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mercoledì 3 dicembre 2014

IT'S CHRISTMAS TIME PARTE 2: UN NUOVO ANNO #1

DISCLAIMER:
È assolutamente vietato copiare il contenuto dei post incentrati sulle mie storie. Tuttavia potete copiare la sinossi e condividere sui vostri blog la data d'uscita dei capitoli successivi.

Per leggere i capitoli della prima parte, clicca qui.

Per leggere il decimo capitolo di It's christmas time parte 1, clicca qui.

"Anche quest'anno ritorna questa storia di natale. Ci sto lavorando dalla fine di luglio, tantissimo tempo, che ci volete fare, io mi diverto tantissimo a scrivere i libri. Benvenuti se siete dei miei nuovi lettori o ben tornati, se seguivate dall'anno scorso. Questa seconda parte, per me, è ancora più bella rispetto alla prima; non vi spiego il motivo, non vi voglio rovinare la lettura.
SE HAI GIÀ LETTO L'ANTEPRIMA, TI HO EVIDENZIATO DI ROSSO LA FRASE DALLA QUALE DEVI RIPARTIRE.
Fatemi sapere se vi piace questa storia, se avete da criticare, fatelo pure, perché le critiche sono costruttive. Mi piacerebbe ricevere un vostro giudizio. Grazie per aver letto questa storia. Non perdete il SECONDO CAPITOLO, IL 7 DICEMBRE ORE 21:00"

CAPITOLO 1: UN NUOVO ANNO

Era un nuovo anno e quest’anno, per la famiglia di Henry sarebbe stato molto importante, sarebbe stato un punto di partenza per rimettere insieme tutti quei pezzi, che il destino aveva separato in un modo crudele.
Un anno per ritornare a essere una famiglia e per curare quella ferita che avevano dentro il loro cuore.
Dopo aver salutato la famiglia di Claus, Henry insieme alla sua famiglia, s’avviarono a piedi fino alla fermata dell’autobus; quello che da li a poco, li avrebbe riportati all’aero porto.
Henry teneva per mano il suo fratellino, non lo voleva lasciare e mai più lo avrebbe lasciato; questo dentro di se lo sapeva molto bene. Avrebbe  protetto suo fratello a costo della sua stessa vita, non avrebbe mai voluto provare quel senso di colpa che lentamente, anche se davanti agli altri non lo dava a vedere, lo aveva consumato nel suo io più profondo.
Il resto della sua famiglia si trovava in fila indiana,  l’uno dietro l’altro, non si parlavano, non avevano niente da dirsi. Erano immersi nel silenzio della Lapponia, di una Lapponia alle prime luci della mattina, dove il sole cominciava a far capolino al mondo.
Lentamente, il sole faceva capolino e con i suoi raggi, cominciava a illuminare tutto quello che incontrava, rendendo ancora più affascinante il paesaggio della Lapponia.
Dietro di loro, lasciavano le impronte delle loro scarpe. Quando arrivarono alla fermata dell’autobus si misero ad aspettarlo.
I ragazzi sentivano già la mancanza di Claus, certo durante l’anno si sarebbero potuti parlare grazie alla tecnologia, ma un conto era parlarci a quattrocchi e un altro conto era parlarci dietro un computer o un telefono.

Accanto a loro c’erano delle persone che stavano aspettando l’autobus. Non appena s’accorsero che di fianco a loro c’erano Henry e la sua famiglia, si sorpresero e per qualche istante, li osservarono, in silenzio e con gli occhi stralunati.
Henry  si mise a sedere insieme a Neal.
«Siete voi?». Disse un bambino che aveva circa l’età di Henry. Quando Henry si sentì chiamare si voltò verso il ragazzo e lo guardò in faccia. Dopo, s’alzò per rispondergli, ma non ne ebbe il tempo.
«Sono loro». Disse quello che doveva essere suo fratello.
Henry, si voltò a guardare quei due ragazzi, con una faccia da pesce lesso. Aveva degli occhi stralunati e dall’emozione, per qualche istante, non riuscì a parlare e rimase immobile.
«Se intendete i ragazzi che hanno salvato il natale, siamo stati proprio noi». Disse Daniel.
«Certo, siamo noi». Disse Henry, quando uscì dal suo stato di trance.
Allora, i due ragazzi incominciarono a sorridere e poi, come una furia gli corsero incontro per abbracciarli, con un abbraccio pieno di gratitudine per quello che avevano fatto.
«Grazie di tutto!». Dissero in coro i due fratelli, quasi con le lacrime agli occhi. Dopo, si sciolsero dall’abbraccio e guardarono quei quattro ragazzi come se fossero i loro idoli.
«Senza di voi non ci sarebbe stato il natale, senza di voi non avremmo potuto passare le festività. Tutti sono grati per quello che avete fatto».
 Si misero a parlare, mentre aspettavano che passasse il pullman.
Solo adesso Henry s’accorse di quello che aveva fatto; prima, essendo al centro e il responsabile di questa grande impresa, non riusciva a capire la sua portata. Era fiero di quello che aveva fato e di aver strappato un sorriso a tutte le persone.
I loro genitori stavano in silenzio, ognuno di loro era immerso nel suo pensiero, ma entrambi erano fieri di aver cresciuto dei figli così altruisti e pronti a fare del bene agli altri senza ricevere niente in cambio.

Appena videro arrivare il pullman alzarono un braccio per far capire all’autista che si doveva fermare.
Salirono abbordo, timbrarono i loro biglietti, si misero a sedere e continuarono a parlare tranquillamente con i due ragazzi che avevano incontrato alla fermata dell’autobus; ma appena il tempo di mettersi a sedere che un altro bambino li notò. Questo bel bambino dai capelli biondi e di appena cinque anni li osservava in silenzio, con gli occhi e la bocca spalancata, come se in quell’istante avesse visto il personaggio preferito dei cartoni animati.
«Sono loro!, sono loro i ragazzi che hanno salvato il natale». Gridò quel bambino e all’improvviso i quattro fratelli smisero di parlare e rimasero in silenzio a osservarlo.
Tutte le persone presenti in quell’autobus, si voltarono a vedere quel bambino che con una mano stava indicando Henry; che era felice di tutto questo apprezzamento che riceveva dalle persone che lo incontravano per caso.
In un primo istante e nel silenzio più assoluto, Henry e la sua famiglia si misero a guardare tutta quella folla che li osservava e dopo, incominciarono a gridare dalla gioia, una gioia che veniva dritta dai loro cuori.
Henry e i suoi fratelli passarono tutto il tempo a fare le foto e a firmare autografi. Da quanti autografi aveva fatto, il polso di Henry si era indolenzito.
                                                                 
Quando arrivarono in prossimità della loro fermata, quella che li avrebbe portati alla stazione dei pullman, la prenotarono.
Presero le loro valige e in fila indiana s’avvicinarono alla porta d’uscita del pullman. Scesero e le persone che si trovavano all’interno dell’autobus, incominciarono a salutarli e a muovere e battere le mani sul finestrino.
Anche lì, c’erano delle persone che non appena li videro, gli andarono vicino per abbracciarli e ringraziarli per tutte le cose belle che avevano fatto.
Dalla stazione degli autobus, s’avviarono a piedi fino all’aeroporto e da li, sarebbero ritornati a casa.

In lontananza, a pochi metri dall’aeroporto, videro delle file di luci e dei tavoli tutti ripieni di dolci e salati tipici della Lapponia. Sembrava che le persone della Lapponia avessero dato una festa in loro onore, per ringraziarli per tutto quello che gli avevano dato.
C’era un’aria allegra, con della musica suonata dal vivo e una band posizionata su un soppalco che stava suonando delle canzoni tipiche di natale.
Visto che il loro volo sarebbe partito in tarda serata, decisero di rimanere lì a festeggiare insieme alla gente. Erano molto allegri e quell’allegria era molto contagiosa, tanto che tutta la famiglia di Henry si mise a saltare e a ridere, con dei sorrisi di pura felicità.
Nel frattempo, il loro padre andò a sbrigare tutte le pratiche burocratiche per poi, alla sera, prendere l’aereo.
Il clima non era tanto freddo e le luci che le persone avevano legato agli alberi, illuminavano leggermente l’ambiente circostante; quando venne sera, quelle luci si riflettevano sulla neve, facendo rendere quell’ambiente ancora più affascinante di quello che sembrava fino a poche ore prima.
Mangiarono, fino quasi a scoppiare, tutte le prelibatezze della Lapponia. Quando arrivò l’ora di andare via, salutarono tutti quanti e se ne andarono come magicamente erano atterrati in quella terra.

Salirono sull’aereo e Henry prima di sedersi e allacciarsi la cintura, si mise a guardare il panorama che vedeva dall’oblò dell’aereo.
Dentro di se si sentiva contrastato da due diverse emozioni: era felice per tutto il bene che aveva fatto, ed era triste per il fatto di lasciare quella terra magica. Sospirò, in modo molto forte e dopo, si mise a sedere; chiuse gli occhi e quando li riaprì erano leggermente velati dalle lacrime. Suo padre lo vide, ma non gli disse niente, per lasciarlo da solo, nei pensieri della sua mente.

Sulac, passò qualche altro giorno a casa di Claus, visto che avrebbe ricominciato a lavorare tra più di una settimana.
Dal mattino seguente alla partenza dei ragazzi e della loro famiglia, si misero, insieme agli elfi, a smontare tutte le decorazioni natalizie e a riporre tutto quanto nelle apposite scatole.
Era sempre bello addobbare la casa, renderla colorata e allegra, ma come tutti sanno “la befana (sua moglie), portava via tutte le feste”. Anche questo natale, che sembrava impossibile da passare, era passato nel migliore dei modi.
Più passavano i giorni e più Sulac e Claus sentivano l’assenza di quei ragazzi, che avevano portato tanta gioia in quella casa. Certo, si sarebbero potuti sentire per telefono, ma non sarebbe stata la stessa cosa, non ci sarebbe stato quel calore umano.
Più il tempo passava e più quel distacco sembrava affievolirsi, anche se in parte, rimaneva imprigionato.
Nel frattempo, in quei giorni di riposo, Sulac aveva lavorato con l’aiuto dell’elfo contabile di Claus, che s’offrì in modo volontario.
Per giorni e giorni rimasero lì a trovare una strategia per combattere questa crisi. Mai più avrebbe permesso a Claus di passare un natale come questo; il prossimo natale, Claus, avrebbe dovuto comprare e costruire tutti i regali che gli avrebbero chiesto le persone, senza pensare al problema dei soldi.
Non era stata un male questa crisi e il fatto che Claus non era riuscito a fare i regali alle persone; perché tutto questo, li aveva portati a conoscere Henry e la sua famiglia.
Anche Sulac s’era affezionato a loro, d’altronde come fai a non affezionarti all’allegria di Henry.

Dopo aver progettato un piano per far cessare questa crisi, andò nella sua stanza e si mise seduto sulla sedia di fronte alla scrivania che si trovava vicino alla finestra.
Si mise a sedere e incominciò a scrivere il discorso che avrebbe dovuto presentare a tutti i politici, per convincerli a dare retta alle sue idee.
Accese la luce che si trovava di fianco a lui e il computer, nel frattempo, prese un po’ di fogli e una penna.
Quando scriveva aveva bisogno della musica, per farsi trascinare dalla melodia che sentiva nelle sue orecchie; era più facile concentrarsi in questo modo.
Si mise le cuffie e iniziò ad ascoltare la sua musica preferita; in quell’istante era come fosse entrato in un altro mondo.
Scriveva, scriveva e più volte, quando non gli soddisfaceva a pieno quello che aveva scritto sul foglio, lo appallottolava e lo gettava alle sue spalle.
Dietro di se c’era una distesa di fogli appallottolati che lentamente, stavano sempre più formando un tappeto.
Finalmente, dopo tutto il pomeriggio, riuscì a scrivere un discorso che lo soddisfaceva e che avrebbe convinto anche tutti i politici.
Lo ricopiò al computer e mentre lo faceva, correggeva anche la forma e i vari errori di distrazione.
Sentiva tutte le responsabilità su di se, aveva paura di fallire durante il suo mandato e di fare aggravare la crisi economica che aveva investito la terra.
Tuttavia, aveva anche molta determinazione e fiducia nelle sue idee; avrebbe fatto di tutto per sconfiggere il “mostro della crisi” che aveva distrutto molte vite.
Non sarebbe stato solo nell’affrontare questa crisi, tuttavia, sentiva dentro di se, tutto il peso di questa enorme impresa. Davanti a se, avrebbe avuto mesi difficili, questo lo sapeva bene. Mesi in cui, questi problemi, gli avrebbero così invaso la testa, da non riuscire a fargli dormire dei sonni e a passare la notte a trovare dei modi per sconfiggere la crisi.
Alla fine di tutto, anche se al momento sarebbe stata lontana, come quando da un tunnel incominci a vedere la luce, ci sarebbe un stata un nuovo mondo, un mondo più bello, in cui tutti quanti avrebbero potuto vivere la loro vita in modo più sereno.

Passarono i giorni e finalmente arrivò quello in cui avrebbe dovuto fare il suo discorso davanti a tutti quei politici.
Puntò la sveglia alle sei per fare tutto con calma e ripassare il discorso. Non appena s’alzò dal letto, andò subito a fare la doccia e in quell’istante, grazia all’acqua calda che gli cadeva addosso si svegliò del tutto e si rilassò.
Si vestì e scese per fare colazione. Guardò fuori dalla finestra e s’accorse che era ancora buio, anche se s’incominciava a intravedere il sole.
Quando finì di fare colazione, accese il suo cellulare, come era sua abitudine fare tutte le mattine, per controllare la posta che aveva ricevuto.
 Notò che c’era un messaggio di Claus.

“Vai fratello!, fai vedere a tutti quanto vali. Vai e sconfiggi la crisi”.

Dopo trovò un altro messaggio di Henry.

“Da parte di tutta la famiglia, vai li e fai valere le tue idee per sconfiggere la crisi, altrimenti, il prossimo anno sarò costretto a trovare un’altra idea geniale”.

Sulac sorrise a tutti e due i messaggi, ma quello di Henry lo fece sorridere ancora di più e gli diede la forza di lottare, di lottare per un mondo migliore.

Anche se era ancora presto, non riusciva a stare fermo in casa. Prese tutte le cose che gli sarebbero servite, si vestì e s’avviò in macchina verso il parlamento.
Durante il viaggio ascoltava la musica e ogni tanto canticchiava qualche canzone.
Quando arrivò, scese di macchina e s’avviò a piedi fino all’entrata e non appena gli fece vedere il suo pass, gli uscieri lo fecero entrare. Non appena entrò, si accorse che il parlamento era deserto, era solo, ma in realtà, dentro di se non si sentiva così.
C’era la sua famiglia e quella di Henry che l’appoggiavano e c’era anche tutto il mondo che l’aveva votato e messo il loro futuro nelle sue mani, perché credevano nelle sue capacità. S’incamminò dentro al parlamento fino a raggiungere la sua stanza, si spogliò, fino a rimanere con un completo elegante di colore nero.
Il tempo sembrava non passare mai e il ticchettio dell’orologio che era appeso alla parete, stava diventando molto fastidioso.
Qualche istante dopo, chiuse gli occhi e immaginò un mondo diverso, quel  mondo bello e colorato che vedeva nella sua mente; di una cosa ne era certo: avrebbe lottato con le unghie e con i denti per quello in cui credeva.

Il tempo passava e lentamente le lancette dell’orologio si stavano spostando sempre più verso le dieci.
Mancavano dieci minuti alle dieci e dal suo studio sentiva il rumore delle persone che entravano nel parlamento e si mettevano a sedere al loro posto.
Tutti attendevano lui e lui era pronto a fare la sua entrata, non era stato più pronto in tutta la sua vita.
S’alzò dalla sedia, prese il foglio con il discorso da dire e il computer portatile.  S’avvicinò alla porta del parlamento, l’aprì e osservò tutte i politici che erano a sedere. Oltrepassò la porta e s’avvicinò alla sua postazione; sistemò il microfono alla sua altezza e collegò il computer portatile per attaccarlo a uno schermo grande che trovava sopra di lui e che permetteva di far vedere agli altri quello che vedeva nel suo schermo.

«Sono stato eletto, un mese prima di Natale, a novembre e in questo breve tempo non sono riuscito a fare le riforme che avevo in mente.
Avrei voluto fare di più, ma non ho avuto tempo materiale. Nei prossimi mesi farò di tutto per cambiare questo mondo, far ripartire l’economia e creare posti di lavoro.
Proveniamo da dei governi che ci hanno rovinati con riforme sbagliate, perché quelle persone, come molti di voi, vivete nel vostro mondo pieno di soldi e di privilegi.
Non capite che cosa rappresenti la crisi per una famiglia. Io l’ho vista la crisi, negli occhi di mio fratello Claus, quegli occhi che lottavano per dare una speranza a chi non l’aveva più.
Il ragazzino che ha salvato il natale, mi ha dato una carica pazzesca per la sua energia pura e senza scopi finali. Mi ha fatto capire, che niente è impossibile se ci s’impegna.
Questa cosa mi ha fatto molto riflettere e mi ha portato a decidere che non voglio che mio fratello, passi un altro natale come questo. Voglio che sia libero di comprare tutte le cose che gli chiedono le persone.
Ci dobbiamo unire, anche se molti di voi hanno delle idee politiche diverse dalle mie, perché ne va del futuro del nostro mondo.
Un mondo che fino a poco tempo fa era molto bello e ognuno poteva vivere la sua vita in modo sereno».

Smise di parlare per bere un po’ d’acqua. Dopo, con il touchpad aprì un immagine.

«Dopo natale sono rimasto da mio fratello e grazie al suo account facebook, ho potuto parlare con quelle persone che Claus e Henry, hanno permesso di festeggiare il natale.
Qui ci sono le loro foto e le loro storie che mi hanno mandato».

Sulac dava il tempo alle persone di leggere le storie, delle storie che raccontavano di delle vite che non erano più vite.
Qualche politico arrivò persino a commuoversi, di fronte a quelle immagine di vite spezzate. Sulac, era riuscito a fare centro nel cuore di qualcuno; forse, non tutti quei politici erano perduti, forse qualcuno di loro riusciva ancora a provare delle emozioni.

«Queste foto e queste storie raccontano di più di quello che vi ho detto prima. Dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo migliorare…questo mondo…». Quando Sulac smise di parlare, dai suoi occhi incominciarono a scendere delle lacrime. Quelle parole non le aveva dette a caso, lui era in grado di sentire la sofferenza della gente.
Molti politici alla fine del suo discorso s’alzarono e lo applaudirono.

«Davvero!». Esclamò Henry, mentre teneva tra all’orecchio il cordless.
«Ma dice davvero!, è uno scherzo». Disse ancora Henry per essere sicuro. Attese la risposta dell’altra persona, mentre dalla sua bocca si stava incominciando a vedere un sorriso.
«È vero». Disse quella signora.
«Fammi parlare con i tuoi genitori». Aggiunse dopo qualche secondo.
Henry si mise a strillare dalla gioia e a saltellare sul posto. La signora al telefono, l’avrebbe preso per pazzo, ma in quel momento non gliene importava niente.
Uscì dalla stanza, si mise a correre e dopo essere sceso al piano terra, si diresse verso la sala, dove, tutta la sua famiglia era intenta a guardare un programma alla televisione. Quando lo videro entrare, tutti quanti si voltarono verso di lui, perché il suo fiatone si faceva sentire in modo davvero pesante.
«Che c’è?». Gli chiese suo padre, non appena vide che aveva una strana espressione nel suo viso.
«Al telefono». Disse mentre s’avvicinava verso suo padre.
«Ci vogliono in una trasmissione, per parlare di quello che ho fatto a natale». Gli disse Henry.
«Dai andiamoci!». Lo supplicò Henry, con un espressione del volto davvero dolce, come se volesse fargli capire che era un angioletto.
Il padre di Henry non ci pensò per un istante di più, prese il telefono e incominciò a parlare con quella signora che gli spiegò per filo e per segno come si sarebbe svolta la trasmissione, la data, l’ora e il posto.
Continuarono a parlare per una decina di minuti.
«Veniamo!, certo che veniamo». Disse e riagganciò il telefono.
«C’andiamo, certo che c’andiamo». Esclamò, con un tono di voce di pura gioia a tutti i suoi figli; loro si avvicinarono al padre per saltargli addosso, in un modo veramente violento. Quelli che erano seduti s’alzarono e tutti quanti i fratelli s’osservarono con uno sguardo d’intesa. Corsero verso il padre e incominciarono a gridare come dei pazzi.
Erano pazzi, sì, ma dalla gioia.
Così il loro padre si ritrovò sommerso dai suoi figli che gli stavano addosso per abbracciarlo e fargli percepire tutta la loro felicità. Il loro padre era contento di averli resi felici per così poco; però anche loro lo avevano reso felice, risvegliandolo dal suo incubo e dandogli la possibilità di vivere una seconda vita. Il loro padre e la loro madre erano davvero felici: riavevano tutti i loro figli sani e salvi.

Tra una settimana sarebbero dovuti andare a quella trasmissione. Tutti quanti non stavano più nella pelle; sarebbero andati per la prima volta in televisione.
Erano già in corso tutti i preparativi, avevano prenotato l’albergo e poi erano andati a comprarsi dei vestiti eleganti, adatti per andare in televisione.
Il loro padre e i quattro ragazzi, comprarono un classico abito elegante con giacca e pantaloni di colore nero, la  camicia bianca e la cravatta di un azzurro molto acceso; la loro madre comprò un vestito da sera elegante, con abbinato delle scarpe che avevano un tacco non molto alto.
Henry, fin dal primo giorno in cui suo padre aveva accettato d’andare in televisione, aveva messo il conto alla rovescia sul suo Iphone e ogni mattina, controllava sempre quel numero, che lentamente, scendeva e s’avvicinava sempre di più verso lo zero.
La sera prima dell’intervista, andarono a letto subito dopo mangiato, perché sarebbero dovuti partire durante la notte.
Nel pomeriggio avevano preparato le valigie, tanto ormai erano già in grado di prepararsele da soli, visto che le avevano già fatte quando avevano deciso di scappare per andare da Claus. Solo Neal, non era tanto pratico e infatti, i loro fratelli lo aiutarono.
Si misero il pigiama e solo per quella sera decisero di rimanere tutti quanti in una camera. Infatti, i quattro ragazzi dormivano in camere separate, William e Daniel in una stanza e Henry e  Neal in un’altra.
Soltanto nel periodo in cui Neal era sparito, Henry si era trasferito nella camera dei fratelli per non restare solo la notte.
I letti di William e Daniel erano da una piazza e mezzo e per questo, ci potevano entrare anche in due.
Si divisero così: William con Daniel e Henry con Neal.
Avevano spento la luce, lasciando acceso le due piccole lampade che si trovavano sopra i comodini.
«Ci pensate che domani sarò… cioè, saremo in televisione». Disse Henry; si sentiva dal suo tono di voce che era davvero felice.
«Non vedo l’ora». Disse Neal.
Dopo, Henry prese il suo Iphone, per mettersi la sveglia.
Cominciò a impostare delle sveglie che sarebbero suonate con una distanza di cinque minuti; aveva paura di non svegliarsi.
«Te lo meriti fratello, ti meriti tutta questa gloria. Hai fatto qualcosa di veramente bello per tutte le persone». Disse William.
«Ora si dorme». Disse Daniel e dopo, tutti quanti, chiusero gli occhi e il sonno prese il sopravvento sul loro stato euforico.

Al mattino, si svegliarono, fecero colazione e non appena furono pronti, uscirono di casa con le valigie per andare a fare quell’intervista. Fuori faceva davvero freddo e per questo, decisero di coprirsi per bene, con giacche, cappelli, sciarpe e guanti.
Salirono in macchina e s’allacciarono le cinture partirono. Erano tutti quanti euforici, tanto che oltre a parlare, ogni tanto cantavano a squarciagola le canzoni che passavano alla radio.
Arrivarono all’ora che avevano previsto e andarono subito all’albergo, per riposarsi e dormire per qualche ora. Quando si svegliarono andarono a mangiare fuori, tanto l’intervista l’avrebbero dovuta fare di sera, nella fascia oraria in cui ci sarebbero stati più ascolti.
Così, a metà del pomeriggio si recarono agli studi televisivi, dove un assistente gli avrebbe spiegato tutto quanto.
E in effetti, fu proprio così, una ragazza simpatica li stava aspettando all’entrata dell’edificio.
Li fece accomodare in camerino e fu proprio lì che gli spiegò tutto quanto. Ora sapevano che cosa gli sarebbe aspettato e non vedevano l’ora di partecipare.
Verso le sette, gli portarono la cena e dopo mezz’ora li truccarono e li pettinarono.

Henry era sia curioso che nervoso; in quell’istante si sentiva contrastato da queste due emozioni. Così, per farsi passare quest’ansia da palcoscenico, decise di andare a vedere lo studio televisivo.
S’incamminò e quando con una mano spostò una grossa tenda, poté così entrare all’interno di quello studio.
Si trovò di fronte a un palco ben curato, con delle scene e altri piccoli dettagli che rendevano quell’ambiente ancora più bello di quello che si era immaginato. Al centro di quello studio c’erano delle sedie davvero belle e confortevoli. In alto c’erano moltissime luci che sarebbero servite a rendere l’ambiente ancora più illuminato; infatti, lì dentro c’era molto caldo.
Davanti a se vedeva delle sedie vuote, quelle in cui ci si sarebbe seduto il pubblico.
Dietro quelle sedie c’era uno schermo enorme.

A pochi minuti dalla trasmissione tutta la famiglia si trovava dietro le quinte nell’attesa che la conduttrice li chiamasse.
«Tre, due, uno… in onda». Disse un tecnico.
«Ben tornati, a un nuovo appuntamento della nostra trasmissione, che questa volta, andrà in onda in edizione serale, perché abbiamo creduto che sarebbe stata la fascia migliore». Disse un ragazza con una voce giovanile.
«Beh!, ormai avete capito di chi parlo, di Henry, il bambino che ha salvato il natale e naturalmente la sua famiglia». Smise di parlare per qualche istante.
«Che entrino». Aggiunse dopo e tutta la famiglia di Henry fece l’ingresso in quello studio. Si trovarono al centro di quello studio e anche la conduttrice si trovava in piedi vicino a loro.
Prima di mettersi a sedere, tutta la famiglia di Henry, abbracciò la conduttrice.
Dopo, s’avvicinarono alle sedie e si misero a sedere.
«Benvenuti». Disse la conduttrice.
«Grazie». Disse Henry.
«Tu devi essere Henry; te sei il più piccolino, quello che era stato rapito; tu sei Daniel, quello tutto tecnologico; tu invece sei William, il grande e quello più riflessivo e poi c’è anche mamma e papà». Disse la conduttrice.
«Ho fatto i compiti». Disse con un sorriso. Henry non era per niente a disagio, era rilassato, perché la conduttrice era riuscita a metterlo a suo agio.
«Allora, mamma e papà, siete contenti di avere dei figli così bravi e altruisti?». Gli chiese.
«Certo». Dissero in coro e dopo, si presero la mano.
«Sono orgoglioso di loro quello che hanno fatto è stato magnifico. E non lo dico perché sono i nostri figli». Disse il loro padre.
«Sa, da quando avevamo perso Neal…». Aggiunse la madre e dopo, si voltò a guardare il suo bambino più piccolo. Neal, nella sua ingenuità da bambino le sorrise e a lei, involontariamente le cadde una lacrima da un occhio.
«Da quando avevamo perso Neal, non eravamo più la stessa famiglia, c’eravamo sgretolati, era un inferno, che nessuno può immaginare, solo chi ha passato o sta passando la stessa cosa, ci può capire.
Non eravamo uniti, ognuno, contava solo sulle sue forze. So che sentendo queste mie parole sembra una cosa orribile, ma dovete anche capire che cosa significa perdere un figlio». Disse, mentre i suoi occhi diventarono leggermente umidi.
«Io ho salvato il natale e il natale ha salvato noi». Disse Henry.
«Non mi sento di aver fatto qualcosa di speciale, come invece pensano le altre persone; ho fatto qualcosa, in cui credevo.
Non potevo pensare di passare un bel natale, mentre qualcun altro, soffriva per la crisi». Disse ancora Henry.
La conduttrice lo stava ascoltando in silenzio.
«Come hai fatto a sapere che Claus aveva dei problemi?». Gli chiese incuriosita.
«Beh!, sembrerà strano e nessuno mi crederà, ma l’ho sognato. Anche i miei genitori non mi hanno creduto e l’hanno scambiato per un capriccio, ma, fortunatamente, i miei fratelli mi hanno creduto e siamo scappati per andare da Claus». Disse Henry.
«Siamo scappati, abbiamo deciso d’andare insieme a lui, perché credevamo che fosse giusto.
Henry si sentiva in colpa e responsabile per la scomparsa di Neal. Sa, gli abbiamo sempre detto che non era colpa sua; ma lui non ci ha mai creduto fino a quando Neal, non gli  ha detto che non era colpa sua.
Questo senso di colpa lo ha spinto a voler aiutare gli altri. Anche se è una cosa brutta da dire, questo suo senso di colpa e perciò, il voler aiutare gli altri, l’ha reso un bambino molto altruista, rispetto agli altri della sua età.
Solamente i miei genitori, troppo intrappolati nella loro bolla e nel loro mondo irreale, che si erano creati fin da quando era scomparso Neal, non si erano mai accorti di queste sue capacità. Non si sono mai accorti di quanto fosse speciale». Disse William.
«Anche se in quel periodo i nostri genitori, non se la passavano bene, a causa della scomparsa di Neal, noi non ci siamo mai sentiti soli, perché noi tre, io, William e Henry, ci parlavamo e potevamo fare affidamento l’uno sull’altro». Disse Daniel.
«Mi dicono che c’è qualcuno in linea». Disse la conduttrice e dallo studio incominciarono a sentire uno squillo di un telefono. Uno, due, tre e quattro squilli e a un tratto, smise di fare rumore. I ragazzi si erano incuriositi e non vedevano l’ora di sentire chi c’era al telefono; ma quando sentirono quella voce, non potevano credere a quello che sentivano dalle loro orecchie.
«Ragazzi». Disse Claus.
«Claus». Dissero in coro i ragazzi.
«Che bello risentirti!» Esclamò Henry.
«Mi mancate tanto». Disse Claus.
«Deduco che gli vuole molto bene e che si è affezionato a loro?». Gli chiese la conduttrice.
La risposta di Claus fu immediata.
«Come si fa a non affezionarsi a questi ragazzi, li guardi». Claus smise di parlare per qualche istante e la conduttrice li guardò uno per uno.
«Sono simpatici e spruzzano energia da tutti i pori. Gli voglio così bene, come un nonno amerebbe i propri nipoti». Disse ancora Claus.
«Anche noi gli vogliamo bene». Dissero i ragazzi.

Continuarono a parlare fino alla fine del programma e dopo un po’ di minuti, riuscirono a fare un collegamento video con Claus. I ragazzi furono molto contenti di vederlo. Raccontarono tutti i dettagli di quel natale che avevano passato insieme, tutte quelle cose che la stampa non era mai venuta a sapere.

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