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giovedì 25 dicembre 2014

IT'S CHRISTMAS TIME PARTE 2: IT’S CHRISTMAS TIME WITHOUT CLAUS #8

DISCLAIMER:
È assolutamente vietato copiare il contenuto dei post incentrati sulle mie storie. Tuttavia potete copiare la sinossi e condividere sui vostri blog la data d'uscita dei capitoli successivi.

Per leggere i capitoli della prima parte, clicca qui.

Per leggere il settimo capitolo di It's christmas time parte 2, clicca qui.

"Non so se farò in tempo a scrivere l'ultimo capitolo di questa storia, molto probabilmente potrebbe slittare di qualche giorno.
A gennaio ho deciso di continuare l'altra storia ACROSS THE TIME, perché è davvero tanto tempo che non posto un nuovo capitolo. Adesso, so come portarla avanti, ed è una cosa davvero bella e originale.
Mi è venuto in mente un'idea per portare avanti questa storia e per fare questo, probabilmente, avrò bisogno di scrivere un prequel.
SE TI E' PIACIUTA QUESTA STORIA, CONDIVIDILA, PER FARLA CONOSCERE ANCHE AI TUOI AMICI.
Fatemi sapere se vi piace questa storia, se avete da criticare, fatelo pure, perché le critiche sono costruttive. Mi piacerebbe ricevere un vostro giudizio. Grazie per aver letto questa storia. Non perdete il NONO CAPITOLO, IL 31 DICEMBRE ORE 21:00"

CAPITOLO 8: IT’S CHRISTMAS TIME WHITOUT CLAUS

Stettero in silenzio per qualche minuto, non sapevano cosa dirsi, nelle loro menti, scorrevano le immagini di Claus, solo e impaurito.
Henry se lo vedeva ancora davanti a se, come nel suo sogno e lui, più di tutti gli altri, vedeva come stava realmente.
«Accidenti!». Esclamò e gridò Henry.
Tutti quanti si voltarono verso di lui, dopo che aveva pronunciato quella parola; non era da lui, non aveva mai imprecato.
Dopo, abbassò la testa verso il tavolo e quando la rialzò, l’espressione della sua faccia aveva assunto una strana espressione, un misto tra il triste e l’incazzato.
«Maledizione!». Imprecò ancora. Dopo tirò un pungo, contro il tavolo, facendo vibrare tutte le cose che si trovavano sopra.
«Henry, che c’è?». Gli chiese sua madre.
«Io…, io… l’ho sognato, l’ho visto, ho visto come stava al buio, sporco  e legato. Io ero lì con lui e non potevo fare niente». Disse ancora Henry.
«Non avercela con te». Gli disse Sulac.
Henry s’alzò dalla sedia in un modo molto rumoroso, facendola strusciare sul pavimento.
«Non capisci!». Gridò e in quel preciso istante, non riuscì a trattenersi. La sua anima era piena di dolore e di un senso d’impotenza.
«Non capite!». Disse ancora e i suoi occhi, da prima lucidi di lacrime, iniziarono a scendere, fino a rigargli la faccia.
«Lui è lontano e io ho visto quella casa, ma non so dove si trova. Mi sento inutile». Disse con il cuore in mano e dopo quelle parole, il suo pianto diventò molto dirompente, arrivando perfino a singhiozzare.
Appoggiò i palmi delle mani sul tavolo, abbassò la testa e le sue lacrime incominciarono a cadere vicino alla sua tazza; lentamente, lacrima dopo lacrima, la chiazza sul tavolo si stava ingrandendo sempre di più.
«Quello che hai visto è una cosa utile e che aiuterà molto nelle indagini». Gli disse Sulac.
Henry alzò la testa, fino a incontrare gli occhi di Sulac, forse, in parte l’aveva convinto. Detestava queste sue capacità, quando non lo portavano a niente.
Henry si rimise a sedere e s’avvicinò al tavolo. Se da fuori dava l’impressione d’essersi calmato, in realtà dentro di se, era pieno di rabbia, per non aver capito subito, qualche mese fa, che Claus era in pericolo.
Avrebbe tanto rivoluto sognarlo, per capire dove si trovava quella casa,  per parlargli e fargli capire che non era solo; ma queste cose non le poteva fare, non poteva parlare nei sogni e  imporsi di sognare.

Tutti quanti si guardavano, ma nessuno di loro aveva intenzione di parlare, anche se, qualcuno prima o poi, l’avrebbe dovuto fare.
Quando ti trovi di fronte a un bivio, sei sempre costretto a scegliere; ognuno di noi, sceglierebbe la possibilità migliore.
Ma qui non c’era una scelta migliore: se avessero scelto Claus, avrebbero perso il natale e se, invece, avessero scelto il natale, avrebbero perso Claus.
In questo caso, era molto difficile scegliere, qualunque scelta avessero fatto, qualcosa c’avrebbe rimesso.
«Cosa facciamo?». Chiese Henry. Tutti quanti lo guardavano, ma non sapevano dargli una risposta.
«Salviamo, mio padre». Disse Clary. Tutti quanti si voltarono verso di lei. Ognuno di loro stava ragionando e pensando alla soluzione migliore.
Certo, questa era una possibilità, ma in questo caso, nessuno avrebbe avuto il natale. Forse, era questo che volevano i rapinatori di Claus, erano delle persone che odiavano a tal punto il natale, da non volere che nessun’altro lo festeggiasse.
Se fosse stato veramente così, queste persone sarebbero state veramente crudeli; come si fa a togliere il natale alle persone?.
Chi potrebbe mai poter volere una cosa del genere?. E per quale motivo?; si chiesero tutti quanti in quel preciso istante, senza sapersi dare una risposta.
«In questo modo, nessuno avrebbe il natale, nessuno la mattina del venticinque avrebbe i regali da scartare. In questo modo, porteremo via la felicità a tutti.
Ho lottato così tanto l’hanno scorso contro la crisi, che aveva quasi impedito a tuo padre di consegnare tutti i regali.
Ho lottato anche contro chi  non credeva nelle mie idee e mi credeva soltanto un po’ megalomane». Disse Henry guardando dritta Clary.
I genitori di Henry si presero per mano, dopo aver sentito le ultime parole di Henry. Ci stavano ancora male, quando pensavano a quel periodo della loro vita, senza Neal e per il modo in cui avevano trattato i loro figli; lentamente, giorno dopo giorno, si buttavano quel passato dietro le spalle, ma non era per niente facile.
«Ma se non fermiamo il natale, rischiamo di perdere Claus». Disse ancora Clary e dopo, William le prese una mano per stringergliela tra la sua.
«Ha ragione!, Henry, ha ragione». Disse William a Henry.
«Ha ragione». Dissero tutti quanti in coro.
Erano tutti d’accordo con Clary, salvare Claus a discapito del natale di tutto il mondo; in tutto questo pensare, non si erano fatti la domanda fondamentale, che, invece, Henry s’e l’era fatta e aveva trovato anche la risposta. Sapeva che cosa era giusto fare.
S’alzò dalla sedia e si mise in piedi, di fronte a tutti loro. Lentamente, la sua espressione facciale cambiò, da serena passò ad arrabbiata, in pochissimi secondi.
Batté  un’altra volta il pugno sul tavolo.
«Te, ti sei bevuto il cervello da quando stai con lei, accetti tutto quello che dice lei, senza neanche ragionare». Disse Henry a William con un tono di voce molto cattivo e per certi versi, arrogante e presuntuoso.
«Come ti permetti, visto che ti ho sempre aiutato a….». Henry non gli diede nemmeno il tempo di finire la frase. Se non fosse stato suo fratello, sicuramente non si sarebbe fermato e forse, sarebbe arrivato perfino alle mani.
«Zitto!, ma prima di chiedervi che cos’è giusto fare, vi siete mai chiesti che cosa avrebbe voluto fare Claus.
Che cosa avrebbe fatto Claus, se si fosse trovato nella nostra situazione.
Lui che l’anno scorso ha lottato contro tutti e tutti, per salvare il natale.
Tra lui e il natale, avrebbe sempre scelto il natale. Quando lo ritroveranno, fategli questa domanda, sono sicuro al cento per cento, che vi dirà che avrebbe voluto salvare il natale». Disse Henry.
Tutti quanti rimasero ad ascoltare il discorso di quel bambino, che giorno dopo giorno cresceva sempre di più e diventava un ragazzo, molto saggio e in grado di vedere e capire delle cose che gli altri non riuscivano a comprendere.

Non volle sentire la loro risposta, così decise d’andarsene nella sua camera. Gli aveva detto come la pensava, senza peli sulla lingua.
Era sicuro che se Claus fosse stato lì con loro, gli avrebbe dato la sua  stessa risposta.
Non aveva niente da fare, così, si sdraiò sul letto e andò a controllare la pagina facebook di Claus.
Dopo, andò anche a controllare la posta che gli era rrivavata; aveva davvero tanti messaggi.
“Non vedo l’ora che arrivi!
“Non vedo l’ora di vederti scendere per il camino”. Henry, sorrise quando lesse quella frase e si ricordò di quando Claus, rimase incastrato nel camino, l’anno scorso, quando avevano fatto il giro del mondo per consegnare i regali.
“Non vedo l’ora di scartare i regali, sperando che siano quelli che ti ho chiesto”. Questo qui doveva essere un bambino.
“Grazie per farmi felice e grazie a tuo fratello per aver abbassato le tasse e quasi sconfitto la crisi”.Questo, invece doveva essere un adulto.

Decise d’aggiungere un nuovo post su facebook, per fare sapere a tutti che cos’era successo a Claus. Tutto il mondo aveva il diritto di sapere la verità.
“Come sapete, Claus era sparito e credevamo che si fosse allontanato in montagna, per delle notizie che aveva ricevuto, invece, ora crediamo che sia stato rapito.
I rapitori ci hanno dato un ultimatum: se non consegniamo regali, ci ridaranno Claus.
Vi confesso che io (henry), vorrei consegnare i regali, perché sarebbe stato quello che avrebbe voluto Claus, ma il resto della mia famiglia è contrario alla mia idea”. Scrisse, lo rilesse e dopo averlo controllato, lo postò.
Dieci minuti più tardi, cominciarono ad arrivare moltissimi commenti a quel post.
“Non lo vogliamo il natale, niente regali quest’anno, ma salvate Claus, scegliete lui”.
“Salvate Claus”.
“Lui ha fatto tanto per noi, ora siamo noi che per la sua salvezza, rinunciamo ai regali e al natale”.
Quei commenti, erano scritti con parole e lingue diverse, ma dicevano tutti la stessa cosa e facevano trasparire l’affetto che provavano per Claus.

Di sotto, tutti quanti s’erano messi a discutere sul da farsi; incominciarono a ragionare sulle parole pronunciate da Henry. C’era chi ragionando sulle sue parole, aveva capito che era la scelta giusta da fare, per quanto potesse essere rischiosa per  la vita di Claus.
C’era anche chi non era d’accordo con le parole di Henry, perché forse, non le aveva capite e guardava la situazione dal punto di vista sbagliato.
Ognuno diceva la propria opinione, ma nessuno di loro riusciva ad arrivare a una conclusione.
Alla fine dopo, molte ore, riuscirono a capire che la scelta di Henry era quella giusta.
Continuarono, come il giorno precedente, a organizzare il natale: c’era chi impacchettava e metteva i regali nel sacco, chi li costruiva, chi li andava a comprare, chi prendeva i regali che arrivavano tramite la posta e chi controllava la posta elettronica.
I ragazzi stavano impacchettando i regali.
«Scusa William, per come ti ho trattato, ma dovevo farvi capire come la pensavo e voi, vi eravate fossilizzati sulla scelta sbagliata». Gli disse Henry, sperando che lo perdonasse.
«Non c’è bisogno che ti scusi, non c’è l’ho con te. Hai fatto bene a comportarti in quel modo, dovevi farci capire qual’era la scelta giusta.
 Non mi sarebbe piaciuto fare una scelta diversa dal pensiero di Claus». Gli rispose William e dopo gli sorrise.

I giorni passavano e il natale s’avvicinava sempre di più; non avevano ancora avuto notizie di Claus e questa cosa, li faceva rattristire molto.
Gli elfi continuavano a lavorare per consegnare tutti i regali il giorno di natale, confezionando i pacchi fino all’ultimo minuto.
Qualche giorno prima di natale, i ragazzi andarono dai sarti, che come l’hanno scorso, gli avrebbero preparato dei vestiti come quello di Claus.
Così s’incamminarono fino alla stanza dei sarti, che si trovava all’ultimo piano della casa. Dopo, svariate rampe di scale, arrivarono di fronte a quella porta.
William, Daniel e Henry avevano in mano i vestiti che avevano utilizzato l’anno scorso.
Di sicuro, non gli andavano più bene, perché nel corso di un anno erano cresciuti molto, soprattutto il piccolo Henry.
«Quelli che cosa sono?». Chiese Clary a William.
«Questo è il vestito che ho usato l’anno scorso quando, insieme a tuo padre ho fatto il giro del mondo». Le rispose con un sorriso.
Aprirono la porta ed entrarono dentro e dopo, la richiusero.
In quella stanza c’erano molte macchine da cucire, stoffe di ogni tipo, aghi, fili e tutti gli altri oggetti che utilizzavano gli elfi sarti.
Quando gli elfi sarti li videro entrare, gli sorrisero.
«Mamma!, quanti siete». Disse un elfo, dopo averli guardati tutti quanti.
«Fate tutti quanti il viaggio?». Gli chiese un altro elfo.
«Sì». Risposero in coro.
Elfo li contò per uno, spostando il dito della mano verso ogni ragazzo e ragazza.
«Uno…, due,…, tre…, quattro…, cinque…, sei…, sette…, otto…». L’elfo finì di contarli, erano otto.
«Mamma mia quanti siete, dobbiamo fare otto vestiti». Disse l’elfo.
«No». Disse William.
«Non dirmi che siete di più». Chiese un elfo spaventato all’idea.
«No, siamo di meno, io, Henry e Daniel, ci siamo ricordati di portare i nostri, ma forse li devi allungare». Gli disse William.
«No, problem». Gli rispose l’elfo.
Così, ogni elfo sarti che si trovavano in quella stanza, avrebbe lavorato a due vestiti; perché gli elfi sarti di Claus erano appunto quattro.
Gli incominciarono a prendere le misure, così da fargli dei vestiti su misura e perfetti.

Così arrivò la mattina del ventiquattro dicembre. Tra poche ore sarebbero partiti.
Nei giorni precedenti, avevano provato gli abiti creati dagli elfi sarti e gli stavano veramente appennello.
Quel natale sarebbe stato fantastico per il fatto che avevano scoperto che Claus era il loro nonno e allo stesso tempo, era molto triste per il fatto che Claus era lontano e rapito da qualcuno che lo teneva prigioniero.
Si può essere felici e tristi allo stesso tempo,? perché era così che si sentiva Henry.
Quella mattina, Henry, si svegliò molto presto, non aveva sonno e non aveva voglia di restare a girarsi nel letto, così decise di uscire.
Si tolse il pigiama e si mise i jeans, le scarpe, la t-shirt e la felpa.
Si voltò e vide che i suoi fratelli erano sempre a letto. Lasciò la camera e scese le scale per arrivare in cucina, dove l’elfo cuoco era già in piedi a preparare la colazione.
«Ma non dormi mai?». Gli chiese Henry, mentre si metteva a sedere sulla sedia del tavolo della cucina.
«Certo che dormo, ma mi sveglio prima, per far si che voi possiate trovare la colazione pronta e calda». Gli rispose e poi, si voltò verso la cucina.
«Sono d’accordo con te, con la tua scelta, Claus avrebbe portato avanti  il natale a qualunque costo». Gli disse dopo qualche secondo. Henry alzò la testa fino a vedere l’elfo cuoco.
L’elfo mise davanti a Henry una tazza e dopo, gli ci versò il latte caldo, il caffè, due cucchiai di zucchero e una manciata di cereali al cioccolato.
«Sai…». Gli disse e dopo, si voltò per mettere altro latte a scaldare e a pulire la cucina.
Poi, si voltò verso di Henry, che era rimasto a guardarlo nell’attesa che finisse la sua frase.
«Claus, a volte è troppo testardo, ma questa sua qualità lo rende una persona migliore. Come l’anno scorso, quando ha lottato contro tutto e tutti, per portare il natale a tutti quanti». Disse l’elfo.
Anche Henry, la pensava esattamente come l’elfo cuoco. Quando finì di mangiare, lasciò la cucina e vide i suoi fratelli che stavano scendendo le scale.
Andò a cercare Sulac, aveva bisogno di chiedergli una cosa. Si mise a cercarlo per tutta la casa e lo trovò nel magazzino, dove impacchettavano i regali.
«Ciao, mattiniero». Gli disse Sulac con un sorriso e dopo, gli scompigliò i capelli. Henry lo guardò male per qualche secondo e poi, si rimise i capelli apposto con le mani.
«Mi servono dei fogli, un lapis, una gomma e delle matite colorate». Gli disse Henry.
Sulac lo portò nella stanza dove gli elfi domestici, amministravano la posta di Claus e tenevano anche tutta la cancelleria. Da un cassetto prese tutto quello che gli aveva chiesto e glielo consegnò.
«Cosa ci devi fare?». Gli chiese incuriosito.
Henry non gli rispose, presto, dopo la loro partenza l’avrebbe scoperto.

Ritornò nella sua camera, si mise a sedere davanti al computer e per prima cosa controllò la posta di Claus. C’erano tantissime e-mail, ma in quel momento, non poteva rispondere a nessuno.
Spostò la tastiera e il mouse, per farci entrare un foglio, prese in mano la matita per cominciare a disegnare.
Cominciò a disegnare Claus, come lo aveva visto nel suo sogno, sperando che quel disegno potesse portare a qualcosa; una speranza in più per ritrovarlo. Disegnare Claus, non era facile, ma neanche difficile; ogni volta che vedeva nella sua mente l’immagine di Claus prigioniero, provava un dolore immenso dentro di se.
Dopo, disegnò anche altri particolari di quella casa, anche il più piccolo dettaglio poteva essere fondamentale per ritrovare Claus.
Infine, dopo aver disegnato, incominciò a colorarli.
Quando finì, fece una specie di busta con un foglio di carta e ci mise dentro tutti i disegni che aveva fatto, scrivendoci sopra “X Sulac”.

L’elfo cuoco e i suoi aiutanti, andarono al supermercato per comprare tutto il cibo che gli sarebbe servito per cucinare la cena di natale.
Quest’anno sarebbe stato un natale diverso, un natale senza Claus. Alcuni potrebbero pensare che festeggiare senza Claus possa essere una cosa crudele, ma l’elfo cuoco sapeva che Claus avrebbe voluto che tutti quanti, nonostante la sua assenza, fossero felici.
“È straordinario il modo in cui Henry, a differenza degli altri, riesce a capire così profondamente Claus”. Pensò l’elfo cuoco.
Così, prese la sua macchina e s’avviò fino al supermercato. Sapeva già che cosa comprare, perché nei giorni precedenti, aveva buttato giù un menù davvero speciale, da leccarsi i baffi.
Come antipasto avrebbe fatto la polenta fritta con salsa con di funghi e degli assaggi di prosciutti e formaggi; come primo, le lasagne e cannelloni con ricotta e spinaci; come secondo, la carne alla brace, insalata mista e patate arrosto e come dolci, quelli tipici del natale, pandoro e panettone fatti in casa.
Non appena tornò a casa, si mise subito a preparare i dolci, perché ci sarebbe voluto davvero tanto per la cottura; nel frattempo, preparò la pasta fresca fatta in casa, per le lasagne e i cannelloni, visto che riusciva a mantenersi per un giorno.

Quel giorno, il tempo sembrava non passare mai. Finalmente era arrivato il giorno di natale; l’unico giorno dell’anno in cui i cuori di grandi  e piccini battevano per lo stesso desiderio: Claus.
Henry si svegliò non appena il suo iphone incominciò a suonare; erano le sette in punto. Si alzò e si mise a sedere sul letto, mentre aveva ancora le coperte sulle gambe.
Il sole cominciava a sorgere e a entrare dalle stecche dell’avvolgibile.
Scese dal letto e si tolse il pigiama, per indossare i suoi vestiti. Guardò i suoi fratelli, stavano ancora dormendo.
S’avvicinò alla finestra e attraverso le stecche dell’avvolgibile, si mise a guardare fuori e s’accorse che era ancora un po’ buio, infatti, il sole stava cominciando a fare capolino dall’orizzonte; durante la notte aveva nevicato, rendendo così il panorama ancora più mozzafiato.
Era arrivato il ventiquattro dicembre e anche loro tra qualche ora avrebbero scartato i loro regali. Era natale, eppure Henry, quest’ anno non lo sentiva. Non poteva essere natale, senza Claus, suo nonno, eppure lo era.
Prese il suo cellulare tra le mani, per controllare la sua posta elettronica, non aveva ricevuto nessun messaggio.
Così, decise di uscire dalla sua camera, per raggiungere la cucina e fare colazione.
Scese le scale e dopo pochi passi, raggiunse la cucina. Lì, trovò tutti quanti a sedere a fare colazione.
Parlavano e discutevano delle ultime cose da fare; sì, c’erano ancora piccole cose da fare.
C’erano i suoi genitori che sorseggiavano il caffè, Clary e Gabriel che stavano mettendo i cereali nella tazza del latte e caffè e Sulac e la Befana stavano inzuppando i biscotti nel latte.
Li osservò per qualche istante, era la stessa scena che aveva visto l’hanno scorso, tuttavia, ad Henry sembrava diversa, poteva negarlo verso gli altri, ma l’assenza di Claus si sentiva.
Claus era il leader, non perché comandasse tutti a bacchetta; no, lui era lo spirito del natale e il collante che teneva tutti quanti uniti.
Ad Henry gli bastava chiudere gli occhi per vedere l’immagine di Claus sorridente e questa cosa, riusciva a mandarlo avanti e a farlo lottare contro le ingiustizie del mondo.
A volte si chiedeva: “Come l’uomo poteva essere così crudele con i suoi simili, quando gli animali dimostravano delle capacità che l’uomo sembrava aver perduto?”, ma in quel preciso istante, non si sapeva dare una risposta.
«Buon giorno». Disse Henry, non appena entrò dentro la cucina.
Tutti quanti lo guardarono e si misero a sorridergli.
«Buon giorno». Gli disse sua madre.
«Pronto?». Gli chiese Sulac.
Henry lo guardò negli occhi e dopo, si mise a sedere.
«Certo…». Disse sospirando.
«Anche se…». Sospirò ancora Henry, gli era difficile spiegare agli altri quanto soffriva per la mancanza di suo nonno Claus; ma il suo sguardo e i suoi occhi parlavano per lui.
«Ti capisco… ti capiamo…». Gli disse la Befana.
Si mise a fare colazione con latte e cereali.

Dopo una mezz’oretta, anche i suoi fratelli si svegliarono e fecero colazione.
Tutti i ragazzi aiutavano gli elfi a mettere gli ultimi regali nei sacchi. C’erano ancora gli ultimi pacchi da mettere li dentro.
I loro genitori erano inpeganti a scrivere il nome, cognome e l’indirizzo del destinatario di ogni pacco. Sulac  e la Befana erano impegnati a impacchettare gli ultimi regali.
Non stavano più costruendo i regali, perché avevano già finito con qualche giorno d’anticipo, rispetto al previsto e non arrivavano nemmeno più i regali donati dalle persone. Quelli non erano regali riciclati, ma non utilizzati, che poi, avrebbero ripreso vita nelle mani di altre persone.
Neal prese un pacco e lo mise nel sacco, ma questa volta, per puro caso, lo osservò e mentre cadeva, s’accorse che diventava sempre più piccolo fino ad assumere la forma di un puntino.
Dopo, Neal si voltò verso Henry, con un espressione sbalordita.
«Ma che è successo al pacco?». Gli chiese e Henry si voltò a guardarlo e dopo, gli sorrise.
«Anch’io ero curioso un anno fa. È diventato piccolo, come nella borsa  di Mary Poppins». Gli rispose, mentre continuava il suo lavoro.
Ricominciarono a mettere i pacchi nel sacco.
«E il tempo, come facciamo a consegnare tutti questi regali in una sola notte e a fare il giro del mondo?». Gli chiese ancora Neal.
«Di notte il tempo si ferma e le persone dormono di più e non si accorgono di questa cosa. Il tempo rallenta piano piano, fino a quando, dolcemente, si ferma e quando abbiamo consegnato l’ultimo regalo, ricomincia a ripartire molto lentamente». Gli spiegò Henry.
Il piccolo Neal sembrava soddisfatto e affascinato da quelle spiegazioni.
«Però, non ci ha mai detto come fa a volare la slitta». Ammise William.
Clary si voltò verso di lui.
«Non te l’ha mai detto, che cattivo che è stato mio padre. Come può non avervi detto una cosa così bella, per il significato che ha in se».
«Sappiamo che c’è una polvere magica». Le rispose Henry.
Clary scosse la testa sconcertata e s’incamminò verso l’entrata della casa.
Tutti quanti rimasero, lì, vicino al sacco. Quando s’accorse che nessuno la stava seguendo, si voltò a guardarli.
«Venite!, vi voglio dire come fa a volare la slitta, ma è più bello se mentre ve lo spiego, ve lo faccio vedere con i vostri occhi». Gridò per farsi sentire.
Tutti quanti la raggiunsero, dopo pochi secondi. Aprì la porta di casa ed entrarono dentro. La seguirono, pensando che dopo la cucina avrebbero dovuto salire le scale, per raggiungere i piani superiori. Invece, proseguirono lungo il corridoio e s’avvicinarono a una porta che si confondeva con il muro, infatti, non se ne erano mai accorti.
Clary l’aprì e dopo aver sceso una rampa di scale molto ripida, si ritrovarono in una stanza sotterranea, con tutte le parti ricoperte di un legno scuro.
Non riuscivano a vedere bene che cosa ci fosse di tanto speciale in quella stanza, ma quando Clary accese la luce, tutto l’ambiente s’illuminò, mostrando tutta la sua bellezza, nascosta dall’oscurità.
Quella stanza era molto grande, perché percorreva tutta la superficie della casa.
Clary si spostò al centro di quella stanza e s’avvicinò a dei grossi contenitori di vetro.
«Vedete, questo contenitore contiene la polvere che ci permetterà di volare stasera». Gli disse e poi, gliela indicò con un dito.
Henry si guardò attorno e s’accorse che accanto a quel contenitore di vetro che conteneva la polvere per volare, c’è n’era un altro, ma lì, la polvere era nera e in quello indicato da Clary era un bianco che riusciva a cangiare tutti i colori.
«Quell’accanto, perché ha la polvere nera?». Gli chiese Henry.
«Questo…». Disse e appoggiò un dito sul contenitore.
«Questa è la polvere che non farà mai volare la slitta». Gli disse e Henry e i suoi fratelli la guardarono in un modo perplesso.
«Vedete, la polvere magica, questa bianca, nasce dalla bontà e dai desideri delle persone. Se una persona fa una cosa buona si crea la polvere bianca, ma se poi fa una cosa cattiva, la polvere che si viene a creare, passa da quel tubo che collega i due contenitori e diventa nera.
La polvere nera, non può essere trasformata in bianca». Gli disse.
Tutti quanti rimasero affascinati dalla spiegazione di Clary, sapevano una cosa che il resto del mondo, non avrebbero mai saputo e per questo, si sentivano fortunati e privilegiati. Loro erano parte della famiglia di Claus e per questo, Clary glielo aveva detto e Claus l’anno scorso era stato molto vago.

A un’ora dalla partenza si vestirono; erano pronti e niente e nessuno gli avrebbe fermati. Sembravano dei piccoli Claus.
Erano tutti vestiti di rosso, con il cappello in testa.
Montarono sulla slitta, ci stavano a malapena, ma per assistere a questa avventura mozzafiato, erano disposti a stringersi. Dietro di loro c’era il sacco ben legato e fissato alla slitta.
Un elfo incominciò a cospargere la slitta con quella polvere, era la bontà delle persone a farla volare.
Incominciarono ad alzarsi da terra e quando inizziarono a volare, la slitta lasciò dietro di se una scia bianca e scintillante.
Henry era il capo di questa grande impresa, infatti, guidava le renne attraverso la briglia alla quale erano legate le renne.
Lentamente, il tempo si fermò e per questo, i movimenti della luna si fermarono.
Passarono di casa in casa, lasciavano i regali e a turno, mangiavano quelle cose che gli lasciano le persone.
Tutte le volte che Henry vedeva un camino gli veniva in mente quando Claus ci era rimasto incastrato. La verità era che gli mancava Claus, gli mancava come l’aria che respirava; ora che aveva scopeto che era suo nonno, l’avrebbe voluto conosce meglio.
Avrebbe rivisto Claus, questa era una cosa che sentiva dentro di se; il bene trionfa sempre sul male; questo non poteva essere la fine, ma l’inizio di una rapporto tra nonno e nipote.
Stavano facendo il giro di tutto il mondo e anche se queste persone avevano delle culture diverse, per quel giorno, i loro cuori battevano per Claus. Non c’erano differenze tra le persone, anche se nella vita di tutti i giorni erano diverse.

Henry preso dalla stanchezza, s’addormentò a metà del viaggio, così Gabriel lo prese in braccio e lo sdraiò sulla poltroncina della slitta, facendogli appoggiare la testa sulle sue gambe e William prese il suo posto e continuarono così a fare il giro del mondo.
Lentamente, Henry entrò nel mondo dei sogni, un mondo tutto suo, in cui, i suoi desideri potevano diventare realtà.
Dopo qualche minuto, vide Claus; non sapeva se si trovava sempre nella stessa casa, c’era qualcosa di diverso, ma la stanza era troppo al buio per poter esserne certo.
Poi, lo vide, era lì sdraiato e con le mani incatenate. I suoi vestiti erano ancora più sporchi e la sua barba era cresciuta molto rispetto all’ultima volta. Teneva gli occhi socchiusi e sotto aveva delle occhiaie da far paura. Faceva fatica a tenere gli occhi aperti e anche quando riusciva a tenerli aperti, erano molto tristi;  no, quelli non erano i suoi occhi.
Si vedeva che era dimagrito, perché la sua faccia era infossata e si vedevano quasi gli ossi della mandibola.
Aveva i polsi tutti feriti, con il sangue secco attaccato alla maglia e alla pelle, evidentemente si strattonava per liberarsi.
Quello che vedeva davanti a se non era Claus, se qualcuno l’avesse visto per la strada, non lo avrebbe mai riconosciuto.
Stava rannicchiato con le ginocchia portate al petto, dormiva, perché russava. Non era un sonno tranquillo, come quello che faceva nel suo letto.
Incominciò a parlare nel sonno, proprio come faceva il padre di Henry; evidentemente, questa cosa era un difetto di famiglia.
“No, Henry… Henry, sono tuo nonno, voglio conoscerti meglio, voglio vederti crescere, non può finire così, no…, non può.
Sono Claus, sono Babbo Natale, ho sempre fatto del bene, il mio karma lo sa. Il bene che ho fatto per gli altri, mi salverà, qualcuno mi salverà”.
Henry si svegliò e insieme a tutti quanti continuò il giro del mondo visitando l’Europa, l’Asia, l’africa, l’Oceania e l’America.
Lentamente,  il tempo smise di essere bloccato e ancora più lentamente, ricominciò a scorrere. Stavano viaggiando con la luna in alto nel cielo e lentamente, con il passare del tempo, avrebbero raggiunto il sole che sorge nelle prime ore del mattino.

Lì, nella casa di Claus, il tempo non si era fermato, perché era protetta dalla polvere magica. Gli elfi di Claus si stavano rilassando, visto che non avevano più niente da fare, invece quelli della Befana, anche in sua assenza, stavano confezionando le calze.
Così alla sera, dopo cena, si ritrovarono tutti quanti intorno al tavolo.
Le indagini sulla scomparsa di Claus non stavano portando a niente, ormai sapevano che non si era perso in montagna, non erano nemmeno riusciti a trovare quella casa descritta da Henry. Non si sarebbero dati per vinti, l’avrebbero cercato in lungo e in largo, non si sarebbero mai arresi, no, non lo avrebbero mai fatto.
«C’è qualcosa che non mi torna». Disse Sulac a tutti quanti.
Seduti al tavolo c’erano i genitori di Henry, la Befana, l’elfo contabile  e quello tecnologico.
«Che cosa?». Gli chiese la Befana.
«La scomparsa di Claus e la richiesta dei rapitori del fermare la consegna dei regali in cambio del rilascio di Claus, Perché?, per quale motivo?. Non riesco a trovare un filo logico, questa cosa non ha senso. Chi potrebbe essere stato un fanatico che odia il natale, fino al punto di chiedere una cosa del genere». Disse Sulac.
«Può essere». Gli rispose l’elfo tecnologico.
«Un fanatico sarebbe stato un dilettante, avrebbe fatto errori, errori che ci avrebbero fatto scoprire dove si trova Claus.
Non credo che sia un fanatico, ma sia qualcuno molto ben organizzato. Credo che il fatto di averci chiesto di fermare il natale, sia stato soltanto un diversivo, forse per vedere se accettavamo le sue richieste». Disse ancora Sulac e dopo, smise di parlare, non sapeva più cosa dire.
«Mi dai il tuo cellulare?». Chiese l’elfo tecnologico a Sulac.
Sulac prese il suo cellulare dalla tasca dei pantaloni e glielo consegnò.
L’elfo tecnologico lo prese in mano.
«Vediamo se riesco a capire da dove è partita questa e-mail». Gli disse. Così, s’alzò da tavolo per raggiungere la sala computer, dove avrebbe potuto sapere da dove era partita quella e-mail.
Si mise a trafficare al suo computer per scoprire l’indirizzo IP di quella e-mail. Non era una cosa semplice da fare, ma per lui era un gioco da ragazzi.

Nel frattempo, tutti quanti erano rimasti in cucina, discutevano per trovare una spiegazione, ma non riuscivano a capirci niente.
Gli sembrava di essere vicini alla soluzione, eppure, allo stesso tempo, erano molto lontani.
Un foglio piegato al centro del tavolo catturò l’attenzione di Sulac, allora, mentre gli altri discutevano, lo prese in mano e lo aprì.
Davanti ai suoi occhi si ritrovò di fronte al disegno di Henry. Magari quel disegno avrebbe potuto aiutare le ricerche di Claus.
Lo osservò bene, ma non riconobbe quella stanza. La sua attenzione ricadde su suo fratello e il modo in cui l’aveva disegnato Henry, sofferente, triste e solo.
Gli mancava molto suo fratello, anche se dall’esterno non lo dava a vedere. Gli mancava come l’aria che respirava. Non poteva fare niente e questa cosa lo faceva imbestialire.
Era venuto in Lapponia per passare tutto il tempo con suo fratello, invece, non l’aveva fatto. L’avevano rapito ed era chissà dove, al freddo, solo e senza l’amore e l’affetto della sua famiglia.
Non si era mai immaginato un Claus sofferente, perché una parte di se non lo voleva ammettere, fino a quando non aveva visto quel disegno di Henry.
Dopo un po’ di tempo, tornò l’elfo tecnologico con il cellulare di Sulac tra le mani e lo sguardo verso il basso.
«Mi dispiace». Disse e s’avvicinò fino alla sua sedia.
«Non riesco a trovare l’indirizzo IP è stato secretato». Gli disse.
«Ci riproverò, ma non so se ci riuscirò». Disse ancora l’elfo tecnologico.
«Questo vuol dire che ha rapirlo è stato un informatico?». Chiese il padre di Henry a Sulac.
Sulac si portò la mano all’altezza della mandibola e si mise a pensare, per dargli una risposta.
Di getto gli avrebbe detto di sì, ma a un occhio più attento e ragionandoci per qualche secondo, aveva capito che la risposta poteva essere anche no.
«No, non è detto. Per esempio il rapitore, avrà sicuramente dei complici. A questo punto, sono sicuro che siano più di uno, ci sarà un capo». Disse Sulac.
«Dobbiamo portare questo disegno alla polizia, magari li può aiutare». Disse la Befana.
Sulac portò la schiena indietro verso il pavimento e poi, mise le mani dietro la testa fino a incrociare i diti.
«La cosa strana e che sono io quello che è stato minacciato e hanno rapito mio fratello». Disse Sulac, mentre era sovrappensiero. Quando si rese conto di quello che aveva appena detto, capì che forse non erano state due cose così scollegate.
In quell’istante si sentì osservato, tutti quanti lo stavano osservando con uno sguardo stralunato.
«Che cosa?». Gli chiese l’elfo contabile.
«Sono stato minacciato alla fine dell’estate, ma non ci ho dato peso, perché quando tentavo di entrare in politica e avevo queste mie idee che avrebbero stravolto il mondo, avevo un nuovo modo di vedere la politica e per questo, venivo minacciato.
Non avevo paura che mi facessero del male, ma che lo facessero a voi. A tutti voi: ai miei familiari, la famiglia di Henry e voi elfi».
Tutti quanti smisero di parlare.
L’elfo tecnologico prese il cellulare di Sulac per controllare l’e-mail che aveva ricevuto alla fine dell’estate, quella nella quale era stato minacciato per il suo lavoro.
Così, s’alzò dal tavolo e andò nuovamente nella stanza in cui teneva i computer e si rimise a cercare da dove era stata spedita quell’e-mail. Aveva paura di fallire anche questa volta; lui non aveva paura delle sfide, anzi, in questi casi dava sempre il meglio di se. Questa volta era diverso, aveva capito che chi spediva quell’e-mail era molto più bravo di lui.
All’improvviso, dagli occhi di Sulac incominciarono a scendere delle lacrime. Aveva capito, aveva capito tutto. Si sentiva in colpa, molto probabilmente, avevano rapito Claus per colpa sua. Se solo avesse preso in considerazione quell’e-mail in cui veniva minacciato.
Perché avevano rapito Claus?, si chiedevano tutti quanti in quel preciso istante; tranne Sulac che aveva capito tutto; davanti ai suoi occhi non vedeva quello che aveva davanti a se, i genitori di Henry, la Befana e l’elfo contabile, ma suo fratello, come nel disegno di Henry.
«È stata tutta colpa mia!, hanno rapito mio fratello, perché sono stato troppo ostinato, sono troppo cocciuto e quando credo nelle cose, le porto avanti senza guardare in faccia nessuno…». Disse Sulac e dopo, si prese una pausa e smise di parlare.
Qualche secondo dopo, l’elfo tecnologico gridò nella stanza dove c’erano i computer e tutti quanti, s’alzarono e lasciarono la cucina per raggiungerlo.
Quell’urlo era stato disumano, erano preoccupati per lui; ma non sapevano quello che gli sarebbe atteso, una volta entrati in quella stanza.
Tra pochi secondi, avrebbero scoperto tutto.
Quando arrivarono nella stanza dei computer, trovarono l’elfo con il cellulare in mano e gli occhi puntati sullo schermo. Non fiatava, stava con la testa china e non si era nemmeno accorto della loro presenza.
Dopo qualche istante, l’elfo tecnologico alzò la testa e li vide lì, allo stipite della porta.
«Che è successo?». Gli chiese la Befana.
L’elfo tecnologico li guardò uno per uno e poi, si fermò a lungo su Sulac. In quel istante, anche se non capiva bene che cosa fosse successo, Sulac aveva capito che quella cosa riguardava lui.
«È arrivato un messaggio sul tuo cellulare». Disse l’elfo tecnologico a Sulac. Dopo, s’alzò dalla sedia, lo raggiunse vicino alla porta e allungò la mano per dargli il cellulare.
Sulac lo prese tra le sue mani e prima di leggerlo agli altri, se lo lesse per conto suo. Se non avesse avuto il cellulare ben saldo gli sarebbe caduto di mano.
«”Abroga tutte le leggi che hai fatto, altrimenti non rivedrai più tuo fratello”». Lesse Sulac.
In quell’istante, non ci voleva credere, non poteva essere vero, doveva essere uno scherzo; invece era la verità. Ora, era messo di fronte a una scelta difficile: la vita di Claus, contro i suoi ideali politici.
S’inginocchiò per terra e si mise a piangere, in un modo veramente straziante. Tutti quanti s’avvicinarono a lui, si misero per terra e lo abbracciarono.
In quell’istante capì una cosa molto importante e che lo fece risollevare; non era solo, non era solo a lottare, aveva una famiglia e degli amici fantastici.
Era ferito e triste, ma alla fine di tutto, avrebbe alzato la testa, affrontando i nemici. 

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