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Fatemi sapere se vi piace questa storia, se avete da criticare, fatelo pure, perché le critiche sono costruttive. Mi piacerebbe ricevere un vostro giudizio. Grazie per aver letto questa storia. Non perdete il QUARTO CAPITOLO, IL 14 DICEMBRE ORE 21:00"
CAPITOLO 3: SCOPERTA
La
primavera era passata lasciandosi, così, alle spalle tutta la bellezza dello
sfociare della natura primaverile; quei colori, che, quasi per magia, prendono
vita, rendendo il panorama ancora più mozzafiato.
Anche
l’estate ha la sua magia, il mare, il sole e gli amici. È anche molto bella la
pioggia estiva e il profumo che emana quando arriva a contatto con la terra.
Era
passato molto tempo, da quando Henry aveva visto Claus, gli mancava, gli
mancava davvero tanto.
Gli
mancava il calore della sua pelle, quando lo teneva stretto a se; gli bastava
chiudere gli occhi per ricordare l’ultimo abbraccio che gli aveva dato. Gli
bastava chiudere gli occhi, per vedere l’immagine di Claus sorridente; a volte,
placava la sua malinconia e altre volte, non gli bastava e il senso di vuoto
che sentiva dentro al suo cuore, rimaneva costante fino a quando la sua mente
si dimenticava di quel pensiero.
Claus
lo capiva con un solo sguardo; questa era una delle cose che più gli piacevano
di lui; riusciva a leggergli dentro, come se fosse un libro aperto.
Non
solo rimasero in contatto con Claus, ma anche con Gabriel e Clary.
L’amicizia
con i figli di Claus, aumentava giorno dopo giorno.
Durante
questi mesi, l’amicizia tra Clary e William era diventata sempre più profonda.
Passavano ore a parlare e quando Henry entrava in camera, William lo mandava
sempre via.
L’estate
era appena iniziata.
La
vita dei quattro ragazzi veniva completamente stravolta in questi tre mesi:
pace, tranquillità, mare e soprattutto niente scuola.
La
scuola piaceva a tutti e quattro i ragazzi, ma a giugno, sentivano il bisogno
di staccare la spina.
Erano
passati tutti quanti con il massimo dei voti; certo, poi c’era quella materia
verso la quale erano più portati e quella che gli piaceva di meno.
Erano
come una squadra e s’aiutavano persino nei compiti; per loro, chiedere aiuto,
non era un segno di debolezza, ma bensì era un segno di forza capire i propri
limiti.
La
loro vita cambiava molto in estate, andavano a letto più tardi, perché alla
sera gli piaceva stare svegli fino a mezzanotte a usare il computer. La mattina
potevano dormire di più.
In
genere, tendevano a fare tutti i compiti che gli avevano assegnato nel mese di
Giugno, per poi essere liberi per il resto dei giorni che gli rimaneva.
Henry
impiegava molto tempo a rispondere a tutti gli ammiratori che gli scrivevano
attraverso la sua pagina facebook. Impiegava delle ore a rispondere a tutti, ma
non era tempo perso.
“Ciao,
Grazie a te ho potuto festeggiare
il natale”.
Gli
scrisse un bambino che aveva all’incirca l’età di suo fratello Neal.
“Ciao,
Grazie a te ho potuto festeggiare
il natale insieme a mia moglie e i miei bellissimi bambini.
Senza di te non avrei potuto
regalargli niente”.
Gli
scrisse un adulto. Ricevere un e-mail di complimenti da parte di un adulto era
diverso rispetto a quella di un bambino o di un ragazzo. L’adulto lo faceva
sentire ancora più fiero per quello che aveva fatto.
Anche
per Claus era arrivata l’estate e a differenza dei ragazzi, per lui voleva dire
riposo assoluto, visto che già da settembre avrebbe dovuto cominciare a
lavorare al natale 2014. Gli piaceva stare seduto sulla veranda a leggere un
libro e sorseggiare il tè fatto in casa.
In
Lapponia, il tempo era cambiato, anche se non faceva caldo come dove abitava
Henry.
Claus,
a differenza delle altre persone, non gli piaceva tanto il mare; lui era più un
tipo da montagna.
Non
sopportava il caldo del mare, il senso di sudore che gli faceva sentire la
pelle appiccicata e la sabbia che gli si appiccicava addosso dopo che aveva fatto
il bagno e quando volava con il vento.
C’era
stato più volte al mare, perché i suoi figli l’adoravano, infatti,
ironicamente, per questa cosa, a volte, si domandava se fossero davvero i suoi
figli.
Ma
subito dopo aver pensato questa cosa, sorrideva sempre; ma certo che erano i
suoi figli. Gli bastava chiudere gli occhi per vedere le immagini dei suoi
figli al mare; a volte, quando gli prendeva la nostalgia dei vecchi tempi riguardava
gli album delle fotografie.
Fin
da piccoli, gli aveva insegnato ad amare la montagna e le camminate immerse
nella natura. Gli aveva insegnato tutto: come sapersi orientare con una
bussola, saper seguire i sentieri e capire quando davanti a loro c’era un
pericolo, ma soprattutto, gli aveva insegnato una cosa importante, il rispetto
della natura, che poi si era trasformato anche nel rispetto delle persone.
Gli
piaceva portarsi il pranzo al sacco e con uno zaino in spalla, avventurarsi in
montagna, dove la natura si era svegliata alla fine dell’inverno.
A
volte gli piaceva mettersi sotto a un albero, appoggiarsi con la testa al
tronco e mettersi a dormire, mentre il vento faceva ondeggiare gli alberi e
spostare l’ombra.
Prima
di dormire, con gli occhi chiusi, riusciva sempre a percepire tutte quelle
piccole cose che non riusciva a notare quando osservava con i suoi occhi. Gli
piaceva quando una folata di vento, faceva muovere tutta la natura che lo
circondava, andando, così a incrementare l’odore che sentiva attraverso il suo
naso.
In
quel preciso istante, svuotava la mente e non pensava a niente; all’istante
svanivano tutti i suoi problemi.
Ci
passava giornate intere, per poi, tornare al calar del sole, cenare e andare a farsi
una bella dormita.
Sulac
era sempre più impegnato nel suo lavoro di politico o come gli piaceva chiamare
“la sua missione”.
Certo,
nella sua vita, non faceva solo quello, altrimenti sarebbe impazzito; ogni
tanto, si concedeva una pausa, per prendere in mano un libro e leggerlo. Aveva
moltissimi hobby e a lui, come a Claus, gli piaceva la montagna.
Più
si guardava dentro e più si rendeva conto, del percorso stupendo che aveva
fatto. Era partito dal basso e piano piano, aveva conquistato la fiducia delle
persone che lo avevano votato, per farlo stare li, dov’era adesso. Forse, il
fatto di essere il fratello di Claus, l’aveva aiutato, gli aveva dato una
spinta, perché tutti quanti conoscevano bene la bontà di suo fratello; ma, alla
fine era stato lui a darsi la spinta finale e a far capire alle persone che il
mondo poteva essere diverso, in fondo, bastava solamente volerlo.
Tante
volte aveva ricevuto delle minacce, per le sue idee rivoluzionarie, ma lui, non
s’era mai lasciato condizionare. Lo sapeva bene che era pericoloso, ma anche se
aveva paura, non avrebbe mai mollato la sua battaglia.
Un
grosso cambiamento, porta sempre caos e persone in disaccordo con le nuove
regole. Anche i più grandi rivoluzionari della storia avevano dovuto soffrire
per raggiungere i loro intenti e lui, non sarebbe stato da meno.
Era
da un po’ di tempo che non riceveva minacce.
Come
tutte le mattine, dopo aver fatto colazione, aveva l’abitudine di controllare
la posta elettronica.
Così,
accese il modem e poi il computer e quando fu connesso a internet, aprì il programma
di posta elettronica.
Tanti
persone che lo stimavano gli mandavano ringraziamenti, c’era anche chi lo
criticava in modo costruttivo; lui riusciva a imparare molto da queste persone.
Tra
le centinaia di e-mail, fu colpito da una in particolare, perché il nome era
strano, con caratteri e numeri.
“Smettila con le tue manovre per
combattere la crisi o te ne pentirai”.
Era
un e-mail strana, non era sicuro, ma probabilmente non avrebbe potuto scoprire
il mittente, perché chi l’aveva mandata, sicuramente aveva fatto in modo da non
farsi scoprire; non era nemmeno firmata.
A
un primo istante, non appena lesse quell’e-mail, il suo cuore incominciò a
battere più forte. Chiuse gli occhi per qualche istante e dopo, si rilassò completamente.
Si
mise il cuore in pace, non aveva paura, non aveva paura di niente e di nessuno.
Lui avrebbe sconfitto la crisi.
Non
aveva paura per se o per la sua vita, ma per i suoi parenti, i suoi amici e la
famiglia di Henry.
In
questi mesi aveva portato avanti le sue idee, andando così a migliorare la
situazione economica delle persone. La strada era ancora lunga, in salita e piena
di ostacoli, ma alla fine, alla fine di tutto, ci sarebbe stata la vittoria.
Anche
l’estate stava avanzando sempre di più giorno dopo giorno; giugno e luglio,
erano passati. Era ormai agosto e Sulac sarebbe andato in ferie, aveva
assolutamente bisogno di staccare la spina e non pensare a niente, se non al
divertimenti e al rilassamento.
Per
questo decise di andare a passare il mese di agosto a casa di suo fratello.
A
lui piaceva molto la montagna e quelle lunghe passeggiate immerse nella natura.
Per questo, i due fratelli si volevano molto bene, avevano gli stessi interessi
ed erano pronti a mettere i problemi degli altri davanti ai loro.
Fin
da piccoli, il loro padre gli aveva insegnato a non essere egoisti e che nella
vita bisogna, dare e non solo avere; che poi, Claus, aveva tramandato anche ai
suoi figli.
Il
trentuno di luglio, dopo aver smesso di lavorare, andò subito a casa a
preparare la valigia, per poi prendere il volo, che lo avrebbe portato in
Lapponia.
Claus
si trovava nella sua veranda e accanto a lui c’era il suo elfo contabile.
Sorseggiava un tè freddo, sul calar del sole.
«Secondo
te come andrà questo natale?». Chiese Claus all’elfo contabile. L’elfo
contabile si era assopito e stava quasi per entrare nel mondo dei sogni. Aprì
gli occhi e si voltò verso Claus.
«Se
ti dico che sarà rosa e fiori, ti direi una bugia. Le politiche intraprese da
tuo fratello ci aiuteranno molto, ma non saranno sufficienti a coprire tutti i
nostri problemi, ci vorrà del tempo per rimettere in piedi l’economia». Gli
disse.
Claus
stette in silenzio e si mise a osservare il panorama mozzafiato che vedeva
davanti a se.
«Andrà
meglio rispetto all’anno scorso?». Gli chiese.
«Sì,
certo che andrà meglio». Disse l’elfo contabile. Dopo smise di parlare ed entrò
in casa per andare a prendere il suo tablet.
Quando
rientrò nella veranda, si mise nuovamente a sedere.
«Guarda
qui». Gli disse e dopo, gli passò il tablet.
Claus
si mise a leggere le e-mail.
«Vedi,
le persone ci stanno donando dei soldi. Ancora una volta, l’idea di Henry è
stata geniale». Gli disse l’elfo contabile con un sorriso.
«Sì,
Henry è davvero un ragazzo speciale». Disse Claus.
«Lo
è». Ammise anche l’elfo contabile.
Smisero
di parlare per qualche istante.
«Mi
manca, è da pasqua che non lo vedo. Ha volte ho la sensazione di di… a volte
vorrei…». Gli disse, senza continuare la frase.
«Che
cosa?». Gli chiese l’elfo.
«Niente…
lascia perdere». Disse Claus, che dentro di se sapeva che cosa voleva; voleva
una cosa che anche con tutta la buona volontà era impossibile da realizzare.
Chiuse
gli occhi, per rilassarsi e cercare di scacciare dalla mente quel pensiero che
fino a pochi secondi fa, era dentro la sua testa.
Quando
Sulac arrivò da suo fratello, suonò e dopo, Claus gli venne incontro per
aprirgli il cancello.
Nel
silenzio più assoluto, s’abbracciarono; finalmente erano insieme, dopo molti
mesi nei quali erano dovuti stare separati.
«Ciao».
Gli disse Sulac, dopo essersi sciolto dall’abbraccio di suo fratello.
«Ciao
anche a te, ci divertiremo molto quest’estate». Gli disse Claus con un sorriso.
«Già».
Gli rispose anche Sulac con un sorriso.
Passò
tutti i giorni insieme a Claus, cercando anche di aiutare l’elfo contabile, per
gestire al meglio i soldi da destinare al natale.
Infatti,
una parte dei soldi sarebbero stati destinati all’acquisto delle materie prime
e un’altra parte, all’acquisto dei regali già costruiti.
Passò
tutto il mese facendo passeggiate in montagna con il fratello e andando a fare
il bagno al lago.
Gli
piaceva molto di più il lago rispetto al mare, perché li si trovava completamente
circondato dalla natura e dal silenzio più assoluto.
Piano
piano, i giorni passavano, forse troppo in fretta rispetto a quelli lavorativi;
perché quando ci di diverte il tempo vola.
Finalmente
era arrivato agosto anche per Henry e la sua famiglia; loro erano abituati ad
andare in campeggio per tutto il mese.
L’anno
passato, non erano andati in vacanza, saltando così questa tradizione, perché
l’assenza di Neal, in qualche modo, gli aveva tolto il sorriso e la voglia di
vivere.
Da
sempre, il mese di luglio era destinato a fare una lista di tutte le cose da
portare via.
Di
solito era sempre la loro madre che si occupava della lista, si metteva li, a
sedere sul tavolo della cucina e con carta e penna, appuntava tutto quello che
gli sarebbe servito.
Poi,
s’annotava su un altro foglio tutte le cose che avrebbero dovuto comprare, sia
le cose da mangiare e che le cose da campeggio.
Una
settimana prima di partire i ragazzi e la loro madre avevano l’abitudine di
andare a fare la spesa, per comprare tutti gli alimenti che gli sarebbero
serviti durante il mese d’agosto che avrebbero trascorso in campeggio.
Poi
andavano in un negozio specializzato in oggetti da campeggio e compravano tutto
il necessario.
Così
alla mattina, dopo aver fatto colazione, si vestirono per poi, andare i vari
negozi in macchina.
«Voi
guidare tu?». Disse la loro madre a William e lui non si fece ripetere due
volte quelle parole.
La
madre gli lanciò le chiavi e lui le prese al volo.
Gli
altri ragazzi si misero a sedere dietro e la loro madre davanti nel posto da
passeggero.
«Sono
sicuro che non c’arriveremo mai al supermercato!». Disse Henry, sorridendo alle
sue stesse parole.
Anche
William si mise a sorridere.
«Malfidato!,
io so guidare e da quasi un anno che ho la patente!». Gli rispose.
«Io
non mi fido». Disse Henry.
«Io
non mi fido». Dissero insieme i tre ragazzi.
«Io,
invece, mi fido di lui». Disse la loro madre.
Così,
accese il motore e attraversò la strada per immettersi nella corsia. Guidava
veramente bene, ma era ancora troppo teso; una cosa che con il tempo gli
sarebbe passata.
In
una decina di minuti arrivarono al supermercato, William parcheggiò e dopo,
scesero dalla macchina per andare a prendere un carrello.
William
guardò la macchina parcheggiata.
«Guarda
che parcheggio perfetto». Disse William a Henry e dopo, gli fece una
pernacchia.
«Lo
devo ammettere sei bravo, ti ho sottovalutato». Disse Henry con sorriso, dopo
fece un salto e gli scompigliò i capelli, una cosa che William odiava.
«Ehi!».
Esclamò William e dopo, si risistemò i capelli.
Entrarono
nel supermercato e cominciarono a fare il giro per mettere tutte le cose che
gli sarebbero servite nel carrello.
«Che
cosa ne pensi dei figli di Claus e del fatto che siamo diventati molto amici
con loro?». Chiese Daniel alla sua mamma.
«Penso
che siano dei bravi ragazzi». Gli rispose la loro madre.
«E
di Clary?». Le chiese William alla mamma.
«È
una ragazza davvero brava e carina». Gli disse la madre.
Finirono
di fare tutta la spesa e di comparare tutto quello che avevano scritto nella
loro lista e poi, tornarono a casa.
Il
giorno prima di partire, si misero a preparare le valigie e dopo, il loro padre mise tutte le cose nella
macchina. Era un’impresa trovare il giusto incastro, per farci entrare tutte le
cose che dovevano portare via.
La
sera prima di partire, andarono a mangiare molto presto, per poi, andare a
dormire alle otto e partire di notte e non trovare il traffico per la strada.
I
quattro ragazzi non riuscivano ad addormentarsi, perché l’euforia scatenata
dalla vacanza prendeva il sopravvento sul loro sonno.
Alla
fine, dopo essersi rigirati nel letto, s’addormentarono per poche ore. Non
appena suonò la sveglia, s’alzarono, fecero colazione, si lavarono e si
vestirono.
«Pronti?».
Gli disse il loro padre ai suoi figli.
I
quattro ragazzi si misero a sbadigliare.
«Sì».
Gli risposero con gli occhi ancora chiusi e assonnati.
Salirono
in macchina e partirono. I ragazzi non appena si misero a sedere, dopo qualche
minuto chiusero gli occhi e il sonno prese il sopravvento su di loro. Dopo
qualche ora arrivarono a destinazione.
Non
appena arrivarono, incominciarono a svuotare la macchina e a montare le tende;
per i ragazzi era un gioco da ragazzi, tanto che sarebbero riusciti a montarle
anche a occhi chiusi.
Nel
giro di un oretta avevano montato le tende, posizionato il fornello per cuocere
il cibo e messo apposto tutte le altre cose che avevano portato con se.
Mentre
il resto della famiglia faceva queste cose più pesanti, il piccolo Neal si era
messo a gonfiare, il gommone, il materassino e i materassi per dormire. Per lui
era un lavoro veramente divertente, anche se a volte si stancava e si doveva
fermare per qualche minuto.
Quando
finirono di montare tutto, i quattro ragazzi si misero il costume, una maglia e
un paio di ciabatte e s’avviarono, correndo fino all’entrata del campeggio.
Quando
arrivarono, si fermarono e si misero ad
attendere i figli di Clary e Gabriel.
Non
appena li videro sbucare dal cancello, gli andarono incontro correndo e senza
lasciargli il tempo di entrare nel campeggio, gli andarono in contro e gli
saltarono addosso.
Dopo,
s’abbracciarono e si salutarono; non si vedevano da pasqua.
I
quattro ragazzi gli fecero strada e gli mostrarono il campeggio che per loro
era quasi una seconda casa.
Li
portarono fino alla tenda per fargli posare le valigie. Dopo, i due fratelli si
misero i costumi e tutti insieme andarono al mare.
«Andiamo
al mare, ci vediamo dopo». Disse Henry ai suoi genitori.
Sua
madre gli sorrise.
Presero
il gommone, i remi, il materassino e una palla e s’incamminarono lungo la
strada fatta di sassi e con molti alberi ai lati, che si muovevano per il vento
e sprigionavano un odore molto intenso.
Tutti
quanti sorridevano e saltellavano; erano molto felici.
Henry
aiutava Neal a portare il gommone, appoggiandolo sulla spalla e reggendolo con
le mani al lato opposto rispetto al fratello.
William
portava il materassino da solo, quando tutto a un tratto, s’avvicinò Clary e lo
aiutò e dopo, gli strinse una mano tra le sue e anche lui ricambiò il gesto.
Gabriel
portava il pallone e Daniel portava i remi.
Quando
incominciarono a intravedere il mare, si misero a gridare come dei pazzi. Si
misero a correre, per arrivare più in fretta alla spiaggia e buttarsi
nell’acqua, che era così bella, limpida e cristallina; l’euforia gli aveva impossessati.
Posarono
tutte le cose a terra e incominciarono a spalmarsi la crema solare.
Tutti
quanti presero il tubetto della crema e incominciarono a spalmarselo sulle
gambe, sulle braccia, sul torace, sulla pancia e si facevano aiutare dagli
altri per spalmarselo sulla schiena.
Clary
si voltò verso William, lo guardò e dopo, gli fece un sorriso.
«Mi
puoi spalmare la crema sulla schiena?». Gli chiese Clary.
«Certo».
Le rispose e diventò subito rosso in volto.
Aprì
il tubetto e incominciò a spalmare la crema sulla schiena di lei. Era davvero
emozionato, tanto che la sua mano che era a contatto con la pelle di lei,
incominciò a tremare.
«Finito».
Le disse, quando finì di spalmare la crema.
Lei
si voltò verso di lui e gli sorrise ancora, dopo di spostò verso di lui e gli
diede un bacio sulla guancia.
«Grazie».
Gli disse e dopo, gli sorrise.
Lui
si alzò e allungò una mano per invitarla ad alzarsi da terra.
Non
potevano fare ancora il bagno, perché avevano mangiato da poco e sapevano
benissimo che era pericoloso entrare in acqua durante la digestione.
Non
avevano mai fatto capricci su questa cosa, perché i loro genitori, fin da
piccoli, gli avevano spiegato il pericolo che avrebbero corso.
«Che
facciamo?». Chiese Clary, mentre, nel frattempo aveva preso una mano di
William.
«Giochiamo
a Pallavolo». Disse Henry.
«Non
abbiamo una rete». Gli fece notare Gabriel.
«La
vado a prendere». Gli rispose.
Si
mise a corre e s’allontanò dai suoi amici per raggiungere la tenda. Non appena la
raggiunse, si mise a cercare la rete e quando la trovò, si mise a nuovamente a
correre verso il mare, quando tutto a un tratto si fermò.
«Henry!».
Si sentì chiamare, così si voltò e si guardò alle spalle.
«Ciao».
Disse Henry, incominciò a camminare verso quella ragazza.
«Anche
tu qui». Gli disse June.
«Quest’anno
siamo venuti anche noi, sai com’è, abbiamo ritrovato Neal e siamo più felici».
Le disse Henry.
June,
era una ragazza che aveva la sua stessa età, era la sua migliore amica, quella
che però vedeva poche volte all’anno, per via della distanza che li separava.
«Voi
venire con noi a giocare?». Le chiese.
«Certo!,
ho sentito quello che hai fatto a natale. È stato fantastico». Gli disse.
«Non
ho fatto niente di speciale ho fatto solo quello che sentivo di dover fare». Le
disse e poco dopo, le sue guance incominciarono a diventare rosse.
Lei
fece un passò avanti e l’abbracciò e anche lui fece altrettanto, ricambiando quel
gesto d’affetto.
Lei
era davvero carina, tanto che si era preso un cotta per lei; non si poteva dire
che si era innamorato, perché a quell’età non sapeva bene che cosa fosse in
realtà l’amore, quel sentimento che ti fa sentire completamente pazzo per un
persona, che quando non lo senti ti manca come l’aria che respiri e quando è li
con te, il tuo cuore batte all’impazzata.
Si
sciolsero dall’abbraccio e lui la prese per mano e insieme s’incamminarono fino
al mare.
Quando
arrivarono al mare, tutti quanti si voltarono verso di Henry e June e notarono
che lui la teneva per mano; erano davvero teneri.
Montarono
la rete e dopo, infilarono i due bastoni
sulla sabbia.
Si
divisero in due squadre: William, Clary e Gabriel contro Henry, June, Daniel e
Neal.
Incominciarono
a giocare, quando, tutto a un tratto, Daniel si sentì chiamare.
«Ciao».
Disse Rachel.
Lui
si voltò verso di lei e per questo, rischiò di prendere una pallonata in
faccia. La palla, gli passò molto vicino alla faccia.
Tutti
quanti smisero di giocare e si voltarono verso quella ragazza.
«Vuoi
giocare?». Le chiese.
«Certo».
Gli sorrise.
Henry
la guardò all’improvviso, gli venne in mente come mai era un volto che gli
sembrava di aver già visto.
«Ma…
te… sei una compagna di classe di Daniel?». Le chiese Henry.
«Sì».
Gli rispose.
«Ma
tu sei quella che…». Disse.
«Ma
lei è quella che…». Disse rivolto a Daniel.
Daniel
s’avvicinò a Henry e gli mise una mano sulla bocca per farlo stare zitto.
Nessuno s’accorse di questo suo gesto.
«Continuate
a giocare, noi torniamo subito». Disse Daniel.
Daniel
spinse Henry e lo trascinò verso la pineta. Quando fu certo di essere
abbastanza lontano dai suoi amici, parlò a suo fratello.
«È
quella che mi piace, che mi piace davvero tanto, ma non lo devi dire». Gli
disse.
«Va
bene». Disse Henry.
Ritornarono
sulla spiaggia e si rimisero a giocare. Si divertivano come matti; saltavano,
ridevano e facevano di tutto per fare punto all’avversario.
Continuarono
a giocare per un’ora, non si stancavano mai e fecero molte partite. Ormai non
era più una partita, era diventata una guerra; nessuno voleva perdere, ma prima
o poi, ci sarebbe stato un vincitore.
Tirarono
la palla più forte e uscì fuori dal campo, fino ad arrivare alla pineta.
«Vado
io». Gridò Clary e si mise a correre verso la pineta. Si guardò intorno, ma non
la vide.
William,
lasciò tutti quanti e andò anche lui nella pineta. Si guardò intorno per
cercarla e quando la vide, il suo cuore cominciò a battere all’impazzata. Non
vedeva altro che lei, non s’era mai sentito così con nessun altra ragazza. La
prima volta che l’aveva vista, l’aveva considerata la ragazza più bella che
avesse mai visto. Gli piaceva molto, ma in quel primo istante non s’era
innamorato di lei. Solo con il tempo e con tutte quelle chiacchierate che
facevano, i suoi sentimenti erano cambiati, non voleva che lei; però era molto
timido e spaventato dal fatto che lei non provasse le stesse cose che provava
lui.
La
vide vicino alla palla e s’avvicinò in silenzio. Fu per magia, s’abbassarono
insieme e si toccarono la mano.
Quell’istante
fu magico, alzarono i loro volti e si guardarono negli occhi, si capivano senza
neanche parlare; era come se l’uno riuscisse a guardare dentro l’anima
dell’altro.
Per
puro istinto, William spostò la palla e s’avvicinò ancora di più a Clary, la
strinse a se, abbracciandola in un abbraccio molto dolce e intimo. In tutto
questo, non interruppe mai il contatto visivo e avvicinò le labbra a quelle di
lei, fino a toccargliele con le proprie. In quel momento, non si sentiva più
William, era un momento così magico.
Incominciò
così a baciarla, quando si staccarono avevano entrambi il fiatone.
«Ti
amo». Le disse William.
«Ti
amo anch’io». Gli rispose e si rimisero a baciarsi.
Una
mattina Henry si svegliò e s’accorse che nella sua tenda non c’era nessuno,
tutti i suoi fratelli erano già usciti e probabilmente erano già andati al
mare.
S’alzò,
si mise a sedere, si tolse le coperte di dosso e si stropicciò gli occhi. S’alzò
i piedi, ma era ancora assonnato; si spogliò, si tolse il pigiama per indossare
il costume.
Quando
uscì dalla tenda fu investito da un’aria calda e attraverso l’olfatto riuscì a
sentire il profumo del mare.
Dopo
aver fatto colazione con latte e cereali, andò in bagno a lavarsi. Quando
ritornò alla tenda, per prendere il canotto e andare al mare, sentì qualcuno
russare. S’incamminò e quando entrò nella tenda dei suoi genitori, vide suo
padre che stava russando.
Sorrise
e s’avvicinò alla porta della tenda per uscire, quando tutto a un tratto, si
voltò verso suo padre non appena lo sentì parlare.
Suo
padre aveva l’abitudine di parlare nel sonno e per questo, tutto il resto della
famiglia lo prendevano sempre in giro. Quando dormiva a volte diceva cose
compromettenti e imbarazzati.
«Sono
solo…». Disse.
“Che cosa?”.
Pensò Henry e s’avvicinò al materasso del padre, senza però svegliarlo; era curioso di sapere quello che
voleva dire.
Non
sapeva però che quello che avrebbe sentito, avrebbe cambiato per sempre la sua
vita; ma Henry era fatto così, a lui piaceva sfidare il rischio.
«Loro
non sono, loro…». Disse ancora suo padre; questa sembrava davvero una frase
senza senso.
“Ma che sta a di!”.
Pensò Henry.
«Li
devo trovare…». Disse.
“Trovare cosa?”.
Si chiese Henry. Sorrise e dopo si voltò per incamminarsi vero la porta della
tenda.
Era
già uscito, quando sentì dire una semplice parola, una parola che in quel
preciso istante, gli fece battere il cuore all’impazzata, il suo respiro
diventò affannato e dai suoi occhi incominciarono a scendere delle lacrime.
«I
miei genitori naturali». Disse infine suo padre. Suo padre continuò a dormire
come se niente fosse, si voltò e diede le spalle a Henry.
“I suoi genitori naturali”.
Quelle parole risuonavano nella mente del piccolo Henry. Dentro di se sentiva
mille emozioni contrastanti: era triste, rimasto scioccato e soprattutto, si
sentiva preso in giro dal padre, che per tutta la sua vita non aveva fatto
altro che mentirgli.
Rimase
immobile per qualche secondo, pietrificato e imprigionato in quelle parole. Il
suo sguardo era perso nel vuoto e privo di felicità.
Con
molta fatica uscì dalla tenda e si mise a correre, voleva scappare via; avrebbe
voluto non sapere e allo stesso tempo era felice di essere venuto a conoscenza
di questa notizia; era un altro peso che doveva portare dentro di se e molto
probabilmente, era l’unico della famiglia che ne era a conoscenza.
Non
si preoccupò nemmeno di legare il gommone all’albero, per impedirgli di volare.
“Chi sono i miei nonni?, come farò
a comportarmi in modo normale con i mie nonni, visto che in realtà non lo
sono?”. Si chiese, ma in quell’istante non si seppe dare
una risposta.
Voleva
scappare, scappare lontano, anche se sapeva benissimo che non poteva scappare
dalla verità che gli era venuta addosso come un treno in corsa.
S’allontanò
in un posto in cui nessuno l’avrebbe trovato. Non voleva farsi trovare, aveva
bisogno di riflettere e questa cosa, la doveva fare da solo.
Ma
più pensava e più non capiva, era come una rete infinita che s’intrecciava
sempre di più.
Forse
in quel momento, non aveva bisogno di capire, ma di una spalla su cui piangere.
Prese
il cellulare dalla tasca e lo accese per chiamare la sua migliore amica, quella
per la quale aveva una cotta.
«Sono
Henry puoi venire qui, mi trovo nel giardino, quello con tanti alberi». Le
disse Henry.
«Certo».
Gli rispose June.
Henry
chiuse la chiamata e si rimise il telefono nella tasca.
Dopo
cinque minuti vide arrivare June, lei si fermò davanti a lui e lo osservò in
silenzio.
«Che
c’è?». Gli chiese e s’abbasso fino a mettersi a sedere a fianco a lui. Henry
non le rispose e rimase per un istante con gli occhi chiusi, quando li riaprì,
gli incominciarono a scendere delle lacrime, che con il passare del tempo
diventavano sempre più dirompenti.
Prendendola
alla sprovvista, appoggiò la testa sulla sua spalla e l’abbracciò.
Per
un primo istante, rimase un po’ sbalordita di questo suo comportamento, poi lo
abbracciò anche lei.
Aveva
capito che non voleva parlare e che aveva soltanto bisogno di una spalla su cui
piangere. Dolcemente, gli incominciò ad accarezzare la testa.
William,
Daniel, Neal e la loro madre, tornarono alla tenda per prendere il canotto e i
remi. Videro il loro padre che stava facendo colazione.
«Dov’è
Henry?». Chiese la loro madre al padre.
«Non
lo so, quando mi sono svegliato non c’era. Credevo che fosse con voi?». Le
disse.
«No,
non era con noi». Gli rispose.
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