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"Anche quest'anno ritorna questa storia di natale. Ci sto lavorando dalla fine di luglio, tantissimo tempo, che ci volete fare, io mi diverto tantissimo a scrivere i libri. Benvenuti se siete dei miei nuovi lettori o ben tornati, se seguivate dall'anno scorso. Questa seconda parte, per me, è ancora più bella rispetto alla prima; non vi spiego il motivo, non vi voglio rovinare la lettura.
SE HAI GIÀ LETTO L'ANTEPRIMA, TI HO EVIDENZIATO DI ROSSO LA FRASE DALLA QUALE DEVI RIPARTIRE.
Fatemi sapere se vi piace questa storia, se avete da criticare, fatelo pure, perché le critiche sono costruttive. Mi piacerebbe ricevere un vostro giudizio. Grazie per aver letto questa storia. Non perdete il SECONDO CAPITOLO, IL 7 DICEMBRE ORE 21:00"
CAPITOLO 1: UN NUOVO
ANNO
Era
un nuovo anno e quest’anno, per la famiglia di Henry sarebbe stato molto
importante, sarebbe stato un punto di partenza per rimettere insieme tutti quei
pezzi, che il destino aveva separato in un modo crudele.
Un
anno per ritornare a essere una famiglia e per curare quella ferita che avevano
dentro il loro cuore.
Dopo
aver salutato la famiglia di Claus, Henry insieme alla sua famiglia, s’avviarono
a piedi fino alla fermata dell’autobus; quello che da li a poco, li avrebbe
riportati all’aero porto.
Henry
teneva per mano il suo fratellino, non lo voleva lasciare e mai più lo avrebbe
lasciato; questo dentro di se lo sapeva molto bene. Avrebbe protetto suo fratello a costo della sua
stessa vita, non avrebbe mai voluto provare quel senso di colpa che lentamente,
anche se davanti agli altri non lo dava a vedere, lo aveva consumato nel suo io
più profondo.
Il
resto della sua famiglia si trovava in fila indiana, l’uno dietro l’altro, non si parlavano, non
avevano niente da dirsi. Erano immersi nel silenzio della Lapponia, di una
Lapponia alle prime luci della mattina, dove il sole cominciava a far capolino
al mondo.
Lentamente,
il sole faceva capolino e con i suoi raggi, cominciava a illuminare tutto
quello che incontrava, rendendo ancora più affascinante il paesaggio della
Lapponia.
Dietro
di loro, lasciavano le impronte delle loro scarpe. Quando arrivarono alla
fermata dell’autobus si misero ad aspettarlo.
I
ragazzi sentivano già la mancanza di Claus, certo durante l’anno si sarebbero
potuti parlare grazie alla tecnologia, ma un conto era parlarci a quattrocchi e
un altro conto era parlarci dietro un computer o un telefono.
Accanto
a loro c’erano delle persone che stavano aspettando l’autobus. Non appena
s’accorsero che di fianco a loro c’erano Henry e la sua famiglia, si sorpresero
e per qualche istante, li osservarono, in silenzio e con gli occhi stralunati.
Henry si mise a sedere insieme a Neal.
«Siete
voi?». Disse un bambino che aveva circa l’età di Henry. Quando Henry si sentì
chiamare si voltò verso il ragazzo e lo guardò in faccia. Dopo, s’alzò per
rispondergli, ma non ne ebbe il tempo.
«Sono
loro». Disse quello che doveva essere suo fratello.
Henry,
si voltò a guardare quei due ragazzi, con una faccia da pesce lesso. Aveva
degli occhi stralunati e dall’emozione, per qualche istante, non riuscì a
parlare e rimase immobile.
«Se
intendete i ragazzi che hanno salvato il natale, siamo stati proprio noi».
Disse Daniel.
«Certo,
siamo noi». Disse Henry, quando uscì dal suo stato di trance.
Allora,
i due ragazzi incominciarono a sorridere e poi, come una furia gli corsero
incontro per abbracciarli, con un abbraccio pieno di gratitudine per quello
che avevano fatto.
«Grazie
di tutto!». Dissero in coro i due fratelli, quasi con le lacrime agli occhi. Dopo,
si sciolsero dall’abbraccio e guardarono quei quattro ragazzi come se fossero i
loro idoli.
«Senza
di voi non ci sarebbe stato il natale, senza di voi non avremmo potuto passare le
festività. Tutti sono grati per quello che avete fatto».
Si misero a parlare, mentre aspettavano che
passasse il pullman.
Solo
adesso Henry s’accorse di quello che aveva fatto; prima, essendo al centro e il
responsabile di questa grande impresa, non riusciva a capire la sua portata.
Era fiero di quello che aveva fato e di aver strappato un sorriso a tutte le
persone.
I
loro genitori stavano in silenzio, ognuno di loro era immerso nel suo pensiero,
ma entrambi erano fieri di aver cresciuto dei figli così altruisti e pronti a
fare del bene agli altri senza ricevere niente in cambio.
Appena
videro arrivare il pullman alzarono un braccio per far capire all’autista che
si doveva fermare.
Salirono
abbordo, timbrarono i loro biglietti, si misero a sedere e continuarono a
parlare tranquillamente con i due ragazzi che avevano incontrato alla fermata
dell’autobus; ma appena il tempo di mettersi a sedere che un altro bambino li
notò. Questo bel bambino dai capelli biondi e di appena cinque anni li osservava
in silenzio, con gli occhi e la bocca spalancata, come se in quell’istante
avesse visto il personaggio preferito dei cartoni animati.
«Sono
loro!, sono loro i ragazzi che hanno salvato il natale». Gridò quel bambino e
all’improvviso i quattro fratelli smisero di parlare e rimasero in silenzio a
osservarlo.
Tutte
le persone presenti in quell’autobus, si voltarono a vedere quel bambino che
con una mano stava indicando Henry; che era felice di tutto questo
apprezzamento che riceveva dalle persone che lo incontravano per caso.
In
un primo istante e nel silenzio più assoluto, Henry e la sua famiglia si misero
a guardare tutta quella folla che li osservava e dopo, incominciarono a gridare
dalla gioia, una gioia che veniva dritta dai loro cuori.
Henry
e i suoi fratelli passarono tutto il tempo a fare le foto e a firmare autografi.
Da quanti autografi aveva fatto, il polso di Henry si era indolenzito.
Quando
arrivarono in prossimità della loro fermata, quella che li avrebbe portati alla
stazione dei pullman, la prenotarono.
Presero
le loro valige e in fila indiana s’avvicinarono alla porta d’uscita del
pullman. Scesero e le persone che si trovavano all’interno dell’autobus, incominciarono
a salutarli e a muovere e battere le mani sul finestrino.
Anche
lì, c’erano delle persone che non appena li videro, gli andarono vicino per
abbracciarli e ringraziarli per tutte le cose belle che avevano fatto.
Dalla
stazione degli autobus, s’avviarono a piedi fino all’aeroporto e da li,
sarebbero ritornati a casa.
In
lontananza, a pochi metri dall’aeroporto, videro delle file di luci e dei
tavoli tutti ripieni di dolci e salati tipici della Lapponia. Sembrava che le
persone della Lapponia avessero dato una festa in loro onore, per ringraziarli
per tutto quello che gli avevano dato.
C’era
un’aria allegra, con della musica suonata dal vivo e una band posizionata su un
soppalco che stava suonando delle canzoni tipiche di natale.
Visto
che il loro volo sarebbe partito in tarda serata, decisero di rimanere lì a
festeggiare insieme alla gente. Erano molto allegri e quell’allegria era molto contagiosa,
tanto che tutta la famiglia di Henry si mise a saltare e a ridere, con dei
sorrisi di pura felicità.
Nel
frattempo, il loro padre andò a sbrigare tutte le pratiche burocratiche per poi,
alla sera, prendere l’aereo.
Il
clima non era tanto freddo e le luci che le persone avevano legato agli alberi,
illuminavano leggermente l’ambiente circostante; quando venne sera, quelle luci
si riflettevano sulla neve, facendo rendere quell’ambiente ancora più
affascinante di quello che sembrava fino a poche ore prima.
Mangiarono, fino quasi a scoppiare,
tutte le prelibatezze della Lapponia. Quando arrivò l’ora di andare via,
salutarono tutti quanti e se ne andarono come magicamente erano atterrati in
quella terra.
Salirono
sull’aereo e Henry prima di sedersi e allacciarsi la cintura, si mise a
guardare il panorama che vedeva dall’oblò dell’aereo.
Dentro
di se si sentiva contrastato da due diverse emozioni: era felice per tutto il
bene che aveva fatto, ed era triste per il fatto di lasciare quella terra
magica. Sospirò, in modo molto forte e dopo, si mise a sedere; chiuse gli occhi
e quando li riaprì erano leggermente velati dalle lacrime. Suo padre lo vide,
ma non gli disse niente, per lasciarlo da solo, nei pensieri della sua mente.
Sulac,
passò qualche altro giorno a casa di Claus, visto che avrebbe ricominciato a
lavorare tra più di una settimana.
Dal
mattino seguente alla partenza dei ragazzi e della loro famiglia, si misero,
insieme agli elfi, a smontare tutte le decorazioni natalizie e a riporre tutto
quanto nelle apposite scatole.
Era
sempre bello addobbare la casa, renderla colorata e allegra, ma come tutti
sanno “la befana (sua moglie), portava
via tutte le feste”. Anche questo natale, che sembrava impossibile da
passare, era passato nel migliore dei modi.
Più
passavano i giorni e più Sulac e Claus sentivano l’assenza di quei ragazzi, che
avevano portato tanta gioia in quella casa. Certo, si sarebbero potuti sentire
per telefono, ma non sarebbe stata la stessa cosa, non ci sarebbe stato quel
calore umano.
Più
il tempo passava e più quel distacco sembrava affievolirsi, anche se in parte,
rimaneva imprigionato.
Nel
frattempo, in quei giorni di riposo, Sulac aveva lavorato con l’aiuto dell’elfo
contabile di Claus, che s’offrì in modo volontario.
Per
giorni e giorni rimasero lì a trovare una strategia per combattere questa
crisi. Mai più avrebbe permesso a Claus di passare un natale come questo; il
prossimo natale, Claus, avrebbe dovuto comprare e costruire tutti i regali che
gli avrebbero chiesto le persone, senza pensare al problema dei soldi.
Non
era stata un male questa crisi e il fatto che Claus non era riuscito a fare i
regali alle persone; perché tutto questo, li aveva portati a conoscere Henry e
la sua famiglia.
Anche
Sulac s’era affezionato a loro, d’altronde come fai a non affezionarti
all’allegria di Henry.
Dopo
aver progettato un piano per far cessare questa crisi, andò nella sua stanza e
si mise seduto sulla sedia di fronte alla scrivania che si trovava vicino alla finestra.
Si
mise a sedere e incominciò a scrivere il discorso che avrebbe dovuto presentare
a tutti i politici, per convincerli a dare retta alle sue idee.
Accese
la luce che si trovava di fianco a lui e il computer, nel frattempo, prese un
po’ di fogli e una penna.
Quando
scriveva aveva bisogno della musica, per farsi trascinare dalla melodia che
sentiva nelle sue orecchie; era più facile concentrarsi in questo modo.
Si
mise le cuffie e iniziò ad ascoltare la sua musica preferita; in quell’istante
era come fosse entrato in un altro mondo.
Scriveva,
scriveva e più volte, quando non gli soddisfaceva a pieno quello che aveva
scritto sul foglio, lo appallottolava e lo gettava alle sue spalle.
Dietro
di se c’era una distesa di fogli appallottolati che lentamente, stavano sempre
più formando un tappeto.
Finalmente,
dopo tutto il pomeriggio, riuscì a scrivere un discorso che lo soddisfaceva e
che avrebbe convinto anche tutti i politici.
Lo
ricopiò al computer e mentre lo faceva, correggeva anche la forma e i vari
errori di distrazione.
Sentiva
tutte le responsabilità su di se, aveva paura di fallire durante il suo mandato
e di fare aggravare la crisi economica che aveva investito la terra.
Tuttavia,
aveva anche molta determinazione e fiducia nelle sue idee; avrebbe fatto di
tutto per sconfiggere il “mostro della crisi” che aveva distrutto molte vite.
Non
sarebbe stato solo nell’affrontare questa crisi, tuttavia, sentiva dentro di se,
tutto il peso di questa enorme impresa. Davanti a se, avrebbe avuto mesi
difficili, questo lo sapeva bene. Mesi in cui, questi problemi, gli avrebbero
così invaso la testa, da non riuscire a fargli dormire dei sonni e a passare la
notte a trovare dei modi per sconfiggere la crisi.
Alla
fine di tutto, anche se al momento sarebbe stata lontana, come quando da un
tunnel incominci a vedere la luce, ci sarebbe un stata un nuovo mondo, un mondo
più bello, in cui tutti quanti avrebbero potuto vivere la loro vita in modo più
sereno.
Passarono
i giorni e finalmente arrivò quello in cui avrebbe dovuto fare il suo discorso
davanti a tutti quei politici.
Puntò
la sveglia alle sei per fare tutto con calma e ripassare il discorso. Non
appena s’alzò dal letto, andò subito a fare la doccia e in quell’istante,
grazia all’acqua calda che gli cadeva addosso si svegliò del tutto e si
rilassò.
Si
vestì e scese per fare colazione. Guardò fuori dalla finestra e s’accorse che
era ancora buio, anche se s’incominciava a intravedere il sole.
Quando
finì di fare colazione, accese il suo cellulare, come era sua abitudine fare
tutte le mattine, per controllare la posta che aveva ricevuto.
Notò che c’era un messaggio di Claus.
“Vai fratello!, fai vedere a tutti
quanto vali. Vai e sconfiggi la crisi”.
Dopo
trovò un altro messaggio di Henry.
“Da parte di tutta la famiglia, vai
li e fai valere le tue idee per sconfiggere la crisi, altrimenti, il prossimo anno
sarò costretto a trovare un’altra idea geniale”.
Sulac
sorrise a tutti e due i messaggi, ma quello di Henry lo fece sorridere ancora
di più e gli diede la forza di lottare, di lottare per un mondo migliore.
Anche
se era ancora presto, non riusciva a stare fermo in casa. Prese tutte le cose
che gli sarebbero servite, si vestì e s’avviò in macchina verso il parlamento.
Durante
il viaggio ascoltava la musica e ogni tanto canticchiava qualche canzone.
Quando
arrivò, scese di macchina e s’avviò a piedi fino all’entrata e non appena gli fece
vedere il suo pass, gli uscieri lo fecero entrare. Non appena entrò, si accorse
che il parlamento era deserto, era solo, ma in realtà, dentro di se non si
sentiva così.
C’era
la sua famiglia e quella di Henry che l’appoggiavano e c’era anche tutto il
mondo che l’aveva votato e messo il loro futuro nelle sue mani, perché
credevano nelle sue capacità. S’incamminò dentro al parlamento fino a
raggiungere la sua stanza, si spogliò, fino a rimanere con un completo elegante
di colore nero.
Il
tempo sembrava non passare mai e il ticchettio dell’orologio che era appeso
alla parete, stava diventando molto fastidioso.
Qualche
istante dopo, chiuse gli occhi e immaginò un mondo diverso, quel mondo bello e colorato che vedeva nella sua
mente; di una cosa ne era certo: avrebbe lottato con le unghie e con i denti
per quello in cui credeva.
Il
tempo passava e lentamente le lancette dell’orologio si stavano spostando
sempre più verso le dieci.
Mancavano
dieci minuti alle dieci e dal suo studio sentiva il rumore delle persone che
entravano nel parlamento e si mettevano a sedere al loro posto.
Tutti
attendevano lui e lui era pronto a fare la sua entrata, non era stato più
pronto in tutta la sua vita.
S’alzò
dalla sedia, prese il foglio con il discorso da dire e il computer portatile. S’avvicinò alla porta del parlamento, l’aprì
e osservò tutte i politici che erano a sedere. Oltrepassò la porta e s’avvicinò
alla sua postazione; sistemò il microfono alla sua altezza e collegò il
computer portatile per attaccarlo a uno schermo grande che trovava sopra di lui
e che permetteva di far vedere agli altri quello che vedeva nel suo schermo.
«Sono
stato eletto, un mese prima di Natale, a novembre e in questo breve tempo non
sono riuscito a fare le riforme che avevo in mente.
Avrei
voluto fare di più, ma non ho avuto tempo materiale. Nei prossimi mesi farò di
tutto per cambiare questo mondo, far ripartire l’economia e creare posti di
lavoro.
Proveniamo
da dei governi che ci hanno rovinati con riforme sbagliate, perché quelle
persone, come molti di voi, vivete nel vostro mondo pieno di soldi e di
privilegi.
Non
capite che cosa rappresenti la crisi per una famiglia. Io l’ho vista la crisi,
negli occhi di mio fratello Claus, quegli occhi che lottavano per dare una
speranza a chi non l’aveva più.
Il
ragazzino che ha salvato il natale, mi ha dato una carica pazzesca per la sua
energia pura e senza scopi finali. Mi ha fatto capire, che niente è impossibile
se ci s’impegna.
Questa
cosa mi ha fatto molto riflettere e mi ha portato a decidere che non voglio che
mio fratello, passi un altro natale come questo. Voglio che sia libero di
comprare tutte le cose che gli chiedono le persone.
Ci
dobbiamo unire, anche se molti di voi hanno delle idee politiche diverse dalle
mie, perché ne va del futuro del nostro mondo.
Un
mondo che fino a poco tempo fa era molto bello e ognuno poteva vivere la sua vita
in modo sereno».
Smise
di parlare per bere un po’ d’acqua. Dopo, con il touchpad aprì un immagine.
«Dopo
natale sono rimasto da mio fratello e grazie al suo account facebook, ho potuto
parlare con quelle persone che Claus e Henry, hanno permesso di festeggiare il
natale.
Qui
ci sono le loro foto e le loro storie che mi hanno mandato».
Sulac
dava il tempo alle persone di leggere le storie, delle storie che raccontavano
di delle vite che non erano più vite.
Qualche
politico arrivò persino a commuoversi, di fronte a quelle immagine di vite
spezzate. Sulac, era riuscito a fare centro nel cuore di qualcuno; forse, non
tutti quei politici erano perduti, forse qualcuno di loro riusciva ancora a
provare delle emozioni.
«Queste
foto e queste storie raccontano di più di quello che vi ho detto prima.
Dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo migliorare…questo mondo…». Quando Sulac smise
di parlare, dai suoi occhi incominciarono a scendere delle lacrime. Quelle
parole non le aveva dette a caso, lui era in grado di sentire la sofferenza
della gente.
Molti
politici alla fine del suo discorso s’alzarono e lo applaudirono.
«Davvero!».
Esclamò Henry, mentre teneva tra all’orecchio il cordless.
«Ma
dice davvero!, è uno scherzo». Disse ancora Henry per essere sicuro. Attese la
risposta dell’altra persona, mentre dalla sua bocca si stava incominciando a
vedere un sorriso.
«È
vero». Disse quella signora.
«Fammi
parlare con i tuoi genitori». Aggiunse dopo qualche secondo.
Henry
si mise a strillare dalla gioia e a saltellare sul posto. La signora al
telefono, l’avrebbe preso per pazzo, ma in quel momento non gliene importava
niente.
Uscì
dalla stanza, si mise a correre e dopo essere sceso al piano terra, si diresse
verso la sala, dove, tutta la sua famiglia era intenta a guardare un programma
alla televisione. Quando lo videro entrare, tutti quanti si voltarono verso di
lui, perché il suo fiatone si faceva sentire in modo davvero pesante.
«Che
c’è?». Gli chiese suo padre, non appena vide che aveva una strana espressione nel
suo viso.
«Al
telefono». Disse mentre s’avvicinava verso suo padre.
«Ci
vogliono in una trasmissione, per parlare di quello che ho fatto a natale». Gli
disse Henry.
«Dai
andiamoci!». Lo supplicò Henry, con un espressione del volto davvero dolce,
come se volesse fargli capire che era un angioletto.
Il
padre di Henry non ci pensò per un istante di più, prese il telefono e
incominciò a parlare con quella signora che gli spiegò per filo e per segno
come si sarebbe svolta la trasmissione, la data, l’ora e il posto.
Continuarono
a parlare per una decina di minuti.
«Veniamo!,
certo che veniamo». Disse e riagganciò il telefono.
«C’andiamo,
certo che c’andiamo». Esclamò, con un tono di voce di pura gioia a tutti i suoi
figli; loro si avvicinarono al padre per saltargli addosso, in un modo
veramente violento. Quelli che erano seduti s’alzarono e tutti quanti i fratelli
s’osservarono con uno sguardo d’intesa. Corsero verso il padre e incominciarono
a gridare come dei pazzi.
Erano
pazzi, sì, ma dalla gioia.
Così
il loro padre si ritrovò sommerso dai suoi figli che gli stavano addosso per
abbracciarlo e fargli percepire tutta la loro felicità. Il loro padre era
contento di averli resi felici per così poco; però anche loro lo avevano reso
felice, risvegliandolo dal suo incubo e dandogli la possibilità di vivere una
seconda vita. Il loro padre e la loro madre erano davvero felici: riavevano
tutti i loro figli sani e salvi.
Tra
una settimana sarebbero dovuti andare a quella trasmissione. Tutti quanti non
stavano più nella pelle; sarebbero andati per la prima volta in televisione.
Erano
già in corso tutti i preparativi, avevano prenotato l’albergo e poi erano
andati a comprarsi dei vestiti eleganti, adatti per andare in televisione.
Il
loro padre e i quattro ragazzi, comprarono un classico abito elegante con
giacca e pantaloni di colore nero, la
camicia bianca e la cravatta di un azzurro molto acceso; la loro madre
comprò un vestito da sera elegante, con abbinato delle scarpe che avevano un
tacco non molto alto.
Henry,
fin dal primo giorno in cui suo padre aveva accettato d’andare in televisione,
aveva messo il conto alla rovescia sul suo Iphone e ogni mattina, controllava
sempre quel numero, che lentamente, scendeva e s’avvicinava sempre di più verso
lo zero.
La
sera prima dell’intervista, andarono a letto subito dopo mangiato, perché
sarebbero dovuti partire durante la notte.
Nel
pomeriggio avevano preparato le valigie, tanto ormai erano già in grado di
prepararsele da soli, visto che le avevano già fatte quando avevano deciso di
scappare per andare da Claus. Solo Neal, non era tanto pratico e infatti, i
loro fratelli lo aiutarono.
Si
misero il pigiama e solo per quella sera decisero di rimanere tutti quanti in
una camera. Infatti, i quattro ragazzi dormivano in camere separate, William e
Daniel in una stanza e Henry e Neal in
un’altra.
Soltanto
nel periodo in cui Neal era sparito, Henry si era trasferito nella camera dei
fratelli per non restare solo la notte.
I
letti di William e Daniel erano da una piazza e mezzo e per questo, ci potevano
entrare anche in due.
Si
divisero così: William con Daniel e Henry con Neal.
Avevano
spento la luce, lasciando acceso le due piccole lampade che si trovavano sopra
i comodini.
«Ci
pensate che domani sarò… cioè, saremo in televisione». Disse Henry; si sentiva
dal suo tono di voce che era davvero felice.
«Non
vedo l’ora». Disse Neal.
Dopo,
Henry prese il suo Iphone, per mettersi la sveglia.
Cominciò
a impostare delle sveglie che sarebbero suonate con una distanza di cinque
minuti; aveva paura di non svegliarsi.
«Te
lo meriti fratello, ti meriti tutta questa gloria. Hai fatto qualcosa di
veramente bello per tutte le persone». Disse William.
«Ora
si dorme». Disse Daniel e dopo, tutti quanti, chiusero gli occhi e il sonno
prese il sopravvento sul loro stato euforico.
Al
mattino, si svegliarono, fecero colazione e non appena furono pronti, uscirono
di casa con le valigie per andare a fare quell’intervista. Fuori faceva davvero
freddo e per questo, decisero di coprirsi per bene, con giacche, cappelli,
sciarpe e guanti.
Salirono
in macchina e s’allacciarono le cinture partirono. Erano tutti quanti euforici,
tanto che oltre a parlare, ogni tanto cantavano a squarciagola le canzoni che
passavano alla radio.
Arrivarono
all’ora che avevano previsto e andarono subito all’albergo, per riposarsi e
dormire per qualche ora. Quando si svegliarono andarono a mangiare fuori, tanto
l’intervista l’avrebbero dovuta fare di sera, nella fascia oraria in cui ci
sarebbero stati più ascolti.
Così,
a metà del pomeriggio si recarono agli studi televisivi, dove un assistente gli
avrebbe spiegato tutto quanto.
E
in effetti, fu proprio così, una ragazza simpatica li stava aspettando
all’entrata dell’edificio.
Li
fece accomodare in camerino e fu proprio lì che gli spiegò tutto quanto. Ora
sapevano che cosa gli sarebbe aspettato e non vedevano l’ora di partecipare.
Verso
le sette, gli portarono la cena e dopo mezz’ora li truccarono e li pettinarono.
Henry
era sia curioso che nervoso; in quell’istante si sentiva contrastato da queste
due emozioni. Così, per farsi passare quest’ansia da palcoscenico, decise di
andare a vedere lo studio televisivo.
S’incamminò
e quando con una mano spostò una grossa tenda, poté così entrare all’interno di
quello studio.
Si
trovò di fronte a un palco ben curato, con delle scene e altri piccoli dettagli
che rendevano quell’ambiente ancora più bello di quello che si era immaginato.
Al centro di quello studio c’erano delle sedie davvero belle e confortevoli. In
alto c’erano moltissime luci che sarebbero servite a rendere l’ambiente ancora
più illuminato; infatti, lì dentro c’era molto caldo.
Davanti
a se vedeva delle sedie vuote, quelle in cui ci si sarebbe seduto il pubblico.
Dietro
quelle sedie c’era uno schermo enorme.
A
pochi minuti dalla trasmissione tutta la famiglia si trovava dietro le quinte
nell’attesa che la conduttrice li chiamasse.
«Tre,
due, uno… in onda». Disse un tecnico.
«Ben
tornati, a un nuovo appuntamento della nostra trasmissione, che questa volta,
andrà in onda in edizione serale, perché abbiamo creduto che sarebbe stata la
fascia migliore». Disse un ragazza con una voce giovanile.
«Beh!,
ormai avete capito di chi parlo, di Henry, il bambino che ha salvato il natale
e naturalmente la sua famiglia». Smise di parlare per qualche istante.
«Che
entrino». Aggiunse dopo e tutta la famiglia di Henry fece l’ingresso in quello
studio. Si trovarono al centro di quello studio e anche la conduttrice si trovava
in piedi vicino a loro.
Prima
di mettersi a sedere, tutta la famiglia di Henry, abbracciò la conduttrice.
Dopo,
s’avvicinarono alle sedie e si misero a sedere.
«Benvenuti».
Disse la conduttrice.
«Grazie».
Disse Henry.
«Tu
devi essere Henry; te sei il più piccolino, quello che era stato rapito; tu sei
Daniel, quello tutto tecnologico; tu invece sei William, il grande e quello più
riflessivo e poi c’è anche mamma e papà». Disse la conduttrice.
«Ho
fatto i compiti». Disse con un sorriso. Henry non era per niente a disagio, era
rilassato, perché la conduttrice era riuscita a metterlo a suo agio.
«Allora,
mamma e papà, siete contenti di avere dei figli così bravi e altruisti?». Gli
chiese.
«Certo».
Dissero in coro e dopo, si presero la mano.
«Sono
orgoglioso di loro quello che hanno fatto è stato magnifico. E non lo dico
perché sono i nostri figli». Disse il loro padre.
«Sa,
da quando avevamo perso Neal…». Aggiunse la madre e dopo, si voltò a guardare
il suo bambino più piccolo. Neal, nella sua ingenuità da bambino le sorrise e a
lei, involontariamente le cadde una lacrima da un occhio.
«Da
quando avevamo perso Neal, non eravamo più la stessa famiglia, c’eravamo
sgretolati, era un inferno, che nessuno può immaginare, solo chi ha passato o
sta passando la stessa cosa, ci può capire.
Non
eravamo uniti, ognuno, contava solo sulle sue forze. So che sentendo queste mie
parole sembra una cosa orribile, ma dovete anche capire che cosa significa
perdere un figlio». Disse, mentre i suoi occhi diventarono leggermente umidi.
«Io
ho salvato il natale e il natale ha salvato noi». Disse Henry.
«Non
mi sento di aver fatto qualcosa di speciale, come invece pensano le altre
persone; ho fatto qualcosa, in cui credevo.
Non
potevo pensare di passare un bel natale, mentre qualcun altro, soffriva per la
crisi». Disse ancora Henry.
La
conduttrice lo stava ascoltando in silenzio.
«Come
hai fatto a sapere che Claus aveva dei problemi?». Gli chiese incuriosita.
«Beh!,
sembrerà strano e nessuno mi crederà, ma l’ho sognato. Anche i miei genitori
non mi hanno creduto e l’hanno scambiato per un capriccio, ma, fortunatamente,
i miei fratelli mi hanno creduto e siamo scappati per andare da Claus». Disse
Henry.
«Siamo
scappati, abbiamo deciso d’andare insieme a lui, perché credevamo che fosse
giusto.
Henry
si sentiva in colpa e responsabile per la scomparsa di Neal. Sa, gli abbiamo
sempre detto che non era colpa sua; ma lui non ci ha mai creduto fino a quando
Neal, non gli ha detto che non era colpa
sua.
Questo
senso di colpa lo ha spinto a voler aiutare gli altri. Anche se è una cosa
brutta da dire, questo suo senso di colpa e perciò, il voler aiutare gli altri,
l’ha reso un bambino molto altruista, rispetto agli altri della sua età.
Solamente
i miei genitori, troppo intrappolati nella loro bolla e nel loro mondo irreale,
che si erano creati fin da quando era scomparso Neal, non si erano mai accorti
di queste sue capacità. Non si sono mai accorti di quanto fosse speciale».
Disse William.
«Anche
se in quel periodo i nostri genitori, non se la passavano bene, a causa della
scomparsa di Neal, noi non ci siamo mai sentiti soli, perché noi tre, io,
William e Henry, ci parlavamo e potevamo fare affidamento l’uno sull’altro».
Disse Daniel.
«Mi
dicono che c’è qualcuno in linea». Disse la conduttrice e dallo studio
incominciarono a sentire uno squillo di un telefono. Uno, due, tre e quattro
squilli e a un tratto, smise di fare rumore. I ragazzi si erano incuriositi e
non vedevano l’ora di sentire chi c’era al telefono; ma quando sentirono quella
voce, non potevano credere a quello che sentivano dalle loro orecchie.
«Ragazzi».
Disse Claus.
«Claus».
Dissero in coro i ragazzi.
«Che
bello risentirti!» Esclamò Henry.
«Mi
mancate tanto». Disse Claus.
«Deduco
che gli vuole molto bene e che si è affezionato a loro?». Gli chiese la
conduttrice.
La
risposta di Claus fu immediata.
«Come
si fa a non affezionarsi a questi ragazzi, li guardi». Claus smise di parlare
per qualche istante e la conduttrice li guardò uno per uno.
«Sono
simpatici e spruzzano energia da tutti i pori. Gli voglio così bene, come un
nonno amerebbe i propri nipoti». Disse ancora Claus.
«Anche
noi gli vogliamo bene». Dissero i ragazzi.
Continuarono
a parlare fino alla fine del programma e dopo un po’ di minuti, riuscirono a
fare un collegamento video con Claus. I ragazzi furono molto contenti di
vederlo. Raccontarono tutti i dettagli di quel natale che avevano passato
insieme, tutte quelle cose che la stampa non era mai venuta a sapere.
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