senza avere niente in cambio.
Per rilassarsi dal duro lavoro della giornata, si mise a sorseggiare una cioccolata calda davanti al camino.
In questo periodo, gli incominciavano ad arrivare le prime lettere da tutte quelle persone che gli chiedevano i regali.
Il suo amico postino, aveva incominciato a portargli tutti quei sacchi pieni di lettere.
Ne prese un paio e le aprì.

“Ciao Claus sono Gianni,
ti voglio ringraziare te e tutti i tuoi aiutanti, per averci potuto far passare un natale felice a me, mia moglie e i miei figli.
Ringrazia Henry e tuo fratello per aver abbassato le tasse”.

“Ciao Claus sono Christian,
sono solo un bambino, so che c’è sempre la crisi. Non ti chiedo un regalo in particolare, portami quelle che puoi.
P.S. adoro la musica”.

Ne leggeva tantissime di lettere come queste, in cui lo ringraziavano per quello che avevano fatto lo scorso natale e volte, lo facevano perfino commuovere o ridere, per la semplicità, la complessità e le storie delle persone.
Dopo un po’ di tempo, si trasferì davanti al computer e insieme ai sui elfi tecnologici incominciò ad annotare tutti i regali che gli chiedevano le persone. Era un lavoro molto noioso, perché ci voleva molta concentrazione, non potevano sbagliare; altrimenti si sarebbero ritrovati con più regali da comprare e i soldi erano contati.
Per questo motivo, ogni tanto, gli elfi tecnologici e Claus, s’alzavano dal computer per bere del tè o della cioccolata calda.

L’elfo contabile, era già da diversi giorni che aveva incominciato a fare una lista delle materie prime da comprare. Aveva stabilito anche un budget da spendere e non lo potevano superare.
Un elfo incominciò a mettere le catene al furgone, perché fuori, c’era già tanta neve.
Claus, l’elfo contabile e altri elfi, si vestirono per uscire fuori, con giacca, cappello, sciarpa e guanti.
Dopo, salirono a bordo e Claus si mise alla guida; gli piaceva davvero guidare, perché in quel momento, si rilassava. Pochi minuti dopo, accese la radio e non appena partì la musica, incominciò a fischiettare allegramente.
«Sei felice?». Gli chiese l’elfo contabile.
«Sì». Ammise Claus con un sorriso.
Non appena arrivarono, presero dei carrelli ed entrarono dentro il negozio grandissimo, che se non stavano attenti, si sarebbero potuti perdere.
Comprarono tutto quello che gli serviva e poi tornarono a casa, con il furgone, pieno di materie prime.
«Pensi che prima o poi riusciremo a costruire da noi tutti regali?». Chiese Claus all’elfo contabile.
«No, ci saranno sempre delle persone che chiedono qualcosa di specifico». Gli rispose.
Claus si voltò verso di lui e gli sorrise.
«Va bene!, ma costruire i regali è diventata la nostra filosofia di vita». Gli disse Claus.
«Sì». Gli rispose l’elfo contabile.

Claus era appena tornato a casa, dopo aver acquistato le materie prime per costruire i regali. Si tolse il giacchetto e per rilassarsi, decise di mettersi al computer per parlare con Henry.
Era quasi l’ora d cena, tra pochi minuti sarebbe andato a mangiare, ma gli andava comunque di sentire la voce di Henry.
Inoltrò la chiamata e Henry gli rispose dopo pochi secondi.
«Ciao». Gli disse Claus.
«Ciao». Gli rispose, in un modo veramente spento e privo di emozioni. Henry si mise a sedere e si posizionò di fronte alla sua webcam.
«Era davvero tanto che non ci si sentiva?». Gli chiese e dopo, si mise a sorseggiare un’altra tazza di cioccolato caldo.
«Già». Gli disse Henry con un sorriso, ma Claus aveva capito che era finto e che c’era qualcosa che lo preoccupava. Claus era l’unico che riusciva a capire se Henry era triste.
«Sei contento che Clary e mio fratello William si sono messi insieme?». Gli chiese Henry.
«Certo, William è davvero un bravo ragazzo. Come tutti voi». Gli rispose.
«Anch’io sono contento che si siano messi insieme». Gli disse Henry.
A Claus venne in mente che sua figlia Clary gli aveva detto che William e la sua famiglia sarebbero andati in campeggio.
«Non siete partiti?». Gli chiese Claus incuriosito.
«Sì, loro sono partiti e io no…». Disse e poco dopo, abbassò la testa.
«Come mai?». Gli chiese Claus.
Henry alzò il volto fino a incontrare gli occhi di Claus.
«È una storia troppo lunga da spiegare». Non gli voleva dare nessuna spiegazione. Claus stava per salutarlo, quando lo sentì parlare.
«Ho scoperto una cosa per caso e questa cosa mi ha fatto diventare triste. Volevo verificare se questa cosa fosse vera, ma prima di farlo, ho scoperto un’altra cosa molto bella, ma anche questa cosa, non so se sia vera.
Poi, per scoprire se la prima cosa era vera, ho dovuto fare una cosa che non avrei mai dovuto fare». Gli spiegò Henry.
«Non ho capito niente». Gli disse.
«Va bene così, non voglio che tu capisca. Ti dovrò fare una domanda, ma non te la posso fare in questo modo, te la dovrò fare di persona».
«Va bene». Gli rispose Claus.

La domenica in tarda serata ritornò tutta la sua famiglia. Non appena ritornò la sua famiglia, Henry si mise a recitare la parte del finto malato; era un attore nato.
Così, si mise il pigiama per far finta di essere malaticcio e scese le scale per andargli ad aprire la porta. Vide per prima sua madre.
«Stai meglio?». Gli chiese.
«Sì». Gli rispose Henry, con un sorriso.
Dopo vide il resto della sua famiglia e li salutò tutti quanti con baci e abbracci.
«Vi siete divertiti?». Gli chiese Henry.
«Certo, ma ci sei mancato ». Gli rispose Neal.
Il loro padre si mise a svuotare tutta la macchina; portò in casa tutte le cose che avevano messo nel bagagliaio e dopo, le mise apposto.
Sua madre andò in cucina e sentì un buon profumino.
«Hai cucinato per noi, patate e wurstel al forno». Gli disse, mentre annusava il buon profumo che sentiva nell’aria e dopo, gli venne l’acquolina in bocca.
Henry alzò le spalle e le sorrise.
«Non avevo niente da fare, mi annoiavo e poi mi sentivo meglio». Le disse.
Cenarono e i ragazzi passarono il resto della serata a sistemare la cucina. Sparecchiarono, lavarono i piatti e dopo li misero apposto.
«Venite qua, avvicinatevi». Disse Henry ai suoi fratelli.
I suoi fratelli s’avvicinarono a lui e lo guardarono dritto negli occhi.
«Quando i nostri genitori vanno a letto, dopo una mezz’oretta, mi raggiungerete in mansarda vi devo parlare di una cosa che ho scoperto». Continuò a parlare a bassa voce e tutti i suoi fratelli annuirono.
Dopo aver finito le pulizie, andarono a vedersi il film. Dopo un’ora e mezzo il film finì e tutti quanti andarono a letto. I ragazzi andarono nelle loro camere e indossarono il pigiama, si misero a letto e spensero la luce grande al centro della stanza e accesero quella sul comodino per rimanere svegli.
Nel frattempo Henry s’era incamminato in punta di piedi e cercando di fare meno silenzio possibile, fino alla soffitta.
Si mise ad aspettare i suoi fratelli e nel frattempo cercò di trovare le parole giuste da dirgli. S’avvicinò nuovamente a quella scatola e  l’apri per prendere quello che gli sarebbe servito.
Mezzora dopo, sentì qualcuno montare le scale e quando s’aprì la porta, vide i suoi fratelli entrare nella soffitta.
Si misero a sedere intorno a lui, in mezzo a loro c’era una lampada che a malapena riusciva a illuminarli.
«C’è una cosa che ho scoperto, quest’estate, mentre eravamo al campeggio. Papà nel sonno ha detto, che i nostri nonni non sono i suoi genitori.
Poi ho scoperto…». Disse Henry.
Tutti lo guardavano con gli occhi spalancati, non riuscivano a credergli.
«Che dici?, come fai a dire una cosa del genere». Disse William.
«Ne ho le prove». Gli rispose Henry e gli passò il certificato di adozione che aveva trovato.
Tutti i suoi fratelli si misero a leggere quel foglio e incominciarono a credere alle parole del fratello.
Lo guardarono con occhi stralunati.
«Allora, è vero». Disse William.
«Non ci posso credere». Disse Daniel.
Henry li osservava in silenzio, per capire le loro reazioni.
«Non è finita qui». Disse Henry.
«Allora, non sei venuto in campeggio per cercare delle prove e scoprire se quello che aveva detto nostro padre era la verità. Hai ingannato nostra madre. Due giorni per cercare, senza nessuno in casa, geniale». Gli disse Neal.
Henry guardò suo fratello, certo che era geniale, ma quale delle sue idee non lo era.
«Guardate». Disse Henry e gli passò una foto di Claus e loro padre.
«Notate qualcosa?». Gli chiese.
I suoi fratelli presero la lampada e l’avvicinarono alla foto e si misero  ad osservarla; sembrava uno di quei giochi “indovina le differenze”.
«No». Dissero in coro.
«S’assomigliano come due gocce d’acqua; la loro altezza è identica,  il  neo sulla guancia è identico per forma e dimensione, la forma del naso e della bocca sono identiche ed hanno lo stesso colore di capelli». Gli fece notare Henry e allora, loro guardarono meglio la foto e non potevano non essere d’accordo con lui.
«Lui potrebbe essere nostro nonno». Disse Henry.
«Che bello!». Esclamò Neal, preso da un momento di euforia.
William s’alzò in piedi.
«Stai scherzando!, vero!, se Claus è nostro nonno, lui è anche il padre di nostro padre, Clary è la sorella di nostro padre, lei è mia zia e io sono suo nipote». Disse con gli occhi stralunati.
«Che casino!, sembra di essere dentro una soap-opera. Ma io la amo Clary e ora scopro che lei è mia zia e io suo nipote». Si passò una mano sui capelli.
«Puoi continuarla ad amare». Gli disse Henry.
«Siamo parenti, non potremo più stare insieme». Gli disse, sembrava davvero disperato.

«Fregatene!». Gli disse infine Henry e forse, riuscì perfino a convincerlo. Decise di non fargli leggere quelle pagine del diario, non sarebbero servite a niente, se non a farli sentire tristi per quello che aveva dovuto passare il loro padre.

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